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Il caso Tommy Robinson e lo stupro di 1400 minori in GB.

Robinson è stato prelevato a forza dalla Polizia del Regno Unito venerdì scorso, 25 maggio, all’esterno di
un tribunale a Leeds, mentre raccontava via streaming l’ennesimo processo ai membri di uno dei gruppi di stupratori seriali – perlopiù di origini pakistane - che per decenni hanno molestato e violentato, torturato e talvolta ucciso, decine di migliaia, forse addirittura un milione di minori britannici. Le autorità e i media britannici hanno deliberatamente ignorato quest’inferno per oltre trent’anni, in nome del superiore interesse della convivenza multiculturale. Dieci anni fa, però, proprio la Edl di Robinson ha contribuito in maniera determinante a far deflagrare lo scandalo, che oggi è tristemente simboleggiato da Rotherham: una cittadina dove le cosiddette “grooming gangs” (“bande di adescatori”) hanno stuprato almeno 1.400 minorenni. Per questa sua scomoda e rumorosa testimonianza, Robinson è divenuto sin dal 2009 un nemico pubblico dello Stato, e un bersaglio della schiacciante forza coercitiva delle autorità britanniche.
Venerdì scorso, dunque, Robinson è stato arrestato in diretta Facebook, di fronte agli schermi di decine di migliaia di suoi follower, con l’accusa di turbare l’ordine pubblico. Trascinato di fronte a un giudice in assenza del suo avvocato, Robinson è stato sommariamente condannato a 13 mesi di reclusione per oltraggio alla corte, e prontamente trasferito nel penitenziario di Hull. Il giudice che ha convalidato il suo arresto, reso esecutivo in appena cinque ore, si è premurato poi di censurare la stampa nazionale, intimando con un’ordinanza di non dare copertura alla vicenda. I media britannici hanno frettolosamente rimosso i primi resoconti, e sono tornati ad occuparsi del caso solo alcuni giorni più tardi. A onor del vero, il 35enne Robinson era consapevole dei rischi che correva esercitando la sua libertà di espressione: l’attivista era già stato arrestato e condannato lo scorso anno, a Canterbury, sempre fuori da un tribunale, e sempre per aver tentato di accendere i riflettori su un processo a carico di un gruppo di stupratori musulmani. Quanti conoscono i trascorsi giudiziari di Robinson hanno accolto senza sorpresa la notizia del suo arresto. Si tratta infatti dell’ultimo capitolo di una incredibile odissea giudiziaria in corso da un decennio, durante la quale le autorità britanniche hanno sottoposto Robinson e la sua famiglia ad abusi e violenze che lui stesso ha raccontato in libro e in una recente videointervista. Durante i suoi precedenti soggiorni nelle patrie galere, Robinson è sopravvissuto in almeno due occasioni a tentativi di omicidio da parte di detenuti islamici, cui le autorità giudiziarie e carcerarie del paese lo avevano deliberatamente consegnato.
Dalle parole del giudice Heather Norton, che lo scorso anno ha condannato Robinson dopo il suo arresto a Canterbury, emerge una peculiare concezione dei diritti fondamentali: “Questo processo non riguarda la libertà di parola o di stampa, né il legittimo giornalismo o la correttezza politica”, aveva affermato Norton. “Si tratta di giustizia, di assicurare che un processo possa essere portato a termine in maniera giusta ed equa, si tratta di tutelare il principio dell’innocenza sino a prova contraria”. Il giudice Norton si riferiva alla presunzione d’innocenza degli stupratori seriali, minacciati a suo dire da uno streaming fuori da un’aula giudiziaria. Eppure, come sottolinea Bruce Bawer, del think tank Gatestone Institute, il Regno Unito garantisce a quei soggetti “il pieno diritto a un giusto ed equo processo; il diritto a scegliere e farsi rappresentare da un avvocato; il diritto a disporre di tempo sufficiente a preparare il loro caso, ad essere scarcerati su cauzione tra le singole sessioni processuali”. Nessuno di questi diritti è stato concesso a Tommy Robinson. Peggio: è ben noto come le autorità britanniche facciano poco o nulla per proteggere le testimoni dei medesimi procedimenti dalle famiglie estese dei loro violentatori. Folle di uomini e donne in hijab sono solite riunirsi indisturbate fuori, e talvolta addirittura all’interno degli edifici dei tribunali britannici proprio per intimidire le vittime. Questa situazione ha portato i ricercatori della Bath University, autori di uno studio in materia, ad avvertire che nel Regno Unito i diritti delle vittime di stupro sono "quasi subordinati" a quelli dei loro aguzzini.

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