--------------------http://lecerveau.mcgill.ca/intermediaire.php http://www.lamassoneria.it/ --http://howtheworldreallyworks.info/

Sito dell'Associazione Italiana per lo Studio e Ricerca sui Comportamenti Violenti -CRCV- Italy. ---------- Violent Behavior and Prevention Research Center - VBRC -Au-- Lorenzi Alfredo, Neurobiol, Neurosc.Human Behavior Biosincr - Basil--Davis CA -- Karin Hofmann, Phd Aggressive Behavior--Au

Prosegue lo spettacolo del servizio pubblico del mercoledì, una conduzione da Oscar della Sciarelli.

Barra google, ricerca sciarelli cav repubblica, risultati (copia e incolla primi 4 risultati):

SCIARELLI Federica - Le onorificenze della Repubblica Italiana

www.quirinale.it/elementi/DettaglioOnorificenze.aspx?decorato=211969
Sciarelli Sig.ra Federica. Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Cenni storici e ... 08/05/1991. Di iniziativa del Presidente della Repubblica ...

Cossiga: raccomandai Sciarelli e Berlinguer Corriere della Sera

https://www.corriere.it › Cronache
20 gen 2008 - Mentre per la Sciarelli si adoperò «perché le aumentassero lo stipendio ». La prima ... Federica l'ha pure nominata Cavaliere della Repubblica.

Federica Sciarelli: quando Cossiga la nominò Cavaliere dell'Ordine al ...

www.affaritaliani.it/.../federica-sciarelli-quando-cossiga-la-nomino-cavaliere-ordine-al...

1 lug 2017 - E, precisamente, dal 8 maggio 1991 per iniziativa di Francesco Cossiga, all'epoca Presidente della Repubblica. Nel 1991, la Sciarelli aveva ...

Rai Tre - Personaggio - Federica Sciarelli

www.rai.it/dl/RaiTre/personaggio.html?ContentItem-2a81b133-5f8b-44da-aa3b...

Federica Sciarelli nata a roma, da genitori napoletani (il padre era avvocato dello Stato) ... Da Cossiga verrà riconosciuta come Cavaliere della Repubblica.

Un solo punto: se si conta il tempo che passa ascoltando e vedendo in primo piano la sig.ra Sciarelli, praticamente facciamo più del 70%, servizi rvm a parte. Inoltre, si passa da un tema all'altro senza respiro, solo qualche passaggio per incassare la pubblicità...
Comunque, siamo del parere che tutto va bene pur di rispettare i patti e le convenzioni del servizio pubblico. Il resto è solo fuffa.
E comunque, sicuramente se di spettacolo o infotainment si deve fare, almeno la Sciarelli ha dimostrato di essere ormai sola al comando, un Merckx della conduzione. Al secondo posto persino la grande leonessa sempre di rai3, la dottoressa Berlinguer, che pensiamo resterà in rai almeno fino ai 70 anni e oltre, intanto perché certamente è cazzutissima e brava, poi perché chi potrebbe vincere una estenuante causa per cercare di metterla fuori onda? Santoro docet, e questa gente, quando si tratta di diritti, specie i propri, sa benissimo cosa e come farli valere. E fanno benissimo.
Credo che si farà prima a cambiare assetto societario della Rai, veramente: pragmaticamente, se uno spazza via un buon 50% di rai e resta con poche reti veramente di servizio, allora il discorso doventa più semplice e facile per tutti.
E guardate che nonostante l'aria super impegnata, si tratta di infotainment, insomma di fare spettacolo con soldi pubblici e con chiacchiere. Tanto vale farle con soldi dei privati o no?
Poi, quando mai queste persone apriranno un bel blog su wordpress, una piattaforma gratuita, esi mettono a dialogare realmente dal basso con la gente? Mai, perché i professionisti devono essere ben remunerati, mica si scherza.
E guardate, queste parole non sono solo auspici, sono profezie. Si, insomma, kantianamente, sappiamo prevedere il futuro e Kant sapeva come fare. Non c'è scelta, o così o così. Ancora un paio di anni da ora.



Estratto da Osservatorio di Pavia, Ordine naz
La televisione del dolore, parte riguardante Chi l'ha visto, conduzione Sciarelli.(copia e incolla)



Format Chi l’ha visto? è una trasmissione di Rai 3 condotta da Federica Sciarelli, in onda il mercoledì
sera. Abbraccia la prima e la seconda serata ed èdedicata alla ricerca di persone scomparse e alla trattazione di delitti e misteri irrisolti. Il programma presenta una struttura articolata in diverse componenti, il cui equilibrio varia da puntata a puntata, sensibile agli sviluppi delle varie vicende indagate.
Le scomparse di persone sono introdotte con l’ausilio di schede biografiche presentate dalla conduttrice o, più raramente, direttamente dai parenti in collegamento telefonico o intervistati nei servizi. Un centralino è a disposizione per le segnalazioni eventualmente provenienti dal pubblico che, se ritenute valide, sono mandate in onda dalla conduttrice. Alcuni di questi casi ricevono una copertura più ampia, con servizi dedicati.
Accanto ai casi “estemporanei”, tendenzialmente marginali in termini di tempo dedicato, ci sono le
storie seriali: non solo quelle di persone scomparse da lungo tempo e diventate oggetto di un
interesse costante e sempre più approfondito, ma anche delitti o altre vicende misteriose per le quali
il programma offre un aiuto alle indagini e alla ricerca della verità. E non solo delitti recenti ma
anche Cold Case, ossia casi irrisolti del passato, più o meno noti, su cui si riporta l’attenzione in
seguito a qualche novità sopraggiunta, o rispondendo al volere dei parenti.
La conduzione in studio e numerosi ed estesi reportage si alternano nello sviscerare le varie storie. I
servizi registrati lasciano spazio ai collegamenti in diretta quando la situazione lo richiede.
I giornalisti riportano aggiornamenti sulle evoluzioni delle inchieste o dei processi relativi ai casi in
esame ma, in misura di solito prevalente, si dedicano loro stessi alle indagini, andando sui luoghi
della scomparsa o del delitto, intervistando i testimoni e mettendo a confronto le versioni, scavando
progressivamente nella vita privata dei protagonisti e formulando ipotesi sull’accaduto.
In studio sono talvolta presenti degli ospiti che interagiscono con la conduttrice. Nella maggior
parte dei casi si tratta di parenti delle vittime, ma non mancano gli esperti che ruotano attorno al
mondo degli inquirenti e della giustizia e che portano al programma la loro conoscenza specifica di
un caso (avvocati delle parti, giornalisti), la loro esperienza su un determinato problema (perlopiù
rappresentanti di associazioni) o le loro competenze generali in campo investigativo e processuale
(criminologi, esperti forensi).
Omicidi e scomparse sono dunque le due tipologie principali di casi trattati da Chi l’ha visto?. Il
confine tra le due tipologie è mobile, perché molti casi inizialmente trattati come scomparse si
rivelano poi essere delitti. I casi che hanno ricevuto maggiore attenzione nel periodo analizzato
sono gli omicidi di Loris Stival, Elena Ceste, Gilberta Palleschi e la scomparsa di Guerrina
Piscaglia e Roberta Ragusa.
Gli elementi di criticità osservati nel programma, nel suo modo di trattare i fatti di cronaca, sono
numerosi e sono esposti nei paragrafi che seguono.
LA TELEVISIONE DEL DOLORE

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La raffigurazione strumentale del dolore

I bambini non si toccano ed è davvero con grande tristezza che
oggi abbiamo appreso questa notizia … Purtroppo è una puntata
piena di mostri quella di questa sera

Federica Sciarelli, Chi l’ha visto?, 15/10/2014

In Chi l’ha visto? il dolore è un ingrediente primario. A differenza di altri programmi analizzati,
non c’è qui un’alternanza tra momenti tragici e leggeri, cronaca nera e rosa. Il programma tratta in
ogni puntata una successione di casi drammatici, e l’unica modulazione è nella gravità del dramma:
si passa da omicidi efferati, suicidi o drammatici incidenti ad abusi e violenze di vario genere, a
misteriose scomparse che talvolta si risolvono con il ritorno a casa della persona, dando luogo alle
uniche parentesi di sollievo generate dal lieto fine, ma che comunque lasciano intravedere di volta
in volta malattie, disagi psicologici, malesseri familiari.
Dunque è molto importante capire come si muove il programma in questo regno del dolore, in
particolare se mette in atto meccanismi di contenimento capaci di rendere tollerabili ogni volta circa
tre ore di tragedia umana ininterrotta.
La risposta è complessa, nel senso che la trasmissione presenta un procedere ambivalente: da un
lato, una ricerca consapevole e non di rado morbosa dello spettacolo del dolore, dall’altro una
strategia di contenimento degli eccessi drammatici, di cui vedremo i pilastri fondamentali.
Cominciando dal primo aspetto, la rappresentazione del dolore, il programma non esita a mostrarne
e a descriverne tutte le dimensioni: la morte o l’atto di violenza in sé, ma anche tanti piccoli
dettagli agghiaccianti o banali che spesso ne costituiscono lo sfondo, l’annuncio, il retroterra. Con
la sua ricerca estenuante dei particolari nascosti, si può dire che il programma sia fedele alla
convinzione che “è nei dettagli che il diavolo nasconde la sua coda”.
Gli esempi di ricerca del morboso sono numerosi e ne presentiamo soltanto alcuni piuttosto estremi.
Colpisce l’assenza di pudore sulla sorte riservata in un autolavaggio a un quattordicenne napoletano
da parte di un uomo di 24 anni, in carcere con l’accusa di omicidio e violenza sessuale: “Una
fucilata di aria compressa sparata su per gli intestini del povero Vincenzo, che ha riportato danni
gravissimi”, dice l’autore del servizio, mostrando nel dettaglio il tubo del compressore
presumibilmente usato per seviziare il ragazzo. E poi continua: “Sei un chiattone - pare abbia detto
Vincenzo grande a Vincenzo piccolo, che è un po’ sovrappeso - Ora ti diamo un’altra gonfiatina”.
Non mancano neanche i particolari sulla sua situazione medica: asportazione del colon, uso
temporaneo di una protesi esterna, in attesa di un nuovo intervento chirurgico.
Un’altra descrizione che non fa certo economia di dettagli è quella dell’omicidio compiuto da
Andrea Pizzocolo. L’uomo ha filmato l’uccisione di una giovane donna, una prostituta diciottenne,
nascondendo numerose telecamere in vari punti della stanza d’albergo in cui il fatto si è svolto. La
trasmissione, entrata evidentemente in possesso di queste immagini, le trasmette a lungo nella
puntata del 15 ottobre, evitando per ovvie ragioni la parte più cruenta, quella dell’omicidio. Ma i
telespettatori possono vedere la preparazione della scena, l’ossessiva sistemazione delle sette
telecamere, il killer che si guarda nello schermo facendo le prove di funzionamento, fino all’arrivo
della sua giovane vittima. Sapendo già ciò che le succederà, cosa che rende il filmato estremamente
angosciante. Quando le immagini devono interrompersi, è la conduttrice a sopperire con una
minuziosa descrizione della violenza: “Lui usa le fascette autobloccanti, lei urla, chiede aiuto, si
dimena, lui la tira giù, la mette in ginocchio ai piedi del letto con la faccia premuta sul cuscino,
LA TELEVISIONE DEL DOLORE
67
fino a che lei non dà più segni di vita … ma poi si accorge che una gamba di Lavinia si sta
muovendo, allora prende un’altra fascetta, gliela mette attorno al collo e tira con tutta la forza che
ha, poi prende le sue telecamere e il corpo di questa povera ragazza … va in un altro albergo,
posiziona le telecamere anche qui. Lavinia giace sul letto, ormai morta. Dopo aver finito con le sue
telecamere, abusa di lei, più volte, e riprende tutto. Non si ferma neanche davanti alla morte”.
Nella puntata successiva, si rincara la dose: le immagini dell’omicidio sono ricostruite con attori, e
viene trasmessa anche la deposizione agghiacciante resa durante la seduta processuale dal capo
della squadra mobile di Lodi: “I filmati al motel di Lodi evidenziano che lui si mette un fallo finto,
fa penetrazioni anali, parla col cadavere, dice ti piace giocare…”
Insomma la ricerca del morboso e del dettaglio estremo è uno dei punti decisamente deboli del
programma, dal punto di vista deontologico. Il problema si aggrava se si considera che molte
delle storie hanno come protagonisti dei minori e non sempre il programma fa prova di misura nel
limitare le descrizioni particolareggiate delle violenze che hanno subìto e nel trasmettere in tarda
serata le vicende potenzialmente turbative per le fasce d’età più sensibili. E spesso, quando anche
c’è un rinvio in tarda serata, qualche dettaglio raccapricciante riesce sempre a trapelare nella fascia
oraria del prime time.
L’altro elemento che denota una propensione per lo spettacolo del dolore è la ricerca costante
della voce dei parenti o amici delle vittime, come confermano i dati quantitativi: oltre il 70%
degli ospiti è costituito dalle vittime, dai loro famigliari e conoscenti e dagli indagati. Il programma
scava nelle relazioni familiari, vuole presentare il mondo di affetti che circonda la vittima, con i
suoi diversi protagonisti. Spesso gli inviati di Chi l’ha visto? sono a casa di queste persone: seduti
con loro a un tavolo, o nel loro giardino. I loro volti sono inquadrati dalle telecamere, che si
soffermano sugli occhi, sulle espressioni o, quando gli intervistati non vogliono essere ripresi, si
concentrano su mani che si contorcono trasmettendo la stessa angoscia che si può leggere sui volti
di altri. Il programma cerca di restituire, di queste persone, lo sguardo sulla tragedia avvenuta, e le
domande degli inviati, intuibili dalle risposte anche quando sono tagliate dalle riprese, scavano a
fondo nel dolore e nella disperazione: “In quel momento sei disperata e basta, urli, non pensi, gridi
e basta, che cosa vuoi pensare?”, dice la madre di Martina Rossi, una ragazza precipitata dal sesto
piano di un albergo a Palma di Maiorca, durante una vacanza. “Io voglio solo giustizia per mio
figlio”, invoca la madre del ragazzino napoletano seviziato da un giovane che continua a parlare
di uno scherzo finito male, “e lui là deve marcire … se esce, se il magistrato lo butta fuori, sono io
la prima a ucciderlo, poi vado dai carabinieri e dico: l’ho ucciso io, per scherzo”.
Dall’altro lato, gli elementi di contenimento a cui il programma fa ricorso sembrano
essenzialmente di tre tipi. Il primo è la presenza di reportage caratterizzati da sobrietà e razionalità,
volti a fornire ricostruzioni oggettive degli eventi o dei loro sviluppi processuali, che si alternano ai
servizi in cui prevalgono drammatizzazione ed emotività, anche se in molte puntate l’equilibrio
pende decisamente verso questi ultimi. Il secondo elemento è la prevalenza di scene in cui i parenti
delle vittime mostrano un dolore contenuto, controllato. È lecito supporre che questa sia una scelta
della redazione, che seleziona, tra le tante a disposizione, le immagini meno drammatiche, o
comunque quelle che mostrano anche la forza e la compostezza accanto alla disperazione. Il terzo
fattore, ma forse il primo per importanza, è quello dell’”utilità”, della funzione di “servizio”
intrinseca all’impianto stesso della trasmissione, che nella maggioranza dei casi trattati ha
l’ambizione di offrire un sostegno alla ricerca delle persone scomparse, un aiuto alle indagini e alla
ricerca della verità. Talvolta la telecamera, più che ricercare la lacrima, si fa indagatrice, cercando
di svelare nelle espressioni degli intervistati i sentimenti nascosti. Così il dolore si stempera nello
slancio indagatore, il dettaglio dolente diventa un indizio, la cronaca sfocia in una ricostruzione di
stampo quasi giudiziario, che mette in luce le incongruenze, esamina gli alibi, confronta le versioni,
il tutto per avanzare, di puntata in puntata, verso l’auspicata “soluzione del caso”. E per rassicurare i
familiari delle vittime e i telespettatori che l’attenzione mediatica sul caso rimarrà viva.
LA TELEVISIONE DEL DOLORE


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Lo spettacolo nel dolore

“In una storia piena di ombre, dai contorni indefiniti e sfuggenti,
la verità spesso si nasconde nel lato oscuro delle cose, quella in
cui la mano del burattinaio si muove meglio: nel buio”
Servizio sulla morte di Francesca Moretti, Chi l’ha visto?, 22/10/2014
Lo spettacolo è tangibile prima di tutto nella cornice e nelle forme della narrazione. Le
anteprime, che annunciano i casi principali della puntata e che saranno meglio approfondite nel
paragrafo successivo, sono spesso magistrali nel creare attesa e hanno molte caratteristiche del
trailer cinematografico. In alcuni servizi si osserva una costruzione che prende a prestito gli
stilemi delle serie televisive. Per esempio, in un servizio sulle sevizie al piccolo Vincenzo,
quattordicenne napoletano, schermate nere scandiscono i momenti del racconto, annunciandone i
riferimenti spazio-temporali, proprio come avviene in alcune serie poliziesche e giudiziarie:
“Ospedale san Paolo – Fuorigrotta, Napoli – sabato 11 ottobre, ore 12”; “Pianura, Napoli –
Sprint, l’autolavaggio delle sevizie – martedì 7 ottobre, ore 16.30”. Il servizio non segue uno
schema narrativo semplice e lineare ma inverte e rimescola le fasi temporali, e presenta in questo
senso una complessità filmica.
Il ricorso ai filmini familiari, osservato in più servizi, sembra giocare lo stesso ruolo dei flash back
cinematografici, che intessono pian piano la personalità e la vita del protagonista scomparso.
“Questa volta ve la facciamo vedere affettuosa, con la figlia, che canta quarantaquattro gatti”, dice
Federica Sciarelli mandando in onda un video di Roberta Ragusa, mentre il suo volto solitamente
serio abbozza un sorriso. Guardare la donna mentre era in vita e conduceva un’esistenza normale,
tra famiglia, figli, festicciole, così come leggerne le lettere scritte al marito, è importante per dare
realtà, spessore, umanità a quella che rischierebbe di restare un’immagine piatta. Si lavora sul
personaggio, insomma, con le stesse modalità usate in molti film e telefilm gialli. Spesso
ricorrendo a testi più romanzeschi che giornalistici: “Guerrina Piscaglia … una vibrante caotica
voglia di amare e di essere amata … Geograficamente parlando, Ca’ Raffaello è una vera e
propria stranezza, una bizzarria, ed è noto che a volte le particolarità dei luoghi possono
influenzare il carattere e gli umori di chi ci abita … Così, proprio come il suo paesino imprigionato
doveva forse sentirsi Guerrina Piscaglia”. O ancora: “Padre Graziano, questo pretone simpatico,
esuberante, spirituale e sanguigno nello stesso tempo, che quando non è sull’altare veste in
maniera vistosa, pittoresca e sembra una rock star di paese non ci mette molto, con la sua allegria
e la sua vitalità prorompente, a conquistare il cuore dei parrocchiani, e specialmente quello delle
parrocchiane”.
Il linguaggio ricorre talvolta a frasi ad effetto che suonano indelicate nei confronti delle vittime.
Parlando delle minorenni trascinate in una squallida storia di pornografia dal fotografo Furio Fusco,
il giornalista osserva: “Certo è che molte ragazze in questi giorni stanno sfilando, invece che sulle
passerelle che sognavano, davanti alla scrivania degli inquirenti”.
Mentre si susseguono testi romanzeschi, accompagnati da brani musicali e dalle immagini
provenienti dagli archivi personali o familiari, o quelle girate dalla troupe con tutti gli accorgimenti
di cui si è detto, si ha l’impressione di essere continuamente traghettati tra le due spiagge della
realtà e della fiction.
Sono dunque insieme gli aspetti formali e le scelte contenutistiche ad alimentare lo spettacolo nel
dolore, allontanandosi dal principio di pertinenza che dovrebbe prevalere nel trattare la cronaca. Si
nota la ridondanza di dettagli e di testimonianze, la cui utilità è pressoché nulla dal punto di
LA TELEVISIONE DEL DOLORE
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vista informativo, ma per l’appunto essenziale dal punto di vista “cinematografico”, per dare
spessore e sfondo ai personaggi, offrire continuità alla narrazione anche in assenza di reali novità,
creare colpi di scena, anche solo apparenti. E suggerire che, proprio come avviene nelle serie
televisive, la soluzione potrebbe venire da qualche dettaglio magari insignificante, nascosto dietro
all’ordinarietà del quotidiano. In questo senso – superfluo/necessario - si possono leggere interi
servizi o parti di essi: ad esempio, l’intervista a una parrocchiana che riporta voci sul fatto che
Guerrina Piscaglia nutrisse una gelosia ossessiva nei confronti delle altre parrocchiane; la
testimonianza di una donna che dice di aver visto uno “sciame di farfalline” volteggiare nel luogo
del ritrovamento del cadavere di Maria José Olivastri; il dilungarsi sul cane di Elena Ceste, che
diventa il protagonista di un giallo nel giallo; i dettagli, ripetuti in più servizi, delle email scambiate
tra Antonio Logli e la sua amante Sara Calzolaio, che permettono addirittura di entrare nel letto dei
due amanti. Un altro caso, forse ancora più esemplare, è l’intervista a un uomo che aveva chiamato
il programma dicendo di avere conosciuto Elena Ceste su internet e di avere ricevuto da lei
confidenze importanti. La conduttrice spiega che l’intervista non era stata mandata in onda perché il
testimone sembrava “poco convincente” e, grazie a una verifica dei carabinieri, dietro segnalazione
del programma stesso, l’uomo si era rivelato in effetti un millantatore desideroso soltanto di
apparire in TV. Nonostante la provata inconsistenza della sua testimonianza, e quindi l’inutilità del
servizio, la conduttrice decide comunque di trasmetterlo, con queste parole: “E allora noi abbiamo
deciso che ce lo facciamo andare in TV, però così come merita”.
Come si è detto, il programma non è costituito soltanto da servizi propensi alla spettacolarizzazione
del dolore, ma anche da reportage dal taglio più sobrio e informativo. L’equilibrio tra i due è
variabile nelle puntate e in parte dipende dalla natura dei casi trattati. In generale, quelli che
sembrano resistere meglio alla spettacolarizzazione sono i casi “comuni” di persone
scomparse, e le puntate in cui questi prevalgono presentano meno criticità delle altre. Era questo il
nucleo originario del programma, che tende a diventare marginale rispetto alla trattazione dei grandi
casi di cronaca e, in alcune puntate, appare ridotto a una parentesi sbrigativa. Anziani allontanatisi
da casa, giovani fuggiti dalla famiglia inseguendo il richiamo della libertà o di storie d’amore, o
sotto la spinta di acuti disagi psicologici: di queste persone vengono mostrate una scheda e una
fotografia, forniti alcuni dati biografici e raccontate le circostanze della scomparsa, chiedendo al
pubblico di partecipare, con eventuali informazioni, al loro ritrovamento. Talvolta diventano i
protagonisti di servizi più articolati ma soltanto in alcune occasioni le loro vicende acquistano
un’importanza tale da entrare nel novero delle storie seriali, aprendosi agli innesti spettacolari di cui
si è detto.
L’eccesso patemico nel racconto
E come un vento caldo che arriva dall’Africa, anche a Ca’
Raffaello arriva qualcuno che coinvolge, riscalda, apre la mente a
mondi diversi, ma come in tutte le favole arriva anche il mostro,
quello che ha fatto scomparire Guerrina. Chi è il mostro che è
andato a Ca’ Raffaello?
Federica Sciarelli, Chi l’ha visto?, 24/09/2014
Come si è detto nel paragrafo precedente, già nelle anticipazioni si nota la grande perizia nel
coinvolgere i telespettatori e nel rendere appetibile la puntata. Una breve descrizione dell’anteprima
del 15 ottobre permette di comprendere i principali meccanismi di coinvolgimento emotivo messi
in atto. Prima di tutto, per ognuno dei casi annunciati si anticipano gli elementi più “agghiaccianti”,
gocce macabre capaci di suscitare un’attesa intrisa di suspense.
LA TELEVISIONE DEL DOLORE
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“Apriamo con questa storia terribile: Fortuna, solo sei anni, viene ritrovata per terra sotto al
palazzo dove abita e le persone normali cosa possono pensare? Che stava giocando e che è caduta,
che è una disgrazia. Oggi la terribile notizia che viene dall’autopsia. Sapete, voi che avete
ascoltato i telegiornali, che cosa ci dice l’autopsia … Vi dico subito che un anno prima un bambino
sempre nello stesso palazzo era cascato. C’è un prete coraggioso che, quando ha celebrato i
funerali di Fortuna, aveva detto: qui qualche cosa non va, se qualcuno sa deve parlare”.
Si anticipano rivelazioni che solo chi ha visto il TG già conosce, e che hanno tutta l’aria di essere
sconvolgenti. Poi si aggiunge l’altro elemento allarmante e avvincente: forse c’è la stessa mano
dietro alla tragedia di Fortuna e a quella di un altro ragazzino che ha subìto la stessa sorte l’anno
precedente. L’ombra di una serialità, un altro elemento efficace dal punto di vista narrativo.
Infine, si delinea la figura di un “eroe”, un prete coraggioso che intuisce, e non esita a denunciare,
il marcio che forse c’è dietro.
Poi, dopo aver promesso alcune novità sul caso di Roberta Ragusa, la conduttrice annuncia altre
immagini terribili, riguardanti l’omicidio filmato dal killer Pizzocolo, “che saranno trasmesse forse
nell’aula di un tribunale, tutte integrali, fra due giorni … anche queste le vedremo più in là”.
Sembra un segno di prudenza nei confronti dei minori che, data l’ora, potrebbero trovarsi davanti
allo schermo, ma un frammento molto eloquente delle immagini viene comunque trasmesso. “Il
resto qualcuno di voi lo ricorda. Ne parliamo dopo e ovviamente anche questo non è adatto ai
minori. Guardate come Pizzocolo si guarda bene nella sua inquadratura…”.
Mantenere viva la suspense è una preoccupazione centrale del programma e contribuiscono a
questo scopo la frammentazione dei casi principali in diversi momenti della puntata, gli annunci di
novità importanti prima delle interruzioni pubblicitarie, le rivelazioni disseminate qua e là,
addirittura la suddivisione di storie in diverse puntate, come avviene per il Cold Case di
Francesca Moretti: “Il mistero è ancora più fitto e, come vedrete, le ombre in questa storia non
mancano. Ma la verità è nascosta da qualche parte, bisogna solo continuare a cercarla, e lo
faremo insieme a voi nella prossima puntata”, dice l’autore alla fine di un lungo servizio.
Le immagini concorrono molto al pathos della narrazione: quelle dei video girati in famiglia e che
ritraggono le vittime in momenti di apparente felicità; le fotografie scattate in occasioni importanti
della loro vita, presentate a lungo come a voler cercare in quegli sguardi una qualche
consapevolezza del loro tragico destino; le immagini che accompagnano la lettura di lettere private,
inquadrando gli oggetti via via evocati dalla scrittura; le foto crude dei cadaveri e dei corpi del
reato; le scene tranquille di vita quotidiana che aprono talvolta i servizi, riprendono il traffico, la
folla che si muove, come a voler rappresentare il fragile guscio di normalità in cui si annidano
tragedia e follia. È evidente che sulle immagini viene fatto un lavoro accurato, non solo nel
montaggio ma nelle scelte cromatiche (bianco e nero, sfumature, effetti vari…) e nelle inquadrature,
per accomodarle all’emozione che si vuole comunicare. Emerge, anche in questo, il trattamento del
caso Pizzocolo: il programma non si limita a trasmettere parti del suo agghiacciante filmato, ma lo
lavora, cattura ad esempio l’uomo in un fermo-immagine e, forse per comunicare il suo animo
predatorio, colora progressivamente questa immagine di un rosso psichedelico.
Il ricorso a scene girate con attori, pur non essendo il procedimento più ricorrente, viene usato
spesso per i casi vecchi che, per qualche ragione, vengono ripresi, o quando si vuole suggerire una
ricostruzione filmica dell’atto criminale. Ben più frequente è l’uso di attori per la lettura di lettere e
di intercettazioni telefoniche/ambientali.
La musica è un elemento centrale ma discreto nel racconto emotivo: sempre soffusa e quasi mai
invasiva, fa da sfondo alla maggior parte dei servizi che ricostruiscono vicende e personaggi, e si
adatta ai testi che accompagna. Malinconica quando rievoca ricordi tristi (“Nella sua corsa
quotidiana contro il tempo, Roberta si sente sempre più sola, sempre più distante dall’uomo che ha
sposato per amore”), tragica quando vuole suscitare commozione e senso di ingiustizia (“Il
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professor Mario Grosso è morto. È morto senza avere giustizia … È morto con l’angoscia
incolmabile di non aver potuto ritrovare sua figlia Donatella”), inquietante quando vuole
condividere con i telespettatori un allarme morale: “A che punto siamo arrivati? Dove andremo a
finire di questo passo? C’è un argine a questa assuefazione alla violenza di cui è sempre più
permeata la nostra società? Come sarà possibile tornare indietro?” Certe volte, più che alla musica
si fa ricorso a rumori e suoni, e ricordano un horror quelli usati per introdurre al mistero della morte
di Antonella De Veroli nella puntata del 3 dicembre.
Come si è detto, l’alternanza tra sobrietà e drammatizzazione caratterizza i servizi che si
susseguono all’interno del programma. Nella puntata del 24 settembre, appare evidente lo scarto
tra intento informativo e amplificazione patemica nel trattare il caso del fotografo Furio Fusco,
che aggancia le ragazzine per strada promettendo una carriera sulle passerelle per poi abusare di
loro e cercare di avviarle alla pornografia e alla prostituzione. In studio è presente il giornalista di
Repubblica che, con un’inchiesta, ha portato alla luce questa vicenda. La sua intervista costituisce la
parte strettamente informativa della trattazione del caso. A questa si affianca un servizio della
redazione di Chi l’ha visto?, che fa un ampio uso di immagini-segnale, musica e ricostruzioni
filmiche, si rivolge alla sfera emotiva dei telespettatori e vuole, più che informarli, indicare loro il
buco della serratura, da cui guardare ciò che succedeva in quello studio fotografico. Un servizio
claustrofobico, scuro, pieno di ombre in controluce, immagini velate o lasciate intravedere di
ragazzine, stralci di testimonianze e di intercettazioni recitate da attori con voce rotta o insolente,
dettagli di corpi, gambe nude su tacchi altissimi, spalline che si abbassano. Suscitano perplessità le
immagini accostate al testo di un’intercettazione di Fusco. Quest’ultimo racconta che, all’incontro
con una minorenne, era presente anche una modella sua amica e complice (Ilaria), suggerendo che
ci sia stato un rapporto sessuale tra le due. La ricostruzione filmica si fa audace e simula questo
incontro. Si vede una donna “grande” con uno sguardo lussurioso, seduta su un divano verso cui si
dirigono, ripresi alle spalle, un uomo con la macchina fotografica a tracolla e una ragazzina, mentre
scorrono le parole di Fusco, recitate da un attore: “È successa la cosa più incredibile del mondo, era
veramente molto timida ma solo i primi tre minuti scarsi, dopo di ciò ha visto che la cosa ie piaceva
e ha cominciato a sartà addosso… lei, a Ilaria, la quale ovviamente non c’ha capito più niente in
quer momento, no? Perché non ie pareva vero che aveva trovato una che.. sì, come di’… diventava
attiva in un certo senso, no? E poi da parte di una praticamente vergine che si può dire, no??”
La narrazione empatica
Stiamo cercando di capire tutti insieme, insieme ai nostri
telespettatori, perché forse qualche telespettatore può avere anche
pensato che la bambina si sia gettata lei, perché una bambina
abusata tiene dentro un dolore fortissimo, no?
Federica Sciarelli, Chi l’ha visto?, 15/10/2014
La conduzione del programma è sobriamente empatica. Federica Sciarelli esprime frequentemente
il suo coinvolgimento personale nelle vicende raccontate. La gioia quando una persona scomparsa
viene ritrovata (“Le posso far vedere una fotografia che è stata ripresa dalle telecamere di Perugia,
dell’ostello? Ci dice se è suo marito? È lui. Questo ci riempie, la riempie di gioia, è vero, eh,
signora Silvia? Questa è davvero una cosa bellissima”). La tristezza e lo sconcerto di fronte ai
drammi che si susseguono (“È una terra che amiamo la terra di Napoli, veramente l’amiamo tutti,
però in questo periodo ci sta sconvolgendo, tutti noi che siamo genitori, adulti, ci stiamo chiedendo
ma cosa succede?”). L’affetto verso le vittime e i loro famigliari (“Guardate quant’è bella questa
bambina”; “Se possiamo inquadrare questa mamma dolcissima, alla quale va veramente tutta la
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nostra solidarietà”). Spesso esprime indignazione (“C’è un mostro in libertà che deve essere
fermato”; “Io dico che ci vuole un po’ di rispetto nei confronti di queste ragazze uccise”; “Caro
avvocato, questo lo diciamo noi a lei, la moviola certo se la poteva risparmiare”). Insomma si
presenta come una persona partecipe, pur mantenendo nei modi un atteggiamento sobrio.
Lo stesso si può dire dei giornalisti, che non lesinano le espressioni di solidarietà e di affetto verso i
protagonisti dei loro servizi (“Dov’è questo ragazzo a cui è impossibile non voler bene?”) e, nel
parlare di loro, fanno un ampio uso del linguaggio emotivo. Si osservi per esempio l’incipit di un
servizio sul caso irrisolto di Maria José Olivastro: “C’è una strada segreta, simile a un ponte
sotterraneo, un angolo nascosto che sopravvive a noi stessi. È come un battito d’ali, il punto
d’incontro tra la vita e la morte. Sono gli istanti di una farfalla, brevi ma interminabili, e questo
Maria José Olivastri lo raccontava alle sue amiche, e ancora oggi lo sussurra alle loro orecchie”.
Un approccio poetico che ha l’effetto di amplificare la crudezza e la crudeltà di un’immagine
successiva che mostra, di questa donna, il cadavere incaprettato e gettato in un fosso.
Spesso vengono ricordati i compleanni delle persone scomparse, come a volerli festeggiare nella
speranza che siano ancora vivi, e presentate le condoglianze quando qualche personaggio noto al
programma muore (“È successa una cosa che ci è dispiaciuta, so che tanti di voi hanno mandato
dei messaggi bellissimi alla moglie, a Tina, fatelo ancora, se glieli mandate questi messaggi un po’
le si scalderà il cuore”).
È evidente lo sforzo di creare e tenere viva attorno al programma una comunità che abbraccia i
protagonisti dei casi narrati, la redazione e i telespettatori. Il coinvolgimento del pubblico è
connaturato al programma e ottenuto tramite prassi ormai consolidate. Ci si rivolge alla sua
comprensione e alla sua solidarietà (“Io ho voluto raccontare la sua storia perché so che le persone,
soprattutto i telespettatori di Chi l’ha visto?, si aiutano a vicenda, c’è una catena di solidarietà”);
ma principalmente, in linea con l’impianto del programma, si fa appello alla sua cooperazione nel
ritrovare chi è scomparso e nel contribuire alle indagini (“I nostri telespettatori a volte ci danno
delle indicazioni, ci hanno detto: ma l’avete visto il facebook di padre Graziano?”; “È un’inchiesta
fatta di piccoli passi, stiamo facendo quest’inchiesta parlando con tutti gli abitanti di questo luogo
che ci stanno aiutando … tutti vogliono dare una mano per trovare Guerrina e cercare la verità”).
Un elemento di criticità osservato a questo proposito è la tendenza a gettare una cattiva luce su chi,
per le ragioni più disparate (compreso il fatto banale di non essere all’ascolto del programma), non
voglia o possa entrare a far parte di questa comunità investigativa. Vanno letti in questo senso i
giudizi negativi formulati talvolta dalla conduttrice o dalla troupe nei confronti di specifiche
comunità locali o persone, ma soprattutto la pressione esercitata su chi viene considerato poco
collaborativo. “Voi di quel palazzo potete chiamarci? Almeno per dire noi non c’entriamo niente,
non sappiamo niente, però chiamateci… bisogna avere la coscienza di telefonare e dire qualsiasi
cosa”, dice Federica Sciarelli rivolgendosi ai condomini del palazzo in cui una bambina è stata
trovata morta, dopo aver subito abusi sessuali. Questa tendenza sarà ripresa nei prossimi paragrafi.
Qui ci si limita a osservare che simili pressioni rischiano di gettare discredito su persone che, si
presume nella maggior parte dei casi, sono totalmente estranee all’accaduto e non dispongono di
informazioni rilevanti.
LA TELEVISIONE DEL DOLORE



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Il processo virtuale

“In Procura mi hanno contestato che il telefonino di Guerrina risultava dentro
la mia macchina … L’orario era le cinque e venti, me l’hanno fatto vedere nei
tabulati, questo ve lo confermo io”. “Mirco lei è molto gentile perché lei ci dice
quello che le hanno detto gli inquirenti, non ce lo dovrebbe dire, eh, perché di
solito gli inquirenti dicono mantenga il segreto, però ce lo sta dicendo, va beh,
noi la ringraziamo anche per questo”.
Scambio tra Federica Sciarelli e Mirco Alessandrini, Chi l’ha visto?, 15/10/2014
Il programma, che si articola sostanzialmente in un’alternanza tra conduzione e messa in onda di
servizi, ricorre con moderazione alle interviste di ospiti in studio e non contempla dibattiti. Questo
riduce il rischio di criticità legate alla chiacchiera sulle questioni processuali e alla dialettica
innocentisti-colpevolisti, ma non significa che siano qui assenti gli elementi di un processo
mediatico e l’espressione di giudizi sommari. Molti dei servizi hanno lo scopo di raggruppare gli
elementi – dichiarazioni contraddittorie di indagati, testimonianze, confronto di versioni, eccetera -
che portano alla costruzione di un impianto accusatorio.
L’esempio più eloquente, nel periodo analizzato, viene dalla trattazione della scomparsa di Roberta
Ragusa. Molti servizi trasmessi nelle varie puntate indirizzano esplicitamente i sospetti sul marito di
lei, Antonio Logli: “Voleva impedire al programma di parlare con una zia di Roberta … Non solo,
mentre registravamo i suoi appelli, lui parlava con la baby sitter, che però era anche la sua amante
e, dopo pochi giorni dalla scomparsa di Roberta, nel suo portafogli metteva la fotografia di Sara.
Allora ci chiediamo: come faceva a sapere che la moglie non sarebbe tornata?”, dice Federica
Sciarelli nella puntata del 15 ottobre. E, in quella del 3 dicembre: “E allora Antonio come faceva a
essere a conoscenza del litigio di via Gigli, se in quel momento era noto solo al testimone e ai
carabinieri che l’avevano appena interrogato?”. Numerosi altri indizi contro di lui sono raccolti e
presentati al pubblico, insieme a testimonianze in cui si esprime la tesi colpevolista. Nella puntata
del 22 ottobre, lo scambio di email tra Antonio Logli e la sua amante Sara Calzolaio, recuperate
dagli inquirenti malgrado i tentativi di distruggerle da parte dell’uomo, offre lo spunto per ritornare
a lungo sulla vicenda. Un servizio conclude con queste parole: “Sara e Antonio parlano molto di
amore, negli sms e nelle email che si scambiano. L’amore… ma cos’è l’amore? Si può uccidere per
amore? Si può sconvolgere la vita di tutta una famiglia per amore? Si può colpire a morte i
sentimenti dei propri figli per amore? È davvero questo l’amore?”, come se si stesse
commentando non un possibile movente ma una dimostrata colpevolezza.
Un chiaro sospetto pesa anche sui giovani indagati in seguito alla morte di Martina Rossi a Palma di
Maiorca, caso inizialmente archiviato dagli inquirenti spagnoli come suicidio, ma dietro al quale si
ipotizza un tentativo di violenza carnale. Una giornalista di Chi l’ha visto? ferma uno dei due
mentre sale in macchina. “Ma tu hai visto morire Martina? Ci racconti che è successo? Dài, per
favore Luca”, dice bussandogli sul finestrino e aprendogli la portiera, “Luca, ma perché scappi?”.
Alla madre del secondo, che la manda via, chiede: “Però non capiamo perché non volete parlare di
questa cosa. Se non è successo niente, qual è il problema?”. Lasciando intendere che il rifiuto di
prestarsi alle indagini dei giornalisti (non degli inquirenti!) sia di per sé un indice di
colpevolezza.
In diversi altri casi si osserva la medesima dinamica – manifestazione di sospetti, esposizione di
indizi finalizzata a dimostrare una responsabilità - nei confronti di persone il più delle volte
indagate.
Il marito di un’altra donna scomparsa, Guerrina Piscaglia, non indagato nel periodo analizzato,
riceve un trattamento migliore nelle puntate analizzate, dato che, come sottolinea ripetutamente la
LA TELEVISIONE DEL DOLORE
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conduttrice, è sempre molto disponibile a collaborare, rispondendo alle domande, accompagnando
la troupe di Chi l’ha visto? sui luoghi della scomparsa e fornendo informazioni sull’evoluzione
dell’inchiesta. Si guadagna così un approccio non colpevolista, che tuttavia non lo mette al riparo
dalla contestazione di incongruenze nella sua versione dei fatti. “Leggendo la denuncia di
scomparsa ci siamo accorti che Mirco ha detto ai carabinieri che ha visto Guerrina per l’ultima
volta a pranzo, a casa dei due genitori, mentre a noi ha sempre detto di aver visto Guerrina per
l’ultima volta davanti a casa sua, mentre lavava la macchina”, puntualizza la conduttrice, dando
poi la linea all’inviato che pone la questione al diretto interessato. Nella puntata del 15 ottobre, la
troupe di Chi l’ha visto? va di persona a verificare la versione fornita da Mirco e da padre Graziano
sui loro spostamenti nel pomeriggio della scomparsa di Guerrina. Dato che i due avevano dichiarato
di essere andati a celebrare un funerale in un paese vicino, la troupe si reca a intervistare una
parente del defunto, per confrontare gli orari.
Sempre nella copertura dello stesso caso, appare curiosa una frase rivolta dal giornalista a una
testimone: “Queste cose le dirà agli inquirenti, vero?”, assumendo una sorta di “precedenza” del
programma nell’inchiesta e nella deposizione delle testimonianze.
Da un lato, è senz’altro apprezzabile l’intento della trasmissione di rendere giustizia a vittime che
rischiano di non riceverne a causa di inquirenti talvolta sbrigativi (idea portante nel caso di Martina
Rossi, morta a Palma di Maiorca) o di una giustizia talvolta inefficiente (come emerge in vari Cold
Case, vecchi delitti archiviati, magari a causa dei limiti investigativi del passato). Dall’altro lato,
però, è opportuno segnalare alcune derive.
Prima di tutto, nello schierarsi esplicito del programma su posizioni colpevoliste, a cui si assiste in
certi casi, si indebolisce il rispetto di un principio deontologico primario, la presunzione di
innocenza, tanto più che manca uno spazio dialettico che metta a confronto le tesi innocentiste e
colpevoliste.
In secondo luogo, il programma rischia in alcuni casi di delegittimare gli attori e le sedi
istituzionalmente deputati a condurre le indagini o ospitare il processo. Suggerisce l’esistenza
di un’inchiesta parallela, con caratteristiche di maggiore efficienza e trasparenza, e non di rado
mette in luce errori e limiti delle inchieste ufficiali: “Un’inchiesta archiviata due volte, in cui si
trova, guardate, anche questa pagina: il gip che rifiuta la richiesta dei carabinieri di intercettare
proprio quell’uomo che oggi è su un giornale ma che anche all’epoca era sospettato di essere
coinvolto nella scomparsa di Marina”, si dice in un servizio sul caso di Marina Arduini.
Un terzo aspetto problematico risiede nel diffondere, in alcuni casi precocemente, informazioni ed
elementi di prova relativi alle inchieste ufficiali, interferendo con l’iter processuale. Proprio su
questo punto si assiste a una polemica riguardante il caso di Andrea Pizzocolo, l’imputato che
riprese con varie telecamere l’omicidio di una prostituta romena. Enzo Lepre, il suo avvocato
difensore, contesta in tribunale la messa in onda di queste immagini, tratte dal video sotto sequestro,
e chiede addirittura che la corte d’assise sia destituita e sostituita perché ritiene che quella messa in
onda possa aver influenzato i giudici, soprattutto quelli popolari. Ripreso dalle telecamere di Chi
l’ha visto? mentre formula le sue richieste in tribunale, sottolinea anche come l’“attacco
violentissimo” diretto contro di lui da parte di una trasmissione a diffusione nazionale mette a
rischio la sua incolumità. La risposta del programma è netta: “Ci dispiace aver turbato la
tranquillità dell’avvocato, che si sente ora in pericolo. Per quanto riguarda il processo, noi non
abbiamo voluto influenzare la corte, perché basta guardarli, quei video, per vedere quanto
Pizzocolo in quei momenti sia freddo, lucido, consapevole. Ve li mostriamo ancora una volta”.
LA TELEVISIONE DEL DOLORE


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L’accanimento mediatico (the show must go on)

Purtroppo dalle intercettazioni e dalle indagini emerge un quadro
raccapricciante e conflittuale del rapporto tra Sara e la figlia di
Roberta. Un esempio per tutti: in aprile 2013 Sara dice alla bimba
“datti fuoco” e la bimba risponde “datti fuoco tu”.
Servizio sul caso Roberta Ragusa, Chi l’ha visto?,15/10/2014
Le troupe di Chi l’ha visto? sono molto agguerrite nella loro ricerca di informazioni e di dettagli
sempre nuovi, e incalzanti con i protagonisti e i testimoni delle varie vicende raccontate.
Bisogna premettere che la specificità del programma giustifica, più che in altri casi, l’ingresso
nella vita privata delle persone. In particolare, la ricerca di persone scomparse necessita la
diffusione di dettagli funzionali alla comprensione della situazione e del profilo dei protagonisti. La
conduttrice non manca di sottolineare che gli stessi interessati, che si sono rivolti al programma,
chiedono che certe informazioni private della famiglia siano trasmesse. Lo stesso accade per altri
fatti di cronaca come delitti o abusi, per i quali la trasmissione cerca di contribuire alle indagini con
il consenso o la richiesta esplicita dei famigliari delle vittime. Per questo i suoi inviati sono bene
accolti nella maggioranza dei casi.
Un altro elemento positivo che va evidenziato è una certa cura nella verifica di informazioni,
prima della loro messa in onda. Il programma non manca di criticare altri operatori
dell’informazione che diffondono notizie senza fondamento, come nel caso di Elena Ceste: “Si
scava nella vita privata di Elena, si fa addirittura la conta degli uomini con i quali avrebbe
intessuto rapporti di amicizia virtuale e non ... E allora perché bisogna parlare di amanti quando
amanti non ce ne sono? Non si rischia così di offendere Elena e basta? Di renderla ancora una
volta una vittima? E non solo di cosa o chi l’ha condotta in quel fossato? … Gli amanti di Elena?
Non è un titolo, è una fesseria”.
Ciò detto, capita anche di assistere a “sconfinamenti”, in particolare quando qualche persona
coinvolta nel fatto di cronaca rifiuta il contatto con la trasmissione, e i giornalisti, anziché arretrare,
si fanno ancora più insistenti, incuranti del diritto di ciascuno di non interagire con loro.
Un caso per tutti, quello di padre Faustino, parroco di Ca’ Raffaello, che non vuole essere ripreso
dalle telecamere e reagisce con esasperazione alle insistenze della troupe. La conclusione degli
autori del servizio semina sospetti (“Perché padre Faustino, che con noi è sempre stato cordiale, si
è scagliato contro la telecamera?”) e discredita il sacerdote, mostrando un cartello affisso lungo la
strada per il paese, che dice: “Non vogliamo una chiesa così. Padre Faustino vattene!!!”
Il concetto di “testimone” sembra estendersi a chiunque risieda nei luoghi dei reati o delle
scomparse, sollecitato a parlare a prescindere dal fatto che abbia effettivamente visto qualcosa o
meno. Evitare le telecamere diventa una ragione di sospetto, assumendo quasi lo stesso significato
del sottrarsi alle domande degli inquirenti.
Parallelamente, il concetto di privacy si contrae, quasi si dissolve, di fronte a ricerche minuziose
ed estensive che scavano nella vita di vittime e indagati – e, inevitabilmente, di tutto il loro
entourage – e in tutti i canali delle loro comunicazioni: lettere, biglietti, SMS, email, conversazioni
private svelate dalle intercettazioni. Molto di ciò che succede nelle esistenze private è svelato:
litigi e rappacificazioni, bugie e sospetti, slanci, tradimenti e bassezze. È un viaggio che, sfidando il
pudore, porta il telespettatore nelle stanze segrete dei protagonisti, perfino nei loro letti, nei loro
bagni, ben al di là delle necessità di un’indagine televisiva: “Sai che ti sono venute le rughe? Si
notano quando si corruga il viso per lo sforzo mentre si fa l’amore. A proposito di fare l’amore, mi
hai mandata in estasi … Dormire al tuo fianco, il tuo dolce russare e le tue petonzole … lavarmi i
LA TELEVISIONE DEL DOLORE
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denti insieme a te e non vergognarmi più se stiamo insieme in bagno durante le nostre cose private:
tutto questo mi manca terribilmente” (scambio di email tra Antonio Logli e la sua amante Sara
Calzolaio). Un viaggio che insidia perfino i segreti del confessionale: “Chi ha mandato quel
messaggio come ha saputo ciò che la donna aveva rivelato nel segreto della confessione a un
sacerdote? Noi abbiamo incontrato il sacerdote che avrebbe confessato la testimone. L’uomo ci ha
detto che mai e poi mai un prete deve rivelare il segreto confessionale e ha negato di aver parlato
di Guerrina con qualcuno”.
Ma l’aspetto di maggiore criticità si osserva quando i protagonisti delle incursioni nel privato
sono minori.
Si è già segnalata l’inopportunità di descrivere i dettagli più morbosi delle violenze perpetrate
contro i soggetti deboli. Eppure, nel caso di un quattordicenne napoletano, questi particolari sono
ripetuti più volte, prima da un parente, poi dall’autore del servizio. Non solo, del giovane vengono
fornite informazioni che potrebbero consentirne l’identificazione: sono intervistati a volto scoperto
lo zio (con tanto di nome e cognome) e la madre, è citato il nome del quartiere in cui il ragazzo
risiede, ed è indicata chiaramente la stanza d’ospedale in cui è ricoverato. Anche sulla sorte subìta
dalle ragazzine abusate dal fotografo Furio Fusco non si lesinano i dettagli.
I figli delle vittime o delle persone scomparse sono i più a rischio, chiamati costantemente in causa
nei servizi. La loro riconoscibilità è purtroppo ormai scontata, ma ulteriori incursioni nella loro
privacy dovrebbero certamente essere evitate. Per esempio, una puntata di Chi l’ha visto? fornisce
informazioni secondo le quali la figlia minore di Roberta Ragusa non accetterebbe che Sara
(l’amante del padre) si sostituisca alla madre. Si aggiunge che la Procura di Pisa avrebbe inviato al
Tribunale dei Minori di Firenze una serie di atti riguardanti questa bambina e il suo fratello
maggiore, e il tribunale avrebbe aperto un fascicolo ma senza prendere ancora alcun
provvedimento. Si svelano poi, senza alcuna ragione, le intercettazioni in casa di Logli che
evidenziano ciò che la giornalista stessa definisce “un quadro raccapricciante” del rapporto tra la
sua nuova compagna e la bambina (vedere la citazione all’inizio del paragrafo), gettando sotto i
riflettori il profondo disagio vissuto da una minore.
LA TELEVISIONE DEL DOLORE
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La logica assorbente dell'infotainment
Sapete quanto impegno ci mettiamo nel trovare le persone che
scompaiono e che hanno bisogno sempre di aiuto. C’è sempre una
richiesta di aiuto


Federica Sciarelli, Chi l’ha visto?, 24/09/2014
Il programma ci tiene molto a rivendicare la propria funzione di servizio e, nel tempo, ha
certamente contribuito alla ricerca e al ritrovamento di persone scomparse. In ogni puntata si
dà spazio agli appelli e alle richieste di aiuto provenienti da cittadini che si rivolgono
spontaneamente alla trasmissione per ritrovare i loro famigliari o amici.
Questo nucleo originario si è andato ampliando nel tempo, dapprima continuando a seguire i casi di
scomparsa trattati in trasmissione, anche dopo che la loro evoluzione ne rivelava la natura di
omicidi, suicidi o incidenti. L’elenco delle storie trattate mostra che, al presente, questo pregresso
non è più necessario perché un fatto riceva la copertura del programma. Un grande spazio è
riservato a casi di cronaca nera in cui la ricerca di persone scomparse non è – né è mai stata - un
obiettivo rilevante.
Ciò che è certamente rimasto, come filo di continuità con l’impianto originario, è l’approccio
investigativo, che ha esteso la sua portata: cercare non persone scomparse ma testimoni o
individui rilevanti per le indagini, trovare oggetti che possano gettare luce sull’accaduto, ricostruire
la linea temporale e l’ubicazione degli eventi, formulare ipotesi sull’accaduto e sul comportamento
degli indagati, e mettersi all’opera per verificarle.
In un servizio sulla morte di Fortuna Loffredo, si ascoltano queste parole, che descrivono bene
l’approccio della trasmissione: “Bisogna andare più a fondo in questa storia, se vogliamo capirci
qualcosa. Occorre delineare meglio ruolo e personalità di tutti i protagonisti, definire che rapporti
intercorrono tra loro, bisogna soprattutto riconsiderare tutti i fatti avvenuti in passato in questo
palazzone, analizzando eventuali stranezze e coincidenze”.
La conduttrice sottolinea spesso con orgoglio il contributo dato dalla propria redazione alle indagini
ufficiali, o alla riapertura di casi archiviati, e sono frequenti i servizi o le parentesi autoreferenziali,
in cui è il programma stesso a diventare protagonista.
L’attività investigativa è certamente presa molto sul serio. Non c’è soltanto lo scavo psicologico sui
protagonisti, ma anche ricerche sul campo e procedimenti investigativi classici. Ad esempio,
nella puntata del 19 novembre, le immagini riprese dalla telecamera di sorveglianza di una villa
sulla strada percorsa da Gilberta Palleschi prima della sua scomparsa sono scandagliate
minuziosamente per mostrare il via vai di auto e biciclette transitate nei minuti successivi al
passaggio della donna, alla ricerca di testimoni che potrebbero averla vista e quindi offrire
informazioni importanti (e, come si precisa in una puntata successiva, è proprio grazie a questo
video trasmesso da Chi l’ha visto? che gli inquirenti sono risaliti all’omicida). In un altro servizio
molto documentato trasmesso il 3 dicembre, una giornalista presenta un’analisi delle bollette del
consumo di gas del forno crematorio dismesso che Antonio Logli avrebbe usato, secondo alcuni,
per disfarsi del cadavere della moglie. In un’altra puntata si conduce un’analisi calligrafica dei
messaggi scritti da padre Graziano su Facebook, confrontati con un sms attribuito a Guerrina
Piscaglia, per mostrarne le curiose corrispondenze (“Ci sono dei dettagli che lasciano interdetti …
soprattutto l’utilizzo della punteggiatura, può voler dir tutto e niente però di sicuro è un elemento
che ha attratto la nostra attenzione … è come se ci fosse un punto al posto dello spazio, poi non c’è
la maiuscola, no?”), come se il messaggio di Guerrina potesse essere in realtà un depistaggio messo
in atto dal sacerdote. Un’altra perizia calligrafica nella puntata del 22 ottobre permette di
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confrontare la firma di una donna scomparsa anni prima (Marina Arduini) con quella apposta su una
pratica di finanziamento, per suggerire che la sua firma sia stata falsificata e che, dietro a questo,
potrebbe nascondersi il movente di un omicidio. Addirittura, è presente in trasmissione una
genetista che promette di portare i risultati dell’indagine del DNA fatta su due donne per verificare
(dietro loro richiesta) il loro legame di parentela.
Il programma dispone sempre di una grande mole di informazioni. Quanto queste siano il frutto
delle indagini dei giornalisti o provengano da altre fonti, non sempre risulta chiaro. Così come a
volte viene da chiedersi se la diffusione di informazioni che sembrano riservate (intercettazioni
telefoniche, materiale processuale, eccetera) sia concordata con gli inquirenti o meno.
Senza voler mettere in discussione l’impegno profuso dalla redazione di Chi l’ha visto? e l’utilità
riconosciuta al programma proprio per l’apporto dato alle indagini (anche solo come cassa di
risonanza per la ricerca di informazioni rilevanti), è opportuno segnalare alcuni aspetti discutibili.
In primo luogo, il programma oltrepassa le proprie competenze quando dà l’impressione di
“sostituirsi” alle indagini ufficiali. “Il tempo sono un quarto d’ora, venti minuti da quando la
piccola Fortuna lascia la sua casa e poi viene ritrovata morta. Se almeno ci dite in quel tempo, il
24 giugno dov’eravate, perché per noi è importante anche posizionare tutte le persone di quel
palazzo, di quei palazzi che sono lì vicino”, dice Federica Sciarelli nella puntata del 15 ottobre.
In secondo luogo, si osserva un certo grado di spettacolarizzazione delle indagini: gli inviati che
si infilano in cunicoli, gallerie ferroviarie, che esplorano boschi e setacciano stradine di campagna,
come se lo stessero facendo loro per primi, e per la prima volta in quel momento, davanti alle
telecamere, per poi formulare ipotesi inedite, come colpiti da repentine illuminazioni; le
ricostruzioni filmiche dei passi e delle visuali di vittime e indagati; l’impressione offerta agli
spettatori di assistere e partecipare a un’indagine in diretta, come in una sorta di gioco interattivo…
Tutto questo rende evidente che, oltre alla volontà di contribuire alle indagini reali, ha un peso
decisivo nel programma anche il tributo dato allo show

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