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Sito dell'Associazione Italiana per lo Studio e Ricerca sui Comportamenti Violenti -CRCV- Italy. ---------- Violent Behavior and Prevention Research Center - VBRC -Au-- Lorenzi Alfredo, Neurobiol, Neurosc.Human Behavior Biosincr - Basil--Davis CA -- Karin Hofmann, Phd Aggressive Behavior--Au

Caso Tenco,appunti per una analisi personologica e morte,corso Neurosc.Comport. Lorenzi, 2a

Dopo la lunga e articolata premessa, con molti cappelli, spero utili, volta a collocare la vita di Tenco, il suo
ambiente e il mondo attorno a lui, necessaria, dal momento che la contestualizzazione si rende obbligatorio quando si compiono tentativi come il nostro, cioè di fatti e persone a distanza di 50 anni o poco meno. La  prima parte la trovate qui  http://psicov.blogspot.it/2012/11/luigitenco-appunti-per-una-analisi.html
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Intanto, da tutto il materiale delle interviste pre e post morte, abbbiamo visto una serie di affermazioni di notevole interesse, per quanto riferite da altri.
Di notevole interesse quella del compagno di banco di Tenco alle elementari, Bruno Lauzi, che descrive la scena di Tenco che entra spavaldo nel bar (i quattro amici al bar di cui parla Paoli?), e tira fuori una pistola per dire a Lauzi, che l'ha portata nel caso che Paoli ci voglia riprovare (a spararsi). Paoli per contro, dichiara che Tenco lo vedeva come un padre, e che quando lui si sparò, (a causa del fatto che Tenco gli aveva strappato di mano la Sandrelli, scopandosela solo per dimostrare che era una puttanella, e che non valeva la pena di far finire la sua relazione con la moglie), Tenco sostò per molto tempo fuori della porta della sua stanza d'ospedale (dal momento che Paoli non ha più parlato a Tenco dal momento del loro litigio per la Sandrelli), sapendo che era sconvolto, molto colpito. In realtà, la pallottola si era fermata prima del cuore, solo perché una costa l'aveva fermata, quindi Paoli non aveva di certo scherzato.

Ora, è certo che sia la Sandrelli, da quello che dichiara alla signora Rutelli (e parente di Papa Pacelli), Barbara Palombelli, che ancor più Tenco, non erano affatto innamorati e per quanto la Sandrelli dichiari il suo folle amore per Paoli, è certo che tale amore non era così tremendo al punto da impedirle di vedere ogni tanto Tenco e scopare con lui, di cui non le fregava niente (e meno che mai di lei a Tenco).
Perché stiamo parlando di questi punti, apparentemente di nessuno interesse per tracciare un profilo personologico del Tenco? ma perché si tratta di descrizioni che ci forniscono dei campioni comportamentali dei personaggi di cui si discorre e quindi molto importanti (non potendo certo sottoporre a visita il povero Tenco e i suoi amici per costruire la personalità premorbosa e il profilo clinico).

Ora, iniziamo a capire più da vicino chi era Tenco, a partire da alcuni dati certi di tipo biografico.
Questi dati iniziali sono presi dalla ottima tesi di laurea della dottoressa Alexandra Ieni, Dams di Messina.

Luigi Tenco nasce a Cassine, in provincia di Alessandria, il 21 marzo 1938, andò la levatrice all'anagrafe a registare il bambino, viene iscritto all'anagrafe come figlio di Giuseppe , coltivatore diretto di Maranzana, un borgo vicino a Riccaldone il paese d'origine della madre , Teresa Zoccola, gli Zoccola sono dei commercianti di vini e posseggono anche un forno. Giuseppe Tenco muore però sei mesi prima della nascita del suo secondogenito , ucciso dal calcio di una mucca nella stalla. E' accertato però che il padre naturale di Luigi non fosse lui, ma un giovane della zona , uno studente torinese di 18 anni con il quale Teresa ebbe una travolgente storia d'amore collocabile nell'estate del 1937, quando ancora il marito era in vita. La storia tra i due non fu però una scappatella, il padre naturale di Luigi fece di tutto per poter stare con la madre, voleva infatti riconoscere il figlio e sposarla ma la famiglia di lei non volle per non creare uno scandalo.

Il padre fu costretto poi dalla famiglia a sposare contro la sua volontà una giovane dalla quale non ebbe figli, controllò Luigi per tutta la sua breve vita e lo aiutò anche in alcuni casi spinosi ,essendo un avvocato ,come le pratiche per il militare che Luigi non voleva fare. La scoperta del padre naturale Luigi la fece da bambino e segnò la sua vita sensibilmente, infatti gli fu data all'inizio una versione nella quale il padre abbandonava la madre e il figlio , causando in lui un profondo vuoto nei rapporti con l'altro sesso.
Valentino Tenco di 9 anni più grande di Luigi finirà per interpretare la figura paterna negata, anche se nella famiglia Tenco non mancò mai l'affetto e il senso della famiglia intesto in senso patriarcale. Luigi trascorre i primi anni della sua vita tra Cassine, Maranzana e Ricaldone, paese nativo della madre. La famiglia Tenco si trasferisce in Liguria nel 1948 quando Luigi ha 10 anni, prima a Nervi, e poi a Genova a causa della rivelazione del'adulterio di Teresa. La madre avvia un'attività commerciale aprendo un negozio all'ingrosso di vini tipici piemontesi, in Via Rimassa, nella zona della Foce.
Intanto Luigi viene iscritto alla scuola media Giovanni Pascoli (la stessa che frequenterà di lì a poco il futuro amico Fabrizio De André) ed intreccia le sue prime e fondamentali amicizie: tra queste, Ruggero Coppola, Pupi Gatto, Danilo Dègipo,Roy Grassi, i fratelli Gianfranco e Giampiero
Reverberi. Il fratello Valentino deve nel frattempo abbandonare gli studi per farsi carico totalmente del ruolo di padre e di capo famiglia e per far andare avanti gli affari. La madre che pure aveva grosse ambizioni per il primogenito , si rifà su Luigi prospettando per lui un avvenire più ambizioso.

Affida il figlio ad una maestra Sandra Novelli per delle ripetizioni e Luigi per ben tre anni avrà il domicilio presso la casa di questa donna, sarà la Novelli ad introdurlo al pianoforte che risulta essere per Tenco una passione inaspettata, mostra una naturale predisposizione allo strumento e briesce ad eseguire i passaggi più complicati con molta naturalezza vista la sua giovane età. Intanto è comunque nel retro della bottega di famiglia che Tenco suona le prime note di clarinetto, secondo suo strumento , accompagnato dal banjo di Bruno Lauzi . Si iscrive al Liceo Classico Andrea Doria, che frequenterà un solo anno (suo compagno di banco è Bruno Lauzi) per poi passare al Liceo Scientifico (dapprima il Cassini e poi il Galilei, un istituto privato).
Conseguirà la maturità nel mese di Luglio 1956, unico privatista su 257 a superare la prova. Proprio durante gli anni del liceo, con alcuni amici, dà vita a vari gruppi musicali, con un repertorio per lo più composto da musica jazz e dai primi esempi di rock & roll. Luigi suona dapprima il clarinetto, poi si specializza con il sax. Il suo primo complesso, che risale al 1953, ha un nome un po' complicato: Jerry Roll Morton Boys Jazz band, e vede Danilo Dègipo alla batteria, Bruno Lauzi al banjo, Alfred Gerard alla chitarra e lo stesso Luigi al clarino. L'amico Dègipo ha in seguito precisato: "Jelly Roll Morton è stato uno dei più grandi pianisti di jazz del genere honky tonky. Un caposcuola"

Ma la sua passione per la musica non viene vissuta bene in famiglia, Tino Tenco lo zio ricorda “Luigi aveva una memoria straordinaria, gli bastava leggere una cosa per ricordarla perfettamente. In seconda media risolveva con disinvoltura complicate equazioni differenziali. A me e alla mamma sembrava logico, inevitabile che proseguisse gli studi fino alla laurea. Sprecare un talento del genere ci appariva un delitto. Ce lo immaginavamo ingeniere, o professore di fisica e di matematica. A quell'epoca cantare non era affatto considerato un mestiere.” Questa dichiarazione ci spiega anche l'episodio nel quale il giovane Tenco si presenta per suonare in una serata con il clarinetto tenuto insieme da elastici, era stato il fratello a ridurlo in pezzi.

Nel 1956, assecondando i desideri della madre e del fratello che ambiscono per lui ad un futuro da laureato, si iscrive al biennio propedeutico della Facoltà di Ingegneria. bIl 2 giugno 1957, supera l'esame di "Disegno  con 20/30. Ma in seguito, esaminato dal prof. Togliatti (fratello dell'allora segretario del Pci), fallisce per due volte l'esame di "Geometria analitica e proiettiva" Per due anni non sosterrà altri esami ed anzi deciderà di cambiare corso iscrivendosi a Scienze Politiche. Ma in quello stesso anno entra a far parte, anche se saltuariamente, del Modern Jazz Group di Mario De Sanctis. Oltre allo stesso De Sanctis (al piano) e Luigi (sax alto), della formazione fanno parte Fabrizio De André (chitarra), Attilio Oliva (sax baritono), Alberto Cameli (sax tenore), Carlo Casabona (contrabbasso) e Corrado Galletto (batteria).

...ad un certo punto si vede costretto a schierarsi tra quelli che apprezzano Miles Davis o tra quelli che non posso non sostenere che Chet Baker sia superiore, Tenco si schierò tra quelli che considerano Beker il traguardo di ogni jazzista, arrivò addirittura ad uno scontro fisico per sostenere la sua causa. Nel periodo milanese Tenco è ospite dell'amico Reverberi che gli fornisce vitto e alloggio , è ospite insieme a Piero Ciampi, Reverberi per farlo lavorare lo ingaggia per suonare il sax in ogni disco dove servisse lo strumento, Tenco così riesce a percepire la paga da orchestrale. Più tradi alloggerà alla Pensione del Corso, ubicata nella Galleria omonima, è qui che approdano anche Ciampi, Poli , Endrigo , Mina, Costello, Edda Vincenza ed altri, ma lo storico abitante il sindaco era Franco Franchi che alloggiava nella Pensione dal 1954. Tenco giocava spesso a poker con Franchi e i due una sera avevano intenzione di fregare l'anziana vecchietta ( la madre di Mainardi il violoncellista ) ospite anche lei, ma la cosa non riuscì e loro malgrado restarono fregati.bAl Tecla di Milano passava ogni tanto anche il trombettista jazz Chet Baker uno dei miti di Tenco difeso anche con i pugni, è Franchini a farli conoscere , pare che Chet Baker abbia visto una volta esibirsi Tenco al sax e che, successivamente ogni volta che vedeva entrare il giovane apprendista
scappasse.

In famiglia non vedono di buon occhio la sua passione. Valentino era legatissimo al fratello ma la durezza di esperienze frustranti assommavano in lui il fratello e il padre in un atteggiamento di difesa quasi morboso. La guerra, il padre precocemente scomparso, il dover far fronte a necessità sproporzionate per la sua età portarono Valentino a ritenere dispersivo l'hobby di Luigi; i due erano legati da un affetto profondo ma destinati a esprimersi con codici diversi. La madre si raccomandava spesso a Minerbi per farlo desistere; Minerbi, che aveva capito il talento di Tenco invece lo spronava" fu infatti lo stesso Minerbi a portarlo a Milano da Monzino per cambiare il suo sax, sosteneva che fosse stato meglio per lui un sax contralto ( come quello di Parker ) anticipò addirittura anche la somma”.
Il primo disco come Gigi Mai




Il 18 giugno 1960 Tenco, che nel frattempo si è iscritto a Scienze Politiche dopo la deludente esperienza a Ingegneria, supera l'esame fondamentale di "Geografia politica ed economica", con voto 24/30. Il 30 giugno Partecipa a Genova, a fianco dei "camalli" (lavoratori portuali), alla manifestazione di piazza che intendeva opporsi ad un comizio del M.S.I.
Il fatto di usare degli pseudonimi è anche spiegato in una lettera mandata alla casa discografica in cui si evince che non era solo un capriccio il fatto di non voler usare il proprio nome ma una questione più importante.

Mitt. Luigi D.Tenco
Genova, 8/8/60
Egregio Dott. Nanni Ricordi
presso S.p.a Ricordi “Sezione Dischi”
Via Berchet 2, Milano

Ho ricevuto comunicazione dal Dott. Crepax del fatto che, essendo ormai uscito il Long-Playing riassuntivo della produzione annuale, comprendente l'incisione di “Quando”, cade automaticamente ogni possibilità di discussione circa l'acquisto del disco stesso da parte dellaS.E.F.I. Quindi mi rivolgo a Lei, pregandola di scusare il disturbo che Le arreco a causa di questa incisione, onde essere compreso nel mio desiderio di non comparire su alcun disco con il mio nome anagrafico ( escludendo il 33 giri di cui sopra sia perchè già in vendita, sia perchè non credo estremamente commerciabile ); desiderio che, per ragioni di cui io stesso non conosco la natura precisa, mancai di esprimere in tempo utile. Essendo io iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche da due anni e ciò che più importa, ad un partito politico ( per l'esattezza il P.S.I. ) nella cui direzione sono candidato ad assumere incarichi di una certa responsabilità......”

In questo periodo parte anche alla ricerca del padre , e parte con le convinzione che lo avevano accompagnato fino ad allora, la sentenza è unica ed inequivocabile, lui si è approfittato della madre
e non merita nulla , risponderà al fratello “per quel che me ne importa!” E' questa situazione a generare in Tenco un rapporto con le donne mutilo, quasi una forma di indentificazione con il padre, la maggior parte dei rapporti di Tenco avviene con donne sposate, in più di un'occasione ruba la donna ad un amico. I rapporti con il padre in questi anni sono conflittuali e discontinui ma lui non demorde e farà di tutto per avere l'affetto del figlio.

L'8 marzo 1961 esce un altro 45 giri con Quando: questa volta con il suo vero nome e cognome. La seconda canzone è Triste sera. Il 9 marzo esce il 45 giri Il mio regno / I miei giorni perduti. L'8 maggio esce il 45 giri Una vita inutile / Ti ricorderai. Il 27 giugno supera l'esame complementare di "Sociologia", con voto 24/30. Non sostiene più esami ma rimarrà iscritto all'università fino all'anno 1964.

Durante l'estate gira il film "La cuccagna", per la regia di Luciano Salce. Luigi collabora alla colonna sonora ed interpreta La ballata dell'eroe dell'amico Fabrizio De Andrè, ancora sconosciuto. Il film esce nelle sale cinematografiche di tutta Italia in ottobre, ma "non sfonderà al botteghino, né avrà una buona accoglienza sul fronte della critica specializzata.(Salce non è mai stato troppo fortunato con la critica e anche con il botteghino, pur restando per me uno dei geni del periodo 60-75, nota mia). Il film affronta i miti del falso boom economico, la nascita dell'ecologismo, la difficoltà di essere sè stessi in una societa del consumo, sullo sfondo c'è una Roma godereccia dove è assente la cultura del lavoro e impera invece il vizio della bustarella e della tangente “ecco a cosa serve a Roma il denaro” “ per corrompere”. La presenza di Tenco su un film di un ora e mezzo non supera i venti minuti questo a causa di un brutto incidente nel quale si ruppe una gamba poco prima delle riprese, la sua andatura un po' ingessata nel film è causata proprio dal tutore che portava.
La carriera cinematografica del giovane attore sembra tuttavia promettere bene. Infatti Tenco viene convocato per la parte del protagonista ne La ragazza di Bube dal romanzo di Carlo Cassola, per la regia di Comencini. Sembra fatta ma all'ultimo momento gli viene preferito George Chakiris, l'attore americano assurto a improvvisa, vivida fama recitando in West Side Story. Secondo qualcuno la delusione di Tenco è bruciante. Altri invece (Coppola) affermano che la bocciatura venne accolta con fatalismo, se non addirittura come una liberazione" (E' probabile che entrambe le due impressioni siano concomitanti in Tenco, nota mia)
Tenco sviluppa simultaneamente una passione per il cimema, diventa un cinephile, compra una cinepresa da 16 mm e con Degipo allestiva film sperimentali, scrisse anche una sceneggiatura tutt'altro che dilettantistica. Nel novembre 1962 esce il suo primo 33 giri, in cui troviamo Mi sono innamorato di te, Angela e Cara maestra. A causa di quest'ultimo brano il disco viene "censurato" e sarà la prima di tante censure a volte incomprensibili. Pochi giorni più tardi esce però un 45 giri contenente le prime due canzoni (le sole ammesse all'ascolto dalla Commissione per la censura).
Si lacera intanto il rapporto con la casa discografica Ricordi. Il brano Mi sono innamorato di te era
stato richiesto, senza esito comunque, da un altro imprenditore discografico per il quale Luigi inciderà poi nel periodo 1964-1965.

Nel 1963, durante il primo semestre dell'anno, litiga con Gino Paoli per via del flirt con la giovanissima attrice Stefania Sandrelli, appena diciassettenne. "Nel '61 Paoli aveva allacciato una relazione amorosa con Stefania Sandrelli. L'aveva conosciuta, intrigante quindicenne, poco prima del suo esordio nel cinema in Divorzio all'italiana... È inevitabile correre al tentativo di suicidio messo in atto da Paoli il 13 luglio 1963. La tragedia non si compie per un millimetro, la distanza che separava, e separa tuttora, il cuore di Gino dalla pallottola sparata dalla Derringer calibro5". I due cantautori rompono ogni rapporto e non si parleranno mai più. (Paoli non sarà nemmeno presente al funerale, come Dalida, ma manderà la moglie, nota mia).

Nel gennaio 1964 inizia la collaborazione con l'etichetta discografica Jolly (Joker). (una etichetta secondaria, di serie B rispetto alla mitica Ricordi di Nanni Ricordi, recentemente scomparso, che sarà la base non solo del jazz negli anni del dopoguerra, ma anche di tutte le novità di rilievo della musica popolare, solo per citare un nome: Lucio Battisti, che inizia a farsi conoscere proprio durante l'anno 1967, assieme poi, solo dopo, a Mogol, il cui padre era un collaboratore di Nanni Ricordi e lui era cresciuto praticamente in Galleria del Corso a Milano, dentro la Ricordi nota mia, personalmente conosciuta come amico di musicisti e musicista pure io per quanto prevalentemente autodidatta).

Sentiamo cosa ci dice Roberto Grassi, grande amico, duraturo.

Roy Grassi fu un grande amico di Tenco , abitò insieme alla moglie ed al figlio piccolo nella Torre di Recco che Luigi aveva acquistato con i proventi dei suoi dischi.
La casa era una villa costruita su un antica torre e Tenco ci abitava con la famiglia, la sua casa era
anche il suo laboratorio, ed era a Recco che Luigi trascorreva il suo tempo libero , un'attività che scopri insieme all'amico Roy fu l'immersione subacquea, riporto qui una testimonianza di Grassi “Le grane cominciarono quando, una volta. Luigi mi vide con le bombole. Sapeva da tempo che facevo pesca sub ed aveva visto anche Franca immergersi. Franca a dire il vero era bravissima: si muoveva sott'acqua come se avesse sempre fatto immersioni. - Voglio immergermi anch'io - disse Luigi. Frase lapidaria, che precedette una rapida corsa a Genova per acquistare tutta l'attrezzatura necessaria.
Non è che a me dispiacesse che Luigi s'immergesse con me; ma non sapevo ancora quale tremenda catena di avvenimenti avrebbe messo in moto questa sua innocente decisione. Io sono un freddoloso, quindi decisi di autocostruirmi una muta fatta con ritagli di neoprene. Decisi di farmela da solo per due ovvie ragioni, prima i quattrini e poi perché volevo una muta tutta d'un pezzo, che non si trovava in commercio. Luigi volle imitarmi. Certamente a lui non mancavano i quattrini per prendere una muta di fabbrica; ma la sua giustificazione a questa imitazione fu che voleva una muta "da sera"! Il neoprene che acquistò difatti era "argentato". Cose da pazzi!
Incollammo e tagliammo per non so quanti giorni; inevitabilmente le mute si strappavano sotto le ascelle e facevano borse e pieghe da tutte le parti per la nostra imperizia di "tagliatori"; forse saremmo ancora lì a lavorare se Franca, commossa dai nostri maldestri tentativi, non fosse intervenuta con forbici e ritocchi a creare delle meravigliose "pinces" che fecero aderire le mute come abiti da sera.
Eravamo assurdi! Le nostre mute, con noi dentro, avevano più la parvenza di grossi squali che di mute. Si presentavano tutte piene di quadretti, losanghe, triangoli... Sembravano fatte a scaglie come i pesci. Luigi addirittura risplendeva al buio. Ci immergemmo. Controllare Luigi era difficile. La sua incoscienza mi faceva sudare sette camicie. Sott'acqua era facile giocarsi la pelle per un banale errore. Siccome sapevo che Luigi metteva l'anima in tutte le cose che faceva, pensavo che non si sarebbe reso conto del pericolo. [..]
Un'altra cosa preoccupante era che Luigi soffriva di sinusite. Questo inconveniente non facilitava le immersioni. Ma "boia chi molla!" sembrava essere la regola di Luigi. Un'altra testimonanza di Grassi ci illustra la costruzione dello studio di registrazione che Tenco aveva nella sua torre e dal quale vennero fuori dopo la sua morte molte registrazioni inedite. Dopo tanti progetti e discussioni, infine ci eravamo costruiti un piccolo laboratorio di registrazione. La prima cosa che voleva ottenere Luigi era poter riascoltare, miscelare e sovrapporre quello che suonava.
Oggi, con i microprocessori ed il progresso dell'elettronica, un discorso del genere può sembrare persino scontato, per gli anni in cui lo progettammo aveva del fantascientifico. La prima difficoltà che incontrammo fu quella di reperire dei registratori ad alta velocità che si prestassero per le modifiche che noi volevamo fare. Dopo tante ricerche la nostra attenzione si fermò sui "Tamberg". La messa in opera vera e propria dei registratori, degli amplificatori, ecc. comportò un lavoro di giorni e giorni. La soluzione venne dopo molte ricerche. Vicino alla vecchia torre di Luigi vi era una potente stazione radio della marina militare. La frequenza delle sue trasmissioni veniva captata dai nostri amplificatori, i quali, facendo il loro dovere, passavano il segnale agli altoparlanti. Ci vollero altri giorni di duro lavoro per schermare il nostro impianto e passare a massa quel segnale così invadente.
Infine, la soddisfazione di lavorare nella "nostra" sala d'incisione ci ripagò di tanto lavoro. Anche questa avventura venne puntualmente scritta sul diario. Luigi, di proprio pugno, vi aggiunse un sacco di note critiche sul mio modo di lavorare e posizionare i cavi. Tutta la parte è stata stralciata per i motivi citati in testa a questo libro. Eccone comunque un campione: “Dolori, dolori. Luigi si vuole costruire una sala di registrazione personale... Credo di sapere già cosa mi aspetterà in futuro! Ovvio che abbia coinvolto anche me in quest'altra impresa folle. Ha già vuotato (dico ha perché lui è convinto di aver fatto tutto il lavoro da solo) due stanzette laterali della torre. Poi guardando il muro con occhio critico ha deciso dove dovevamo praticare un foro... Da lì si doveva vedere chi suonava nell'altra stanzetta...”.
[Tralascio la parte riguardante la muratura per non riportare scene folli, avvenute quando ogni stanza era piena di calcina e polvere di mattoni].
“Costruimmo il banco di registrazione: un mese di lavoro paragonabile solo ai lavori forzati che si fanno nelle miniere di sale del Texas... Il lavoro fu veramente caotico, anche perché io ero del parere di semplificare le cose e tirare ad ottenere un risultato immediato, senza tanti fronzoli od abbellimenti. La mia filosofia costruttiva si basava sull'assioma: Basta che tutto funzioni bene. Per Luigi le cose dovevano essere solo... perfette! Nulla di meno lo accontentava. Quindi ogni più piccola parte dell'impianto andava controllata e poi ricontrollata. Infine, la si poteva anche montare... Ma non era detta l'ultima parola... Volendo si poteva anche migliorare il tutto!

Intanto, il 14 maggio 1965 esce il secondo album, contenente Ho capito che ti amo, Ragazzo mio e la prima versione di Vedrai vedrai. Il 13 ottobre dello stesso anno scrive alla fantomatica Valeria la prima delle tre lettere conosciute dall'opinione pubblica [saranno pubblicate dal quotidiano genovese Il Secolo XIX nel 1992].
 Il 7 gennaio 1965, dopo parecchi rinvii per motivi di studio [la visita di leva risale all'11 aprile
1958], si arrende all'inevitabile e parte per il servizio militare a Firenze.
Ma dall'8 gennaio fino all'11 marzo 1966 ,giorno in cui sarà posto in congedo,Tenco passa attraverso numerosi ricoveri in ospedale per non meglio precisate malattie che gli fruttano complessivamente - stando alla fredda eloquenza delle carte ,420 giorni di convalescenza. Praticamente l'intero periodo della ferma.
Durante il militare effettua anche un viaggio-tournè in Argentina sul quale molti ritrovano uno dei moventi in questo caso politici dell'omicidio Tenco.
Nel 1965 Luigi Tenco si trova sotto le armi, nel Dicembre dello stesso anno parte, va a Buenos Aires per partecipare come ospite ad una trasmissione televisiva “Casinò Philips” dove canterà la sua “Ho capito che ti amo”, diventata sigla di una famosa telenovelas Argentina. Con lui andò in Argentina il suo amico Reverberi, molti giornali in Argentina parlarono di quell' evento quindi Luigi partecipò davvero a quella trasmissione.
Così Gianfranco Reverberi rievocò l'episodio a Renzo Parodi:”Telefonai all'impresario argentino che aveva organizzato il tutto. Che facciamo? Rinunciamo?” L'impresario supplicò di partire: -No, no, venite lo stesso. Semmai facciamo le riprese in aeroporto, risalite sull'aereo e tornate in Italia. Se la gente qui non lo vede, ci sfascia la Tivù” Quindi, per presentarlo al pubblico argentino e dimostrare che esisteva veramente, Tenco venne invitato per l'ultima puntata del serial; la televisione aveva pensato di fare una sorpresa all'interprete
femminile dello sceneggiato, facendo arrivare Luigi a Buenos Aires per cantare dal vivo la sua canzone.C'era però un problema: Tenco era sotto le armi, e non poteva espatriare. Le autorità militari fecero capire che avrebbero chiuso un occhio, ma di restituire il passaporto neanche a parlarne. E senza passaporto, Tenco non avrebbe potuto varcare la dogana argentina. Tenco partì, accompagnato dallo stesso Reverberi, e all'aeroporto trovò ad accoglierlo una folla in delirio che sfondò le transenne, lo prese di peso e lo portò in trionfo oltre i controlli di frontiera; persino i doganieri si unirono alla festa.
Ecco la pesante anomalia: Tenco è militare, il passaporto è in mano all'esercito, come fece i controlli all'aereoporto? Riguardo l'evento l'amico Reverberi ha sempre minimizzato la questione risolvendo il problema della dogana con lo sfondamento delle transenne da parte della folla in delirio che lo porta in trionfo di fatto evitando i controlli. Il sig. Reverberi dimentica che non esiste solo il check – out ( Buenos Aires ) ma c'e anche il check – in ( Roma? ) e li la folla in delirio non ci stava. Perchè tacere che a Luigi venne concessa una dispensa speciale? Semplicemente perchè non risulta nessuna dispensa speciale a nome di Luigi Tenco ma a questo punto sorge spontaneo chiedersi perchè il militare Tenco non fu sottoposto a processo militare per l'assenza ingiustificata di 10 giorni? Chi vede il movente in questo viaggio dell'omicidio fa coincidere il soggiorno di Tenco in Argentina con il successivo colpo di Stato, l'Italia fu infatti responsabile di aver fornito le tecnologie strategiche , le armi e i soldi per rovesciare il governo di Illa.
Tenco sarebbe stato così un messaggero del governo italiano a sostegno del golpe, ma questa spiegazione è inverosimile ed ha tutti i connotati di un depistaggio fornito ad arte. La verità però e che dal ritorno da quel viaggio per Tenco incominciano le minaccie di morte che lo porteranno a richiedere un porto d'armi nel novembre del 66 e ad acquistare due pistole.

In agosto 1966, nella sede della Rca, a Roma, conosce la cantante italo-francese Dalida che sta incidendo
"Pensiamoci ogni sera": un incontro che sarà decisivo nella carriera artistica ed esistenziale di Tenco, indipendentemente dal legame affettivo che legò o meno i due artisti. (rimando alla intervista di Dalida, quando parla di come si sono conosciuti). Fatto sta che nel settembre dello stesso anno Tenco si reca a Parigi, insieme ad alcuni funzionari della Rca, per presentare a Dalida la canzone Ciao amore ciao. E da lì nasce l'idea della partecipazione di Tenco e Dalida al prossimo Festival di Sanremo.
Alla vigilia del festival vari amici, tra cui Nanni Ricordi e Michele Maisano, cercano di dissuaderlo: ma Tenco è ormai in gioco. Forse non sa come fare; forse un po', in fondo, ci tiene. Sta di fatto che Fegatelli riporta una sua dichiarazione che lo stesso biografo definisce come una sorta di testamento, e che è comunque l'espressione dei suoi sentimenti:
"Io ho sempre imboccato la strada sbagliata. Sbagliai quando mi illusi di diventare ingegnere e a casa mia non c'era una lira, sbagliai quando mi misi a scrivere canzoni e quando mi illusi di fare un
mestiere. Ho sbagliato pure adesso a venire a Sanremo, anche se mi ci hanno voluto loro, perché io non ho fatto una mossa per venirci, e magari non ci fossi venuto mai".

Attenzione a non sopravvalutare queste esclamazioni (esploits, come dicono i francesi);spesso sono parte di un personaggio autocostruito. Si arriva all'inizio del 1967, e la relazione in parte vera, in parte data per i giornali, di Tenco e Dalida, li porta a Sanremo, dove ci sono giri di scommesse clandestine, sottoboschi di criminalità anche mafiosa, inoltre Dalida è seguita sempre dal suo maneger, ex marito, Lucien Morisse.


“Canterò finché avrò qualcosa da dire, sapendo che c'è qualcuno che mi sta a sentire e applaude non soltanto perché gli piace la mia voce ma perché è d'accordo con il contenuto delle mie canzoni. E quando nessuno vorrà più stare ad ascoltarmi, bene, canterò soltanto in bagno facendomi la barba. Ma potrò continuare a guardarmi nello specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo".


Dibattito al Beat 72 Roma  La canzone di protesta (c'era anche Walter, non lo sapevate?).
NB: considerati i molti riferimenti alla vita politica e sociale dell'epoca (1966), per comprendere meglio il senso delle affermazioni che state per leggere, tenete presente che:
  • In Italia il servizio militare era obbligatorio. L'obiezione di coscienza era un reato (tale rimase fino al 1972) e chi non rispondeva alla chiamata finiva in un carcere militare.
  • Il divorzio in Italia non esisteva ancora (diventò possibile soltanto nel 1970).
  • Gli Usa avevano da poco iniziato la loro avventura militare nel Vietnam.
  • Con "i casini di Tambroni" Tenco fa riferimento alla sollevazione popolare che avvenne a Genova nel 1960 (con scontri di piazza tra manifestanti e polizia) per protestare contro il congresso del MSI che avrebbe dovuto tenersi nel capoluogo ligure.
Poco prima del suo tragico gesto, nel corso di un drammatico dibattito sulla canzone di protesta, Luigi Tenco si vide attaccato dal suo stesso gruppo di "arrabbiati" e venne accusato di mistificazione. Il dibattito, registrato su un nastro magnetico in nostro possesso, si trasformò in un vero e proprio processo e Tenco fu costretto a difendersi. Le sue parole, ora, assumono il tono di un testamento spirituale. Il modo lineare, spontaneo, appassionato con il quale Tenco spiegava come poteva essere giunto a Sanremo e che cosa si aspettava dal mondo della canzone, possono meglio chiarirci i "misteri" della sua personalità. Le sue parole, inoltre, distruggono quanto affrettatamente, quasi per tacitare le coscienze, è stato detto e scritto su di lui.

Voce 1: Carlo, vieni qua, vogliono sapere se tu protesti.

Carlo: Io sì, protesto.

Voce 1: Contro chi?

Carlo (piazzandosi con aria provocatoria davanti a Luigi Tenco): Contro tutti, contro te soprattutto, che fai la finta protesta. Se si fa l'antimilitarismo si fa coi fatti, non a parole con le canzonette, porca miseria!

Tenco: Che vuol dire "coi fatti"?

Carlo: Significa non fare il militare, ecco tutto. Io sono andato al manicomio per non fare il militare, capisci... Io mi sono tagliato le vene. Ho detto: visto che le parole con della gente come voi non servono, io mi squarcio le vene e il militare non lo faccio e se questo è un parlar da pazzo mettetemi al manicomio. Io consiglio tutti i miei amici a far questo, a esporsi rischiando di persona e non portando il distintivo del Mec, là, e il Not War, e il fate-l'amore-non-fate-la-guerra e altre cretinate del genere. E peggio che mai con le canzonette, che poi fruttano soldi...

Tenco: Aspetta un momento allora, ascolta: se è per questo ti dico subito che soldi spero di farne. Un po' ne ho già fatti e spero di farne, ancora di più, capisci, perché uno coi soldi si sente più tranquillo, più libero... Su questo siamo d'accordo? Bene. E quando li farò non li devolverò all'azione cattolica ma me li tengo e me li mangio. In puttane, in quello che ti pare ma me li mangio io. Quanto all'altra questione ti dico però una cosa, e cioè che io faccio, anzitutto, il cantante, prima cosa. Se avessi saputo fare il violinista avrei fatto il violinista oppure, non so, il giornalista, lo sciatore. A questo punto quando viene a galla la personalità di un individuo sappiamo che ci sono individui accomodanti e individui non accomodanti. C'è chi fa il ragioniere di banca e non è accomodante, c'è chi fa il poeta ed è accomodante. Ma questo è un fatto secondario. Cioè, io canto non perché mi interessa protestare e poi quindi lo faccio cantando. Io canto, ripeto, perché mi piace la musica. Da bambino prima ancora di sapere che cos'era la protesta, io avevo una chitarra in casa con la quale suonavo.

Voce 2: E con ciò? Anche la canzone di protesta è una merce di consumo, una forma di sfruttamento uguale alle altre. Tu ci campi sopra, dunque anche tu sfrutti...

Tenco: Ma non è assolutamente vero... Io non sfrutto nessuno... Io faccio delle canzoni e anziché farle e cercare di guadagnare dei soldi scrivendo canzoni che parlano di fiorellini eccetera, io faccio delle canzoni parlando di determinate cose alle quali io credo.

Voce 3: E così facendo fai gli interessi di quelli contro i quali protesti, perché dai soldi a chi sta in alto, a chi comanda questo stato di cose... Perché con i dischi venduti, anche il signor Bob Dylan dà miliardi agli industriali americani che fanno la guerra... E uno che partecipa al sistema che, a parole e in musica, respinge, o è un mistificatore o servo sciocco.

Tenco: Allora sarà bene intendersi molto chiaramente su questa storia della partecipazione. Anzitutto prendiamo atto di un fatto, che questa è una società di tipo industriale, e perciò se voglio fare arrivare non dico una protesta, fare arrivare un certo mio discorso al pubblico bisogna che lo faccia industrialmente. Giusto? Anche prima ci sono state senza dubbio canzoni molto impegnate, senz'altro più intelligenti, ma che però non avevano approdato a niente... Oggi si parla di cartoline precetto strappate, ma strappate in grande numero! Si parla di marce della pace alle quali ci va un sacco di gente... E questa gente perché ci va?

Voce 2: Non penserai che questo sia soltanto un fatto di canzoni di protesta, eh?

Tenco: Ma io dico: Bob Dylan, Barry McGuire quando vende un milione di dischi di "Eve of distruction" fa qualcosa che non poteva fare se non avesse fatto parte di un tipo di società nella quale si deve, a un certo punto...

Voce 3: Guarda che qui c'è un vizio di base. Perché non è che sia Bob Dylan ad aver fatto questo. Bob Dylan è l'espressione di uno scontento generale che c'è tra i giovani negli Stati Uniti d'America...

Tenco: Ma io non discuto... ma io non voglio dire questo... se sia nato prima l'uovo o la gallina, questo è un discorso che non mi interessa. Io dico: Bob Dylan non può essere tacciato di mistificazione, perché non è un mistificatore...

Voce 3: E chi l'ha tacciato di mistificazione?

Tenco: A me prima è stato detto che sono un mistificatore, uno che addirittura fa la finta protesta per guadagnarci i soldi... Ma non è vero, perché per guadagnarci i soldi tu sai benissimo che la protesta non è il mezzo più idoneo... dico la protesta vera, sincera, non quella come qualcuno viene fuori a fare oggi zuccherata, ipocrita, pensando che sia di moda, e che rischia di sciupare lo slancio anche di chi, come me, ha sempre cantato in questo modo...

Voce 3: D'accordo, resta comunque un fatto che non puoi negare, e cioè che un Bob Dylan, nella parabola della sua carriera, è diventato ad un certo punto un tipico prodotto della società dei consumi americana!

Tenco: Ma è chiaro! Se non lo fosse diventato, non avrebbe detto niente. Non avrebbe potuto dire niente. Invece, che cosa ha fatto? Ha capito che oggi gli strumenti per comunicare con la gente sono quelli, e che anche a costo di passare da qualche forca caudina a quegli strumenti bisogna arrivare, perché sono strumenti formidabili... il menestrello che oggi va a cantare sotto le finestre, non dice niente, non serve a niente...

Voce 4: Siete stati voi allora che avete mandato la polizia a impedire la libera manifestazione di quello che vuole fare la sua canzone per la strada di fronte agli altri. Forse lo avete impedito voi per far vendere più dischi!

Tenco: Senti, anzitutto non so come tu faccia a sostenere che siamo stati noi a impedire che questo o quello vada a cantare per la strada. Tu pensi proprio che io mi preoccupi di andare a dire...

Voce 4: Mi è venuto il dubbio in questo momento...

Tenco: Ah, va beh... ma ti è venuto seriamente? O è un discorso retorico? Perché se è un discorso retorico, d'accordo... Insomma, che io vada là a dire mettete dentro questo tale...

Voce 4: No, non intendevo tu personalmente...

Tenco: Allora è un discorso retorico e quand'è così, aspetta un momento, ti dico: a questo punto tu sai bene che io non l'ho fatto come non l'ha fatto lui, come non le han fatte nessuno cose di questo genere. Questo individuo con la chitarra anzi ha fatto molto bene ad andare per la strada, a cantare eccetera. Però io dico questo: non inserito in questo tipo di civiltà, nel suo meccanismo, questo individuo quello che vuole dire lo dice a ben poche persone, perché lo dice alle persone di questa strada. Giusto? Perché bisogna insomma ricordarsi che a un certo punto c'erano anche persone che quando Dante, mettiamo, e senza con questo fare paragoni, ha scritto la Divina Commedia, c'erano persone che si sono opposte perché Dante scriveva in italiano invece che in latino. Ci sono altri invece che invece volevano, quando i latini scrivevano in latino, che si scrivesse in greco. E quando si scriveva in greco che non si scrivesse per niente. Bisogna vedere se si fa parte del mondo di domani o del mondo di ieri. Il cantante che gira per le strade con il chitarrino, fa parte del mondo di ieri!

Voce 2: Macché ieri e domani. È il mondo di oggi invece, quello che importa.

Tenco (infervorandosi): Il mondo di domani è quello che importa! Perché il mondo di oggi evidentemente non va bene, e si cerca di correggerlo. Altrimenti avremmo tutti ottant'anni e ci preoccuperemmo solo del mondo di oggi. Mentre tutto ciò che facciamo, lo facciamo - spero e mi auguro - pensando al mondo di domani!

Voce 3: E tu davvero pensi, in buona fede, di poter raddrizzare il mondo con le canzoni di protesta? Davvero credi che si possa, ad esempio, evitare le guerra a suon di canzonette?

Tenco: Tutto ciò può servire. Se dentro le canzoni ci metto delle idee, queste idee si trasmettono con le canzoni. Solo che per diffondere adeguatamente le canzoni è, ripeto, necessario che io trovi la maniera di farlo con gli stessi strumenti della società a cui mi rivolgo. Altrimenti è inutile, ne fai a meno, non protesti. Quanto alla protesta contro la guerra, io dico sinceramente, magari farò anche delle canzoni per protestare contro la guerra... ma è come dire che di mamma ce n'è una sola, che siamo tutti fratelli... ma che vuol dire? I giovani in America protestano perché l'America è un paese in guerra, perché i suoi ragazzi stanno in questo momento partendo, molti vanno a morire... Ma da noi, qui, la guerra, la protesta contro la guerra, non prende nessuno. Noi abbiamo mille altre cose contro cui protestare. Possiamo protestare contro il clericalismo, l'affarismo, la corruzione, la mancanza di una legge sul divorzio, gli scandali a ripetizione, il qualunquismo, la burocrazia bestiale... e questa protesta non viene mai fatta. Preferiamo scimmiottare le proteste americane, cosa oltretutto facilissima qui in Italia, dato che non c'è nessuno che si senta pizzicato quando tu gli dici che è sbagliato morire, viva la pace, eccetera. Parlagli del divorzio, della mafia e di altre faccende che scottano, e allora vedrai che la gente si arrabbia e ti dà addosso...

Voce 2: ...E tu è di questa roba che parli apertamente nelle tue canzoni? Ma fammi il piacere... Tu non protesti. Tutt'al più mugugni...

Tenco: Può darsi. Comunque, esprimere certi stati d'animo, di disagio, di insofferenza, di insoddisfazione è già anche questa una forma di protesta. E poi, scusa, ma se tu salti fuori a dire delle cose che vengono poi automaticamente rifiutate, puoi anche fare a meno di tentare. Se vai alla radio e pretendi di metterti a cantare delle cose, faccio un esempio, contro i preti, ti prendono e ti sbattono fuori. E che guadagno c'è? Io appunto una volta avevo fatto una canzoncina che diceva: "Mio buon curato..." eccetera. Non era niente di terribile. Solo qua e là un filino di ironia. Risultato: due anni senza metter piede alla TV.

Voce 2: Ora però ci sei, bello e condizionato, perfettamente integrato, inoffensivo. Sceso evidentemente a patti. Proteste che non fanno il solletico. Tutto questo ti sembra serio? Tutto questo ti sembra coerente?

Tenco: E piantala! Io compromessi non ne ho fatti mai, con nessuno, perché non ne so fare, non riesco a venire a patti con la coscienza, cioè con certe mie convinzioni. Io sono come sono. Eppoi la mia non è una protesta che nasce intellettualmente, con il fatto di dire adesso io protesto contro Tizio o contro Caio. È una protesta che nasce al di fuori della propria volontà. Nasce dal fatto che uno si sente estraneo a un dato meccanismo... Cioè io insomma le canzoni come le fa Morandi, non le so fare. Succede che a un certo punto mi salta la gomma e dico... ecco, io il militare non lo so fare. Non voglio, non so andare a morire... E questo è uno sfogo spontaneo, una protesta sincera. Non è stata studiata al tavolino. Così le parole di quasi tutte le mie canzoni esprimono questo senso, come dire, di malessere. Si può protestare in mille modi, in mille forme. Questa è la maniera mia, e viene dal mio carattere.

Voce 5: Per me è una forma sterile, come quella degli obiettori di coscienza. Tu che parli da sapientone, spiegami cosa fanno questi famosi obiettori. Qual'è per esempio, secondo te, la tendenza politica degli obiettori?

Tenco: Beh, io penso che gli obiettori sono senz'altro dei coraggiosi. Gente che va in galera un anno, due, tre, e che a pena scontata gli viene rifatta la stessa domanda e se loro continuano a rifiutare ritornano in galera per altrettanti anni, io ti dico sinceramente, per me sono dei coraggiosi. Perché avere la forza d'animo di andarsene in galera quando tutti noi abbiamo un giro, una vita... e abbandonarle, e andare in galera, per questo dico che ci vuole una bella dose di coraggio. Quanto alla posizione politica, non mi frega niente. Però io dico, a posteriori, il fatto che una certa parte politica li difende, e un'altra parte invece li attacchi, significa che un obiettore di coscienza sa di avere, un domani, l'appoggio di una certa parte politica e questo fa gioco, è importante... e dunque secondo me non è un sacrificio inutile, sterile.

Voce 4: Una protesta più seria, allora, e più efficace delle canzonette...

Tenco: La canzone si muove in un'altra sfera, può toccare un'infinità di argomenti e agire molto più per esteso nell'opinione pubblica. Per combattere certe idee, anzi, la canzone può avere una efficacia anche maggiore. È statisticamente provato che queste idee, come il nazionalismo eccetera, resistono particolarmente in ambienti non colti. Quindi combattendo l'ignoranza si fa già qualcosa di molto utile. Solo bisogna trovare la strada, la maniera adatta per arrivarci. Quale? L'istruzione obbligatoria, mettiamo, la scuola statale... ma anche, perché no, anche la canzone; e questo proprio perché è una cosa della quale tutti oggi in Italia si occupano. Anche la canzone può servire a far pensare.

Voce 2: Illuso... Attraverso questa strada tu ti rendi unicamente complice della società industriale. Altro che combattere l'ignoranza! Altro che far pensare...

Tenco: Sentite. Io quando ho cominciato a cantare, ero una persona completamente disinserita. Assolutamente al di fuori di tutto quello che poteva essere partecipazione e compagnia bella: perché eravamo in un momento di quadripartito, di Scelba, di Tambroni... Io ero a Genova e quando sono successi i casini di Tambroni, posso dire di averne fatto parte, quindi stai tranquillo che non ero, non sono quello che si lascia irregimentare. Io ho un graduale inserimento, e procede parallelamente a quello che è lo spostamento, a sinistra, della società italiana. Per adesso lo spostamento è minimo, e infatti il mio inserimento è minimo. Tant'è vero che ancora adesso non faccio parte di nessun grosso cast di cantanti, e niente questo e niente quest'altro eccetera. Però il mio ideale non è quello di continuare a vedere un mondo di gente con i capelli lunghi, con i maglioni e così via. La mia speranza è quella di arrivare al giorno in cui persone serie, con la cravatta o con il casco spaziale o con il cilindro, come preferisci, possano esprimere liberamente le cose che oggi, viceversa, per dire queste cose...

Voce 4: ...devi fare un certo lavoro di vaselina.

Tenco: No; devi fare un certo lavoro di rottura di palle. Io infatti sono considerato un rompipalle perché dico certe cose, perché nel mezzo di una trasmissione, dove tutti parlano di musica, io esco fuori con un discorso sulla polizia che arresta i capelloni o su altra roba del genere...

Voce 4: Tenco, scusa: ti rendi conto che agendo in questo modo ti fai incastrare?

Tenco: E perché?

Voce 4: Dico che ti fai incastrare. Alle lunghe, magari senza accorgertene, il meccanismo che tu credi di aver conquistato, ti condizionerà. E finirai anche tu come gli altri. Vedi Modugno, che cominciò con le canzoni sui minatori e i pescatori siciliani...

Tenco: Padroni di pensarla come volete. Io ho preso una strada che a me sembra buona e non la mollo. Anzi, mi sembra tanto buona che vorrei avere un pubblico sempre più grande, immenso, tutto quello che con i mezzi industriali di oggi è possibile raggiungere. E il giorno in cui riuscissi a farcela, e ad avere questo pubblico dalla mia, state pure certi che non lo inviterò a volare nel blu dipinto di blu... 



Capitolo Donne di Tenco
Anche Valentino Tenco, prima di morire, ebbe modo di ricordare la ragazza, parlando a Renzo Parodi:
"Ulla si chiamava Ursula Kersting, una ragazza di Essen che venne anche a casa nostra e incontrò mia madre che desiderava conoscerla e la apprezzò. Ma a me, allora, non sembrava la ragazza adatta a Luigi. Ricordo che una volta si presentò vestita tutta di viola, indossando un paio di pantaloni. La cosa mi diede fastidio, feci l'errore di giudicare la persona dall'abito che portava indosso. Non compresi che si trattava di una bravissima ragazza".
Forse è per colpa di questo episodio che Luigi mantenne il segreto su un'altra ragazza, oggi nota a tutti con lo pseudonimo di "Valeria", alla quale Tenco si era legato nel 1965, e che perdette per colpa della storia rosa (vera o presunta) con Dalida.
Potete leggere le 3 delle lettere che Tenco scrisse a Valeria, dove Luigi ridimensiona il suo rapporto con Dalida, giustificandola come una storia costruita per scopi di immagine dalla macchina propagandistica del Festival di Sanremo e dalla Rca.

Come abbiamo modo di vedere nella fotografia in apertura di questa pagina, Tenco era sensibile ad ogni bellezza femminile, tanto da farsi soprendere da un paparazzo in un night romano insieme alla bella Renata Monteduro, moglie dell'attore Corrado Pani.
Un'altra relazione attribuita a Tenco dalle cronache rosa, fu quella con l'attrice Marisa Solinas (si veda la foto a fianco).
Ma la più clamorosa di tutte, fu la breve relazione che Tenco ebbe con la giovanissima Stefania Sandrelli, la quale a sua volta aveva già avuto una relazione con Gino Paoli, amico e collega di Luigi. Per maggiori dettagli su questa storia, che causò la rottura dell'amicizia tra Tenco e Paoli, leggete la pagina dedicataall'antagonismo tra i due artisti.

Un'altra rivalità, per via di una donna, Luigi l'ebbe con un altro amico, il cantautore Piero Ciampi, col quale mantenne però un ottimo rapporto di amicizia. Le cose andarono così. Luigi aveva una relazione con Gabriella. Durante una serata, nella quale Luigi intratteneva al pianoforte i partecipanti ad una festa, Piero conobbe Gabriella: i due si innamorarono e Gabriella lasciò Luigi per Piero. La nuova coppia ebbe una figlia, Mira, nata nel 1965, e diede infinite tribolazioni a Gabriella, che finì per piantare Piero Ciampi l'anno seguente. A Gabriella, Piero dedicò una della sue canzoni più belle, "Tu no".

Tornando a Luigi, dopo due simili delusioni, non voleva sentir parlare di matrimonio. In una intervista, arrivò persino a dirsi contrario al divorzio (in contraddizione con una sua canzone, "Vita Famigliare", che ironizzava contro gli anti-divorzisti), per arrivare alla conclusione che il matrimonio non era fatto per lui:
"Sono contro il divorzio. Lo considero una faccenda ipocrita da gente senza spina dorsale. Il matrimonio è un contratto indissolubile, per la vita, o è inutile che ci sia. È nato così il matrimonio: dall'esigenza dell'uomo di crearsi un nucleo sociale tutto suo, la famiglia. E un nucleo non è lecito scioglierlo. Ma questo andava bene fino al secolo scorso. La vita sociale di oggi è aperta, ha superato i nuclei. L'uomo, oggi, non si sente più solo, anzi ha paura di restare solo, isolato, col suo nucleo. Se uno se la sente di affrontare la vita in questo modo, si sposi pure, ma bisogna poi che resti coerente con se stesso e che non pianti la donna perchè ne trova un'altra che gli sembra meglio. Io non me la sento, perciò evito di sposarmi. Oh, sì, c'è il matrimonio d'amore. Ma come si fa ad essere sicuri che l'amore durerà tutta la vita? Non voglio neanche pensare al matrimonio, inteso come un mezzo per mettere su un piano legale certe cose che si fanno tra un uomo e una donna".
Nonostante il suo aspetto che piaceva tanto alle donne, Tenco ebbe comunque un rapporto molto travagliato con loro. Ecco cosa ebbe a dire, a tal proposito:
"Con le donne ho avuto rapporti piuttosto difficili, nel senso che devo cambiare spesso ragazza. Un paio di volte mi sono anche innamorato, e per questo è durato di più. Una volta di una donna molto intelligente, che mi ha insegnato parecchie cose. Ma quando ho imparato tutto quel che poteva insegnarmi, è finita. Un'altra volta era una poco di buono. Mi faceva soffrire e io mi crogiolavo nella sofferenza. Era come una droga, ma me ne sono liberato".
Nelle note biografiche che Tenco scrisse per la casa discografica Jolly, conferma:
"Sull'amore ho le mie idee. Un grande amore non l'ho trovato e non venitemi a dire che uno non sa quando lo trova. Ma se in quell'amore uno finisce per rinchiudersi con tutti i problemi che lo dilaniano, allora finisce per diventare uno schizofrenico che vive staccato dalla realtà, in un mondo suo, artificiale. E io ho l'orrore dell'artificiosità".
Sandro Ciotti racconta a Renzo Parodi le lunghe conversazioni avute con Tenco, quando lo aveva ospitato nella sua casa romana, confermando questa tesi:
"Aveva fascino con gli uomini, figuriamoci con le donne. Restavamo alzati a parlare per ore, più che di canzoni, di libri (era capace di divorarne in una notte uno di centinaia di pagine), e naturalmente di donne. Luigi ne accennava in termini conflittuali, aveva con loro un rapporto un po' sofferto. Come tutti quelli che ne hanno molte, ne parlava poco. Chi ha molti soldi e molte donne non ne parla mai".
Così Nanni Ricordi rievoca un episodio curioso, che mette in luce come Luigi intendeva l'amore:
"Una volta mi parlò di una bellissima notte trascorsa con una donna.
Mi disse che lei gli aveva sussurrato: -Mi piace tanto fare l'amore con te.
Lui si era risentito: - Devi dire: mi piace fare l'amore. Non aggiungere: con te. Così personalizzi la cosa".
Anche Gino Lavagetto ricorda che Tenco aveva con le donne un rapporto non proprio sereno:
"Direi piuttosto violento, o meglio: passionale, a tinte forti. Negli ultimi tempi della sua vita si controllava e stava trovando le giuste distanze. Ma a vent'anni faceva cose folli. Era molto geloso. Ricordo che fece un viaggio assurdo in Germania per convincere la fidanzata tedesca a tornare in Italia con lui".
Se Lavagetto fa riferimento alla storia di Ulla, pare che sia accaduto esattamente l'opposto. Ovvero - come afferma Ruggero Coppola - avendo saputo che Ulla aveva lasciato in Germania un disperatissimo fidanzato, Luigi la riportò a casa, consegnandola cavallerescamente al suo rivale.
L'argomento ragazze comunque era, per la mentalità e l'educazione di quell'epoca, un argomento tabù. Ricorda Attilio Oliva:
"Ragazze? Erano cose segretissime e nessuno ne avrebbe parlato in pubblico. Tutt'al più ci si confidava la notte, finito di suonare. Ricordo però che Tenco soffriva molto per amore. Si innamorava facilmente, all'epoca aveva preso una cotta per una signora sposata (che non ho mai conosciuto), più anziana di lui. Un giorno Luigi me ne parlò: -Mi fa molto soffrire, ora sì, ora no..."
Nota: Marisa Solinas, che dopo una fulminante carriera, lanciatissima, uscì dal cinema e si sposò con un uomo della Milano Bene, tenco non ebbe alcuna particolare relazione.



Tre lettere di cui Valeria ha autorizzato la pubblicità

ECOLO XIX, 25 GENNAIO 1992

PRIMA LETTERA, 13 OTTOBRE 1965: 

È molto carina quella piccola mansarda che ti ha offerto la tua amica; mi piace Adriana: è una ragazza con una classe innata, riflessiva, molto discreta. Spero vivamente che la sua presenza abbia un'azione positiva su di te, per smussare quel tuo caratterino così impulsivo e a volte irriducibile: solo un pochino, però!
È deciso allora, amore, passerò all'RCA con l'anno nuovo. Sai, mi rendo conto che l'industria della canzone sta cambiando e mi aspetto molto da questo passaggio... ho l'impressione di essere arrivato a una svolta, ma non so ancora di preciso cosa ci troverò dietro. Mi rendo conto che l'RCA è una casa discografica con precisi criteri economici e mi rendo anche conto che ogni cantante che vi approda ha un preciso valore commerciale. Ma quello che io cerco, quello di cui ho urgente bisogno non è tanto, o solo, il successo, un riscontro economico, io non voglio, non posso commercializzare le mie canzoni, ma un riconoscimento, quello cui aspira qualsiasi essere umano quando fa qualcosa in cui crede.
E poi... l'RCA vuol dire Roma e Roma vuol dire te... Devo ammettere onestamente che Roma, per quel che la conosco, non mi comunica un granché: mi sembra quasi di annegare in un mare di paparazzi che inventano le storie più assurde, e di vip e di esponenti della "jeunesse dorée" (niente di personale, credimi, ma sto pensando ad alcuni tuoi amici). Ma a Roma avrò te: potremo finalmente stare insieme senza quei continui spostamenti cui siamo costretti ora: e da ora in poi, le volte in cui dovrai tornare a casa, userai il treno (niente discussioni!), così io smetterò di preoccuparmi, aspettando che tu sia arrivata.
Luigi.

SECONDA LETTERA, 18 NOVEMBRE 1966: 

Amore mio, Adriana ha promesso di farti avere questa lettera: ti prego, leggila, mi è costato scriverla, ammettere la mia stupidità, la mia presunzione, le mie debolezze, la mia ingenuità. Sono solo un uomo, e non tra i migliori, se mi sono lasciato trascinare in questa situazione assurda e non ho la forza e la volontà di uscirne, perché se lo tentassi ne sarei distrutto, comunque. Io ho sbagliato tutto nella mia vita, l'unica cosa giusta, pulita sei stata tu e a te non voglio e non posso rinunciare.
Ti ho detto mille volte ti amo, ma non ti ho mai detto scusami (è una parola che non vuoi sentire!) per i miei tanti difetti, per non aver la forza di uscire da questo ambiente ipocrita, falso, spietato in cui domina il compromesso. Perchè sono una nullità. Mi hanno promesso il "paradiso": mi sento sull'orlo di un baratro. Come ho potuto arrivarci! Accidenti a te, perchè non hai avuto fiducia in me, perchè non mi hai detto di sì.
È tutta colpa mia: io ho permesso a quella donna di costruire tutta questa storia, mi sono prestato al suo gioco, perché da idiota io lo credevo solo un gioco. Tenco e Dalida, la coppia vincente del prossimo festival. Che notizia golosa per i giornalisti! Io ho permesso agli altri di ricamarci sopra (ma se mi conoscessero veramente, come potrebbero crederci?). E poi, poi, quando tu te ne sei andata ho pensato di poter fare l'amore con lei, per punirti, per ferirti come tu stai ferendo me.
No! Non ha funzionato. Ho tentato in tutti i modi, ho passato delle notti intere (aspetta un attimo!) a bere, a cercare di farle capire chi sono, cosa voglio, e poi... ho finito col parlarle di te, di quanto ti amo. Che gran casino, vero! Certo, lei si è dimostrata molto "comprensiva", ma mi ha detto che ormai dovevamo portare avanti questa "assurda" faccenda agli occhi degli altri. È una donna viziata, nevrotica, ignorante, che rifiuta l'idea di una sconfitta, professionale o sentimentale che sia. E ora non so più come uscirne. Tesoro mio, qualunque cosa tu possa sentire o leggere, credimi, abbi fiducia in me. Ti prego, ora basta: torna, ho bisogno di te: non ti chiederò nulla, non voglio sapere nulla.
Ti amo tanto e ti voglio disperatamente.
Luigi.

TERZA LETTERA, 16 GENNAIO 1967:

Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace... a volte sono ingiusto, egoista, arrogante. Penso ai miei problemi e non sempre mi rendo conto di ciò che hai passato e stai passando. Potrai perdonarmi amore mio? Il fatto è che io, io non vorrei mai che tu ti allontanassi da me; quando questo succede mi sento così spaventato e solo come se tutta la solitudine del mondo mi pesasse sulle spalle. Sarà l'ultima volta! Al diavolo anche Sanremo, vada come vada, a questo punto non me ne frega più niente: voglio che passi, che finisca, voglio uscire da questo gran casino in cui mi sono infilato.
Prometto: ti ascolterò tesi e tesine, parleremo di DNA, deficit idrico, zea mays e... di noi soprattutto. Appena avrai discusso la tesi faremo una cosa che non abbiamo fatto ancora, ce ne andremo per un periodo di tempo, tu ed io da soli. Andremo... in Africa... in Kenia.
Guarda nel secondo cassetto della scrivania e comincia a fare qualche programma. Tesoro, avremo i giorni e le notti tutte per noi: potremo parlare, prendere il sole, fare l'amore, dimenticare i problemi che abbiamo vissuto, le angosce, i momenti bui. Potremo riscoprire il senso della vita.
Ciao, Luigi.
Torna presto: queste mie mani sono piene di carezze per te e io... io non sopporto la tua assenza. Luigi

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Le lettere a Valeria - La tragedia di Tenco così come la ricostruisce Bruno Gigliotti, fratello della cantante.

"Quella notte Dalida urlò: assassini!"

"Quando trovò Luigi già morto, mia sorella, sconvolta, voleva che gli organizzatori fermassero il Festival. Ma "loro", per non avere grane, ci obbligarono a portarla in Francia immediatamente".

PARIGI - Abbiamo pubblicato ieri la prima parte dell'intervista esclusiva a Bruno Gigliotti, fratello di Dalida, discografico ed editore musicale. Gigliotti, in sostanza, ha contestato la veridicità delle lettere (pubblicate nel «Secolo XIX» del 25 gennaio), scritte da Luigi Tenco alla sua donna segreta, Valeria; ha parlato anche di «operazione poco chiara da parte del fratello del cantautore, Valentino»; ha addirittura messo in dubbio l'esistenza di Valeria.
Nella seconda parte dell'intervista, che pubblichiamo oggi, Gigliotti ricostruisce dal suo punto di vista gli avvenimenti della notte in cui Luigi Tenco si uccise: la notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967.
Sulla morte di Tenco e sul comportamento di sua sorella al suo capezzale quella notte c'è ancora una parte di mistero, relativo al succedersi degli avvenimenti; e soprattutto al fatto che Dalida, dopo aver scoperto il corpo, è stata troppo rapidamente interrogata dalla polizia, per poi sparire senza lasciare tracce.
«Un mistero inesistente, alimentato da persone come Valentino Tenco e i suoi cattivi consiglieri».
Ma basato su alcuni fatti concreti, tra cui una lunga telefonata che egli avrebbe fatto prima di morire a Valeria...
«Che potremmo chiamare l' "arlesiana" perché nessuno l'ha mai vista...».
La sparizione di una lettera nella quale Tenco si proponeva di denunciare i retroscena del Festival, e ora le lettere scritte a Valeria in tre anni di amore.
«La partenza di Dalida in quel momento faceva comodo a molte persone. Resasi conto che Luigi era veramente morto, mia sorella urlò "assassini" in direzione degli organizzatori del Festival e lo ripeté più tardi chiedendo che la manifestazione venisse immediatamente sospesa, cosa che non avvenne, naturalmente».
Qualcuno le chiederà di fare i nomi di chi l'avrebbe spinta ad andarsene così in fretta.
«Io posso ricordare chi era presente quella terribile notte nella stanza di Tenco o nei corridoi dell'Hotel Savoy. Tra gli altri, Lucio Dalla che fu svegliato dalle urla di Dalida e si precipitò a vedere cosa era successo, Paolo Dossena e Mario Simone che erano nel frattempo arrivati e cercavano di calmarla».
Chi sapeva della relazione fra i due cantanti?
«Eravamo al corrente in pochi: io, mia cugina Rosina che era anche la sua segretaria, Paolo Dossena, Mario Simone, Renzo Arbore e un'altra persona di cui mi sfugge il nome».
Come e quando si erano incontrati?
«Vorrei ricostruire con esattezza come sono andate le cose. Mi scusi se sono molto nervoso, ma è molto duro per me rinvangare questa storia dolorosa, che per me si è ripetuta tre volte. La prima con Tenco, la seconda con il tentativo di suicidio di Dalida per amore (esattamente un mese dopo la morte di Luigi, il 26 gennaio del 1967) e la terza con il suicidio riuscito di mia sorella cinque anni fa. Dell'incontro di Luigi Tenco con Dalida ho un ricordo preciso. Dalida era nel pieno del suo successo mondiale e in Italia era sicuramente un mito, fin dal 1959, anno in cui aveva conosciuto il successo con "Zingaro". E i "patron" di Sanremo le offrivano ponti d'oro perché la "calabrese di Parigi" partecipasse al Festival. Ma lei rifuggiva dai festivals, che non avrebbero aggiunto niente alla sua fama, anzi tutto da perdere».
Come finì per andarci?
«Le telefonarono, da Roma, Ennio Melis, direttore della Rca, la casa discografica di mia sorella, Ettore Zeppegno, e se ricordo bene Paolo Bassi e Paolo Dossena e forse anche Mario Simone, ma non ne sono certo; tutti per comunicarle una visita a Parigi e con l'occasione presentarle un cantante che aveva molto talento, e un repertorio completamente nuovo che le sarebbe piaciuto, che non era ancora molto conosciuto, ma che aveva davanti a sé un sicuro avvenire. Così una sera di fine settembre 1966 si presentarono a cena nella sua casa di Montmartre. Ricordo come ora, quando si apri la porta ed entrò Tenco che vedevamo per la prima volta».
Che età avevano?
«Tenco 29 e Dalida ne avrebbe compiuti 34 il 17 gennaio. Io che conoscevo benissimo mia sorella che adoravo e idolatravo al punto da considerarla "la donna della mia vita", ho subito sentito che era accaduto qualcosa fra loro due: un fluido, una corrente impalpabile era passata tra il bei ragazzo un po' tenebroso e la bellissima diva della canzone. Dopo la cena Tenco si è messo al piano e ha cantato "Ciao, amore, ciao" che conquistò subito Dalida. I dirigenti della Rca avevano chiaramente già un'idea in testa, ma accennarono con cautela a un'eventuale partecipazione a due al Festival di Sanremo, sapendo dell'avversione di Dalida, ma anche di Tenco, che era una persona integra, un cantante piuttosto contestatore che non accettava compromessi. Se alla fine decisero di partecipare fu solo per l'amore che li legò fin dall'inizio. Ma Dalida aveva già deciso di registrare comunque la canzone, il che fu l'occasione per mille incontri d'amore in Italia e a Parigi. Lui scendeva all'Hotel Princes de Galles (dove più tardi Dalida fece il suo primo tentativo di togliersi la vita), poi raggiungeva Dalida nel suo studio che era anche la sua casa. E così io e, soprattutto, mia cugina Resina fummo testimoni della passione che li stava travolgendo, seppur mantenuta nel più rigoroso segreto. Luigi Tenco che era una persona molto fiera e orgogliosa, il che va a suo onore, non voleva che si pensasse a una sporca operazione commerciale e pubblicitaria».
Il fratello di Tenco era al corrente?
«No, non ne sapeva niente. Lo sapevano solo Paolo Dossena e Mario Simone; Melis e Zeppegno facevano finta di niente e Renzo Arbore che ho saputo poi essere un grande amico di Tenco».
Dunque, perché alla fine andarono a Sanremo?
«Dalida diceva di "voler dare il suo pubblico" a Luigi, e pose come condizione della sua partecipazione a Sanremo l'esecuzione della canzone di Tenco che non era però stata selezionata e alla quale lei credeva moltissimo».
Arrivarono tre giorni prima a Sanremo...
«Per abituarsi all'atmosfera del Festival, così lontano dalla loro sensibilità, si fecero per la prima volta fotografare insieme sulla terrazza del palazzo del festival e nel loro camerino».
Lei era presente?
«Arrivai in treno con Resina e fu Luigi stesso a venirci a prendere per dimostrare la grande amicizia che ci legava».
Perché Dalida, che preferiva i colori vivaci, la sera della sua esibizione portava un abito nero e bianco?
«Voleva semplicemente essere in stile con Luigi che era in abito scuro».
La loro fu l'ultima canzone della serata...
«Sì, e il primo a salire sul palcoscenico fu Tenco che, preso dal «track», cantò con molta fatica la sua splendida canzone e praticamente nell'indifferenza generale. Mentre l'interpretazione un po' plateale e drammatica di Dalida fu accolta da fragorosi applausi. In quel momento vedemmo guizzare un sorriso negli occhi di Tenco: la sua canzone aveva conquistato il pubblico, dunque sarebbe entrata in finale!».
Lui se ne andò subito?
«No, in attesa del risultato che tardava, si rifugiò in camerino e cominciò a bere e a trangugiare pillole, finendo per addormentarsi. E quando qualcuno crudelmente, molto tardi nella notte, lo svegliò per annunciargli che la sua canzone era stata bocciata fu preso da una furia silenziosa che si leggeva nei suoi occhi e nei suoi gesti. Anche Dalida non riusciva a calmarlo. Dopo una corsa folle in macchina con Dalida non volle seguirci al ristorante "Nostromo" dove era stata prevista una cena organizzata dalla Rca e si ritirò in albergo, dove poco dopo lo raggiunse Dalida impaziente di stare con lui».
I giornali italiani hanno scritto che Tenco, disperato, infuriato, quella sera parlò a lungo con Valeria promettendole di vederla il giorno dopo a Genova. Mezz'ora dopo era morto.
«Sulla base di una ricostruzione precisa degli avvenimenti posso affermare che non può avere avuto il tempo materiale di telefonare. E non era in condizione di pensare a nulla e a nessuno. Se non avesse mescolato alcool e pillole forse non sarebbe successo nulla. È stata una fatalità. Mia sorella lo raggiunse in albergo non più di venti minuti dopo averlo lasciato. Lo vide riverso per terra e pensò a un malore. Cominciò a gridare "un medico, un medico, Tenco sta male". Si rese conto che era morto solo quando, abbracciandolo, ritirò le mani piene di sangue».
Qualcuno ha affermato che Dalida aveva criticato il suo modo di cantare.
«È una pura calunnia. Non c'era nessun testimone sulla macchina quando Luigi si buttò in una corsa folle con Dalida e nessuno quando lei arrivò nella stanza e lo trovò morto. Come si può pensare che una donna che ama possa criticare il suo uomo in un momento così difficile? Chi ha fatto queste affermazioni non si rende conto che si può uccidere qualcuno con simili insinuazioni».
Perché la polizia interrogò così brevemente sua sorella?
«Era sconvolta, la strapparono letteralmente dal corpo di Luigi che non voleva più lasciare, le fecero un'iniezione di calmante, ma lei continuava a gridare che il festival si doveva fermare. Lei stessa ce l'ha sempre ripetuto, ed io ne sono convinto, che Tenco non si è ucciso per una canzone, ma per protestare contro un sistema che aveva premiato "Io, tu e le rose". Sono "loro" che avendo altri grattacapi, per togliersi un peso ingombrante preferirono che lei se ne andasse».
La sua è un'accusa grave. Quando lei dice «loro» genericamente, rischia di essere obbligato a fare i nomi di chi l'avrebbe costretta ad allontanarsi.
«C'era molta confusione, molta gente, gli organizzatori del festival e molti padroni di case discografiche e tanti sconosciuti. Tutti gridavano e molti insistevano perché l'ex marito di Dalida, Lucien Morisse (che seppe dell'amore per Luigi solo quella sera), e Eddy Barclay la portassero via, evidentemente con motivazioni diverse. Facendoci largo tra la folla, la facemmo uscire attraverso le cucine, lanciandoci in una corsa sfrenata verso la frontiera francese, verso Nizza dove Dalida prese l'aereo per Parigi. La sera stessa chiamò Sanremo per sapere se il festival era stato sospeso. E alla risposta negativa urlò di nuovo al telefono "Assassini". Sanremo fu l'inizio del suo dramma come donna, anche se come artista ebbe ancora molti anni di successi. Per mesi si senti colpevole di aver accettato di partecipare al festival. Ripeteva in continuazione: "Non si è ucciso per una canzone. Voi non sapete niente di lui. Non sapete della sua infanzia infelice, alla ricerca di un padre che ha conosciuto solo sul letto di morte"».
Dalida aveva conosciuto la madre di Luigi?
«La incontrò dopo il suicidio di Luigi, che aveva con sua madre un legame particolarmente profondo per motivi che non voglio dire. E mantenne con lei dei rapporti molto affettuosi provati da lettere e telegrammi. La madre aveva capito che nella vita di suo figlio qualcosa di importante e di bello era intervenuto. Per questo ha sempre mantenuto il legame d'affetto con Dalida».
Luigi Tenco e Dalida avevano progetti in comune?
«Dalida pensava di portarlo in Francia, dove i cantautori riscuotevano già grande successo. E prima della tragica serata avevano annunciato a qualche amico che si sarebbero sposati entro aprile. Gli altri possono non crederci, ma perché questo gusto di infangare il nome di mia sorella, approfittando di ogni occasione per ricamare storie assurde su di lei e sulla sua vita, senza sapere nulla di preciso, come hanno fatto l'ex patron della "Bussola", Bernardini, e altri a "Telefono giallo"?»
Quando lei parla di querele, su che cosa intende basarle? Se le lettere sono vere, lei come intende agire?
«Voglio accusare di diffamazione tutti coloro che fin dall'inizio della storia, con allusioni o insinuazioni, hanno lasciato credere a una responsabilità diretta di mia sorella nella morte di Tenco. E non posso accettare che si affermi che si tratti di "amore pubblicitario"».
E nei confronti di Valeria?
«Per me non esiste e non la tengo neppure in considerazione. E non capisco l'interesse di Valentino Tenco a far pubblicare quelle lettere. Lui ha sempre affermato di voler far chiarezza sulla morte di suo fratello, non sulla sua vita privata. Parlarne ora, in concomitanza del Festival di Sanremo, fa pensare a un fatto pubblicitario. Il problema della morte di Tenco è problema di tutti i giorni. Perché tanto clamore proprio adesso?».
Il Secolo XIX", sabato 08 febbraio 1992  Maria Grazia Tajé (2-Fine)


Arnaldo Bagnasco: " la rivelazione e' una risposta all' appello di Telefono giallo "

Luigi Tenco ricordato ieri con un dibattito a Ricaldone, suo paese natale e con un concerto ad Alessandria. la discussione sulla pubblicazione delle lettere del cantautore cui hanno partecipato Arnaldo Bagnasco, Valentino Tenco, Amilcare Rambaldi, Gino Paoli



-DAL NOSTRO INVIATO RICALDONE (Alessandria) . La pubblicazione delle lettere voluta da Valentino Tenco ha sollevato anche molti dissensi fra gli amici dello scomparso: "Inutile ripetere che Luigi era geloso della sua vita privata e poi pubblicare le lettere", polemizza Gino Paoli. Che aggiunge: "Luigi era uno normale come tutti noi. Eravamo una generazione che considerava la morte uno scherzetto. E quando, come lui quella sera, si ha in corpo whisky e Pronox, una vera bomba, non si sa quello che si fa". "Onorevole, sei rincoglionito come tutti i politici . gli replica Valentino Tenco .. Luigi amava la vita e aveva avuto, assieme a me qui a Ricaldone, un' infanzia sana". Negativo anche il giudizio di Amilcare Rambaldi, che e' presidente e fondatore del Club Tenco: "Questo scoop, che arriva puntuale nel venticinquennale della morte, non mi piace. Richiama l' attenzione su un aspetto della vita privata di Tenco e ci allontana da quella autenticita' che Luigi amava". Valentino Tenco ce l' ha anche con l' ipotesi del suicidio simulato: "Mio fratello era una persona seria e coerente, non avrebbe mai inscenato una buffonata del genere". "Le lettere . osserva Arnaldo Bagnasco, amico e studioso di Tenco . sono sicuramente autentiche. Quanto al significato della loro divulgazione non voglio far commenti. C' e' una sola persona che si sente in diritto di gestire la memoria di Luigi Tenco ed e' il fratello Valentino. Posso dire che queste rivelazioni sono il trionfo della televisione.verita' . Quell' anonimo che in punto di morte rivela l' esistenza di Valeria agisce probabilmente in risposta all' appello lanciato a suo tempo da Valentino a "Telefono giallo". Amilcare Rambaldi, nel commemorare Tenco, ha polemizzato con il Festival di Sanremo. "Il giorno in cui la rassegna non sara' una assurda gara, organizzata solo da chi ha padrini politici, ma un luogo in cui professionismo e qualita' sono i veri protagonisti, il Club Tenco e' pronto a togliere il disturbo". Conclude Rambaldi: "Ma il Festival di quest' anno, in cui si esaspera il meccanismo dell' eliminazione e del cantante usa e getta, mi fa pensare che questo giorno e' ancora molto lontano". M.L.F.



Nota mia: Gino Paoli ha poi ripreso parte diverse volte al Sanremo, dimostrando di infischiarsene dei criteri di commercializzazione e usa e getta di cui sopra. Ex senatore pci, poi deluso ma non pentito, ex amico di Tenco, poi postosi come uno visto come un padre, secondo lui, dal figlio Tenco. Ha comprato una bella tenuta in Toscana, per far crescere nella natura e all'aria, la sua prole, infischiandosene dei suoi concetti pseudo proletari. Potrei continuare a citare almeno una decina di altre dissociazioni tra le dichiarazioni del Paoli e le sue azioni future, ma tanto non serve a capire ulteriormente alcuni aspetti della sua personalità, su cui non ci soffermiamo. Notare che nel 1966 toccò a Paoli, con una sua canzone, essere buttato fuori dal Festival, La carta vincente (testo e musica di Gino Paoli) Gino Paoli 

http://www.davidemaggio.it/archives/61385/gino-paoli-al-festival-di-sanremo-2013


... l' Rca vuol dire Roma e Roma vuol dire te... Devo ammettere onestamente che Roma, per quel che la conosco, non mi comunica un granche' : mi sembra quasi di annegare in un mare di paparazzi che inventano le storie piu' assurde, e di vip e di esponenti della "jeunesse dore' e" (niente di personale, credimi, ma sto pensando ad alcuni tuoi amici). Ma a Roma avro' te... ". Nel novembre del ' 66 esplode la crisi. "Io ho sbagliato tutto nella mia vita, l' unica cosa giusta, pulita sei stata tu, sei tu e a te non voglio e non posso rinunciare. Ti ho detto mille volte ti amo, ma non ti ho mai detto scusami (e' una parola che non vuoi sentire!) per i miei tanti difetti, per non avere la forza di uscire da questo ambiente ipocrita, falso, spietato in cui domina il compromesso. Perche' sono una nullita' . Mi hanno promesso il "paradiso": mi sento sull' orlo di un baratro". La notte del suicidio Luigi Tenco telefona a Valeria. Le confessa di avere inghiottito pillole e grappa, fino a star male. Ma dopo mezz' ora di conversazione si mostra tranquillo e le da' appuntamento per l' indomani all' aeroporto di Genova. Abbassa la cornetta e venti minuti piu' tardi si compie la tragedia. 

Daniela Altimani


Nota mia.

Sulla questione della telefonata, siamo certi, sia per l'ora che per la durata e la persona di Valeria, sembra assai stabile da garantire una certa affidabilità sulla sua percezione di una tranquillizzazione di tenco al momento di chiudere la conversazione. Punto molto importante e fondamentale. Chiaro che quanti propongono che Tenco sia stato ucciso fuori dalla stanza, sono certamente degli idioti o degli incompetenti, dal momento che ci sono i tabulati che fanno fede sulla presenza in vita di Tenco fino alla comunicazione con Valeria, circa ore una e mezza. Inoltre, sapiamo che, quando Dalida è entrata nella stanza, era sola, dal momento che Dossena era restato al bar dell'albergo. 
Ci sono state testimonianze confuse, che vertevano sul sentire litigate e discussioni, iniziate al momento dell'uscita dall'Ariston per andare a cena, forse riprese al momento del rientro di Dalida, che era rientrata prima degli altri, proprio per non lasciare solo Tenco, di cui pensava che avesse cantato male e fosse stata la sua eccessiva tensione a far buttare fuori la canzone dal Festival. Dalida, anche dal ristorante, continuava a telefonare all'albergo, per assicurarsi che Tenco non stesse male, sapendo poi del suo uso di pillole e del suo bere smodato sotto stress.
 Questi deficienti adducono che l'auto di Tenco, sul parafango, riportava tracce di sabbia, deducendo che era stato chiamato in un posto sulla battigia da certi personaggi forse amici di Morisse, che sappiamo essere venuto a Sanremo il giorno prima, dal momento che era pur sempre nel giro discografico. Là lo avrebbero ucciso, sparandogli un colpo e poi avrebbero, non si sa come e con quali complicità, condotto in camera e lasciato come è stato trovato. Oppure, lo hanno attirato giù nel cortile esterno dell'Hotel e lì hanno attuato le stesse operazioni che si è detto, dopo averlo fatto andare il pomeriggio o poco prima sulla spiaggia, da cui la sabbia sul parafanghi. 
Una ricostruzione del tutto fantasiosa, direi tipica dei deficienti che si divertono a giocare al Tenete Colombo.
Solo per la cronaca: Lucien  Morisse, divorziò da Dalida nel 1961, lei lo sposò per riconoscenza, ma restò come suo agente e manager, assieme al fratello per altri anni: è morto suicida nel 1969.

Le dichiarazioni di Mike, nel suo libro La Versione di Mike del 2007 è del tutto fuorviante, dal momento che Mike non è una mente acuta per alcuni aspetti che non riguardino il marketing e le furbizie e scaltrezze legate alla professione. Quindi, direi di scartare totalmente le sue affermazioni; semplicemente non contano, né rilevano un'acca.
La frase di Tenco -  vado a cantare e poi la faccio finita -  era infatti riferita in modo evidente (in base alle lettere a Valeria e alla di lei ricostruzione della telefonata), all'ambiente della musica e della Rca, sua casa editrice e di Dalida, che invece non solo non voleva farla finita con la musica, ma dopo il tentativo di suicidio, terrà dei concerti all'Olimpya, riportando un successo strepitoso e riaprendo una fase nuova della sua lunga carriera. Inoltre farà dei film, uno tra l'altro con Alberto Lupo, riferito alla vita del pittore suicida, Tancredi parmeggiani, di cui alcuni tratti di personalità erano certamente da porre in parallelo con quelli di Tenco. Naturalmente si tratta di una pura combinazione, ma certamente Dalida non era una donna che si faceva mancare storie con personaggi diciamo forti, dotati di temperamento anche brusco, stizzoso, deciso, fino alla violenza. Altre persone conosciute dal sottoscritto, hanno descritto Dalida come una donna molto risoluta, pronta a tutto per la notorietà e celebrità, e anche facile a rapporti e relazioni, purché le andasse. Non fumava e non beveva. Aveva intrapreso una relazione con uno studente italiano di 22 anni, Lucio, al punto che restatane incinta, decide di abortire, dopo che Lucio era stato cacciato fuori in malo modo dalla di lei famiglia a Parigi, durante le feste di Natale 1968, una cagnara tremenda. Dunque, terminata la relazione con Morisse, poi quella col pittore, poi l'avventura con un ragazzotto, l'aborto e la vita senza figli e relazioni stabili.

Nel 1967 le indagini furono frettolose e ambigue: niente guanto di paraffina, niente autopsia, un verbale di ricognizione sulla scena del crimine praticamente inconsistente. Il fascicolo dell’epoca conta appena 12 pagine. Una grande confusione, un mare di contraddizioni, buchi e indagini al limite del grottesco.
Nel 2005 la Procura di sanremo riaprì l'inchiesta, su pressione di giornalisti, e riesumò la salma. Conclusione della pm a chiusura delle indagini nel 2006: confermato il suicidio
Il proiettile che uccise Tenco non fu mai ritrovato. Domande e dubbi degli studiosi del caso e dei testimoni di quella tragedia non hanno avuto risposta.

Vi ricordate il memoriale Moro, mai ritrovato in originale e dopo aver smontato pezzo per pezzo il locale di Via Montenevoso, ecco che due manovali, entrano, tolgono una tavoletta da un radiatore e saltano fuori le fotocopie di buona parte del Memoriale? Ma voi credete veramente che le cose siano andate così solo perché la televisione ha riferito quello che si è detto, la versione ufficiale?
Credete veramente che il Brusca e altri tagliagole della sua risma, siano stati capaci di scatenare qull'inferno di fuoco a Capaci, con una precisione militare, solo perché la televisione vi dice che le cose sono andate così.
Credete che Moro sia stato rapito dalle BR? Ma chi c'era veramente dietro alle BR? Pensate che un'operazione come quella che vi ha fatto vedere il vituperato da alcuni, regista Martinelli, estremamente fedele, sia opera di una manciata di ragazzotti e ragazzotte che si addestrano un poco e poi attuano una operazione che nemmeno un comando militare d'assalto riuscirebbe a far filare in modo liscio come quello? Ma credono che la gente sia tutta idiota? Chi legge questi blog, no di certo.

Una lunga intervista di Orlando Gigliotti, fratello di Dalida a Paris Match, nella quale dice, riassumendo:
Si e' detto che non fu soltanto a causa dell'eliminazione della sua canzone, che dietro ci fosse un amore impossibile, addirittura che Dalida fosse presente quando Tenco si toglieva la vita. Lacrime, ipotesi e malignita' fanno precipitare la cantante in una crisi profonda, vive soltanto nel ricordo di lui che e' scomparso, non puo' fare a meno di parlare di Luigi, di capire perche' si e' sparato, di andare continuamente a parlare con la madre di lui. E' dice il fratello, una rivolta alla fine della quale Dalida decide di provare a seguire le orme di Luigi Tenco. Pochi mesi dopo il tentativo di suicidio, Dalida rimane incinta. Siamo nel gennaio 1968, e la cantante decide di abortire. Stando alle memorie raccolte dal fratello, il padre del bambino sarebbe un certo , studente italiano. Dalida non se la sente di portare avanti la maternita', e lei gia' immaginava i titoli dei giornali> spiega il fratello, che insieme con la cugina Rosy erano i soli che la cantante avesse messo al corrente dei fatti. Pare che Dalida' abbia distrutto molti documenti privati, lasciando invece ben visibili le lettere di Lucio. Nessuno sa perche'. Forse perche' fu la svolta della sua vita, o magari perche' Lucio era in qualche modo presente nel dramma di Tenco? Dalida si riprese miracolosamente, visse nove anni accanto a Richard Saint-Germain, torno' sulle scene con la sua maschera tragica, i suoi occhi tristi e la voce bassa. Ma era come se avesse messo uno schermo tra lei e la sua esistenza. raccontava Saint-Germain. Mori' nel 1987, e il ricordo del bambino perduto, il bambino suo e di Lucio non la abbandono' mai. 


Un altro uomo importante per Dalida è stato il defunto suicida Richard Chanfray, un personaggio dotato di un fascino superficiale e del tutto epigrafico, andato anche in Tv per fare delle performance di magia e proclamantesi conte non so di cosa, oltre che di trasformare in oro una barretta di acciaio.
Da giovane si buscò una condanna a 6 diconsi sei anni per aver violentato una ragazza, come sopramercato durante un suo tentativo di furto, pratica cui attendeva durante la sua vita da strada, tipica dei youngsters. Poi, con il tempo, l'assunzione della nuova identità, quella del mago, dei poteri magici, divenedo famoso tra la gente vip e nobiliare, facendo molti soldi e passaggi televisivi.
Nel 1972 incontrò Dalida, che non si fece mancare l'occasione di innamorarsi di lui, come sempre, di botto, come un accendersi e spegnersi di lampadina.
Questo strano personaggio, dormiva con una pistola sotto al guanciale, dal momento che pensava, come Tenco, di essere perseguitato da alcuni personaggi, del tutto inverosimilmente. La pistola gli servì una notte, per sparare ad un uomo, che trovò nudo come un verme in cucina, ferendolo per fortuna non gravemente, il 18.6.1976. Il tizio si rivelò essere l'amante di uno dei camerieri della coppia, e la sparatoria costò a Chanfray un anno di prigione e il risarcimento di molti denari, oltre alla fine della sua carriera di mago e vate dei vip e passaggi televisivi. Tentò di farsi strada come pittore e altre attività ma la mancanza di classe non è acqua, e la coppia finì vicina al lastrico.Si separarono, ma Chanfray continuò a recitare la sua parte di vate e di maestro dei party della costa Azzurra, Saint Trpopez e tutto il carro, finendo per catturare le attenzioni della milionaria De Loos, baronessa degli stivali, che finì per minacciare con un fucile, finendo di nuovo in prigione e scoprendo che la baronessa di Trintignant era piena di debiti fino al collo.
Ma già nel 1983, pochi mesi dopo il fatto, era già in Saint Tropez, con la de Loos, con un aspetto pallido, emaciato, smunto e magrissimo: li ritrovarono dentro un auto, suicidi con barbiturici per stordirsi e inalando lo scarico dell'auto. Il biglietto diceva: l'ho portata con me perché siamo uguali. Come si vede, Dalida aveva trovato un vero signore. Un signore che aveva costruito la sua notorietà effimera, sulla dichiarazione e autoproclama di essere immortale. Un paranoico, con personalità molto labile, e aspetti istrionici e tratti ben marcati di psicopatia (antisocialità).
Notare che Dalida continuò a tirare avanti al storia con questo pazzoide per altri quattro anni, separandosi solo nel 1980, quando la paranoia di lui era alle stelle.
Se volete vedere la casa di Dalida, andate qui: http://ziaboheme.com/ALBUMWEB/Paris/maisondeloo01.html


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Quindi, la vita per Dalida è continuata, con ulteriori errori e tappe, sempre con l'avidità del successo, la sua necessità di stare sotto la luce del palcoscenico e dei riflettori. Inoltre, mentre tutto quanto riguardava Tenco è stato distrutto, sparito, senza alcuna traccia, restano le lettere e ricordi di Lucio, e il rammarico per una gravidanza spezzata per la carriera. Se una donna fa un figlio, ci devono essere dei buoni motivi, no? Di certo, Dalida, dopo un periodo molto duro, seguito alla morte di tenco, si è subito ripresa, sia professionalmente che con le relazioni amorose e sessuali, Tenco era sopra, he was over. Nota mia.
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Un grande amico di Tenco, Paolo Dossena, il discografico, dichiara  (anche di recente al mensile Musica Leggera – Giugno 2010) che il cantautore era minacciato di morte e per questo girava con una pistola? Una strana coincidenza prima del suicidio? 

Dossena intervista a Sorrisi e canzoni del 5 /2/ 2004, 
“Andammo al bar del Casinò e Luigi ordinò un whiskey. Io non volevo che bevesse, gli dissi di piantarla e presi il bicchiere cominciando a bere. Lui mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “Sei un amico che si mette tra me e il bicchiere. Ma sei così amico da metterti sulla traiettoria di una pallottola che parte da una pistola che mi spara?”. 
Dossena racconta anche di aver portato la macchina di Tenco a Sanremo perchè il cantautore era partito in treno. Durante quel viaggio, nel cruscotto dell’auto, trovò la pistola di Tenco “... ma come, giri con una pistola in macchina? Ma sei pazzo?”. Lui mi disse che era la terza volta che cercavano di ucciderlo. L’ultima volta era successo poche settimane prima, a Santa Margherita Ligure: due macchine lo avevano stretto e avevano cercato di spingerlo fuori strada. “E allora mi sono comprato una pistola. Ma non chiedermi chi ce l’ha con me, perché non ne ho idea. Non lo capisco”; a fine intervista Dossena aggiunge che di cose ne poteva raccontare tante..., “peccato che mai un poliziotto o un magistrato me le abbia chieste ”.

sabato 2 maggio parla al telefono col fratello Orlando di un servizio fotografico annullato per via del freddo ed essendo quindi libera da impegni finge di voler passare la serata al teatro. Dice alla cameriera che farà molto tardi e che per questo desidera essere svegliata direttamente alle 17 del giorno dopo. Poi prende l'auto ed esce. Ma al teatro non ci andrà mai. Farà semplicemente il giro dell'isolato per poi rientrare di nascosto in casa e chiudersi nella sua stanza. Ingerisce un micidiale cocktail  di barbiturici, spegne la luce (un gesto molto significativo: non lo faceva mai perchè terrorrizzata dal buio) e si addormenta per sempre. E' domenica 3 maggio del 1987 quando, nella sua villa in rue d'Orchamps a Montmartre, Dalida viene trovata senza vita. Accanto a lei un biglietto: Perdonatemi, la vita mi è insopportabile.



SERGIO ZAVOLI risponde a una ammiratrice di Tenco

Sul "caso Tenco" continuano a pervenirci moltissime lettere, le quali esprimono pareri polemici. Ospitiamo quella che ci invia una ragazza di Roma, che riassume in un certo senso tutte le altre. E pubblichiamo contemporaneamente la "risposta" del noto telecronista Sergio Zavoli, chiamato in causa per una sua trasmissione dedicata al cantante suicida.

Avevo seguito Luigi Tenco autore e cantautore. Lo stimavo molto. Avevo letto con grande interesse il vostro articolo pubblicato una settimana prima del festival. Mi ero detta: "Se quest'uomo oltre alle canzoni che scrive e canta, sente e dice queste cose che ha scritto, è degno della più grande stima. Dato che sono molto scettica per quel che riguarda la verità delle interviste sui giornali, avevo chiesto di lui ad una mia amica che lo conosceva e lei aveva confermato le vostre parole. Mi ero riproposta allora di scrivere al vostro giornale per chiedere il suo indirizzo e per dirgli che lo reputavo la persona più intelligente di questo mondo. Ma non ho fatto neanche in tempo a iniziare questa mia lettera di ammirazione e di simpatia. Quando ho saputo che si era ucciso, non ho saputo crederci, non ho voluto crederci, mi sono imposta di non pensarci. Ma poi ciò che hanno detto i giornali, la televisione, tutti, mi ha fatto scattare. "Che cretino, si è ucciso per una canzone" diceva la gente, un ambizioso, un alcoolizzato, un drogato, un esaltato, un giovano marcio desideroso di successo e danaro (lui che lo schifava)". Insomma le cose più cattive, mancava solo che dicessero che era un pervertito, se solo non lo hanno già detto. E questo tuonava dall'alto della cattedra di Sergio Zavoli durante il Telegiornale, in un discorso tanto ingenuo quanto privo della minima pietà e del minimo buon gusto. Poi si son fatte inchieste sull'effetto che ha prodotto sui giovani la scomparsa di Luigi Tenco. E hanno scelto certo i migliori: capelloni, commesse del Piper-Market, quelle che a "Studio Uno" urlavano come oche. E vuoi sapere come hanno risposto tra una risatina e una mossa di shake: "Doveva essere matto, proprio matto: la vita è cosa bella". Ma che cosa sanno questi piccoli sciocchi della vita? La vita è bella, dicono, poi protestano, ma per che cosa? A proposito di questo, proprio lui, Tenco, aveva detto: "Ne avrebbero di temi per una protesta seria, ma quelli non li toccano". Scorrendo i giornali che parlano di lui, giornali che compro tutti non per leggere, ma per conservare le immagini del suo bel viso e dei suoi begli occhi tristi, mi son chiesta: "ma non c'è stato proprio nessuno che lo abbia capito?". Ed era stato così anche quella sera tra quella massa amorfa nella sala di Sanremo, tra la giuria, tra l'équipe del ripescaggio. Ma se la gente non lo ha mai capito da vivo perché ora vuol capire perché lo ha fatto morire, accusandolo di cose che neanche sono vere, offendendo anche la sua memoria. I giornali non comprendono che gli renderebbero certo più onore pubblicando magari sue foto senza aggiungere le solite quattro cretinate di prammatica. Ora mi rivolgo a lei, Signor Direttore, e le chiedo un favore enorme. Vorrei che tutti sapessero che contrariamente a quanto egli pensava vi era fra i giovani e fra i giovanissimi chi lo comprendeva ed amava come un fratello maggiore, per il suo buon senso e la sua triste esperienza. Non firmerò questa mia protesta contro la speculazione che si sta facendo intorno a Luigi Tenco e alla sua morte, anche se sarà preso per un atto di vigliaccheria; non firmerò perché so che questa non è solo la mia voce, ma è quella di tutto il suo pubblico (e vorrei potesse essere vivo per sentire quanto grande esso fosse). Che lo amava sempre e vuole solo il silenzio e il massimo rispetto per la sua memoria. (Una lettrice diciassettenne).
Caro Direttore,
un nome e un cognome in fondo alla lettera di questa prudente ragazza avrebbero aggiunto un vigore morale più forte ad un discorso intelligente. A 17 anni i ragazzi danno aperte prove di sé, si testimoniano, si denunciano, perciò ho un po' di pena per questa adolescente che conosce già i vizi degli adulti, che protesta sul rovescio della lavagna. Io, quella sera, non tuonavo affatto da una cattedra. Facevo il mio mestiere con una identità precisa, assumendomi la responsabilità piena di ciò che dicevo. Tuonavo così poco che per esprimere il mio pensiero, e perché la tesi giungesse più legittima ai telespettatori, presi a prestito da un poeta la conclusione del servizio: "la morte si sconta vivendo". Parlai anche di pietà, come era giusto che facessi, perché il suicidio è un tragico segno della nostra debolezza. E proprio in questo spirito non accennai di proposito al documento lasciato come estremo messaggio da Luigi Tenco perché non credo che "Io tu e le rose" sia in ogni caso un avversario capace di ammazzare chicchessia. Del resto, non essendo un moralista, mi spettava solo di considerare alcuni fatti di costume nei quali poteva essere dolorosamente inquadrato l'episodio. La protesta di Tenco non era una protesta globale contro la società, ma contro un piccolo mondo, ed io ritengo che occorra con ogni forza impedire che lo scarto fra realtà sociale e schema mentale distrugga la più semplice qualità dell'uomo, quella cioè di saper esercitare un giudizio su ciò che è o non è normale, quotidiano, comune e infinito per tutti.
La ringrazio. Suo Sergio Zavoli
articolo tratto da TV Sorrisi e Canzoni del 9/2/1967




LETTERA DI VALENTINO TENCO
Da "La Stampa", marzo 1967

Una lettera a "La Stampa" sul tragico episodio del Festival di Sanremo
Il fratello di Tenco racconta perchè il cantautore si uccise

Il suicidio non fu premeditato: i colpi esplosi non furono due ma uno solo - Il gesto maturò in un momento di sconforto, provocato dall'atmosfera del Festival - Il cantante prendeva dei sedativi, per combattere disturbi alla tiroide, che gli causavano stati di depressione - Quella sera l'effetto gli fu fatale - Esclusa ogni responsabilità di Dalida - "In questo disgraziato mondo gli uomini come Luigi sono talmente in minoranza che vengono anche giudicati degli sciocchi"

Signor Direttore,
vivamente amareggiato dalla proliferazione di notizie esplose in questi giorni su alcuni rotocalchi, ripresa e diffusa dai quotidiani, relativamente alla morte di mio fratello, alla presenza fisica di Dalida nella sua camera prima o dopo il fatto, ritengo mio preciso dovere far udire la mia voce di maggior colpito, unitamente a mia mamma, dalla tragedia.
Poichè su mio fratello sono state scritte molte cose inesatte, ritengo opportuno, prima di fare la cronaca degli avvenimenti in base a quanto mi risulta, delineare in breve la sua vita e il suo carattere con la maggiore obiettività possibile.

Non scendeva a compromessi
Luigi ha avuto una infanzia felice, in quanto non gli è mai mancato nulla, sia dal punto di vista materiale e sia (cosa ben più importante) dal punto di vista affettivo. Mio fratello era un ragazzo amante d'una cultura profonda e, allo stesso tempo, era un essere semplice; direi che sotto un certo profilo aveva l'animo e l'ingenuità di un bambino. Non vorrei essere frainteso in questo concetto, quindi mi spiego meglio: per me un bambino è l'espressione più pura di quello che dovrebbero essere i sentimenti umani, cioè la lealtà, l'onestà, la fiducia nel prossimo, tutte cose che poi vengono contaminate, man mano che si cresce, dalle brutture che ci circondano.
Nelle amicizie mio fratello si allineava sempre con i più deboli ed i più sfortunati. Luigi non aveva problemi di arrivismo, in quanto aveva poche esigenze e quindi era di per se stesso ricco, pur non inseguendo minimamente il denaro. Chiunque l'avvicinasse, io credo, ne riportava una profonda impressione, perchè si trovava davanti ad un uomo che aveva per ideali i valori umani più puri e ne faceva veramente una bandiera senza scendere mai ad alcun compromesso. A chi lo conosceva anche solo superficialmente poteva dare l'impressione di essere chiuso e scontroso, ma conoscendolo meglio ci si rendeva conto che egli era invece molto semplice e gioviale.
Quando mi telefonarono, quella tragica notte, da Sanremo per dirmi che mio fratello stava molto male, con un amico mi precipitai sul posto. Poco prima di arrivare a Sanremo appresi dal giornale radio la notizia della sua morte. Quando giunsi all'albergo Savoy un funzionario della Rca mi attendeva; gli dissi subito che ero già al corrente di tutto e che desideravo vedere la salma. Mi indirizzarono prima all'ospedale di Sanremo, quindi al cimitero, ma la salma non era neppure lì. Telefonai alla polizia, dalla quale appresi che mio fratello si trovava ancora in albergo. Mi ci recai di corsa e vi giunsi mentre stavano portando via Luigi verso il cimitero di Arma di Taggia.

Un cadavere imbarazzante
Dato che è assolutamente assurdo che in simili circostanze si faccia girare una persona in lungo e in largo all'inseguimento della salma di suo fratello, ho ragione di ritenere che quest'ultimo sia stato in un primo tempo spostatoe poi riportato in albergo. Ci recammo allora al cimitero dove, alla presenza dei funzionari di polizia, avvenne il riconoscimento. Rimasi quindi per un po' vicino a Luigi insieme all'amico che mi aveva accompagnato e poi mi recai da un'impresa di pompe funebri per il trasporto della salma a Recco. Mi fu subito detto che sarebbe stato legalmente impossibile rimuoverla prima che fossero trascorse ventiquattro ore dal decesso. Andai allora al commissariato e poi nella stanza dell'albergo, accompagnato dai funzionari della polizia, per ritirare le cose appartenute a mio fratello.
Ritornai dall'impresario di pompe funebri dopo circa un'ora dal precedente incontro e qui, in contrasto con quanto era stato affermato prima, mi si comunicò che si poteva partire anche subito. In quel momento ciò mi fece piacere, in quanto credevo che fosse un atto di cortesia e di pietà; non era altro, invece, che la sopravvenuta impellenza di sbarazzarsi al più presto d'una salma che avrebbe gravemente "disturbato" il proseguimento del Festival. Ho motivo di pensare, adesso, che la traslazione della salma non fu agevolata, ma ritengo invece che le esigenze di quel momento da parte degli interessati ebbero solo a coincidere con la mia aspirazione di portare a casa la salma di Luigi.
Qualche giorno dopo la tumulazione della salma a Ricaldone, volli tornare a Sanremo per quel logico desiderio di verità sulle ultime ore ivi trascorse da mio fratello. Mi recai innanzitutto al commissariato e chiesi la versione dei fatti alla polizia. Da questa appresi, fra l'altro, che i colpi sparati da Luigi erano stati due [???.N.d.R.]. Chiesi al funzionario se tutto sarebbe rimasto chiuso nell'ambito dell'inchiesta o se sarebbe stato divulgato; mi fu risposto che non ci sarebbe stata divulgazione. A questo punto, e visto che non era stata eseguita l'autopsia, è chiaro che per uno ormai conscio che nulla avrebbe più potuto ridargli suo fratello, la cosa essenziale era di non suscitare polemiche che potessero aumentare la pubblicità della sua morte e disturbare il suo sonno eterno.
Non v'è dubbio, però, che le indagini siano state effettuate troppo affrettatamente e del tutto superficialmente. Innanzitutto è assolutamente falso che Luigi abbia sparato due colpi. Quando ero al cimitero vicino a mio fratello, prima ancora di fargli fasciare la testa, mi accorsi che questa presentava il foro d'uscita del proiettile, cosa di cui la polizia non s'era minimamente accorta. Il fatto può anche essere confermato dal mio accompagnatore, ed è comprovato, a mio giudizio, da quanto potei notare nella camera occupata da Luigi in albergo, dove ho osservato il segno lasciato sul muro dal proiettile che, secondo la polizia, sarebbe stato sparato per provare l'armaIo non sono un esperto di balistica, però il segno lasciato da quel proiettile finito nell'angolo del muro e rimbalzato non è profondo; poteva solo essere prodotto da un proiettile frenato in precedenza da un altro bersaglio. Sono sicuro che, se con la stessa arma si sparasse un colpo in quel preciso punto, non solo il proiettile non rimbalzerebbe, ma lascerebbe ben altro segno e non una semplice scalfittura.

Responsabilità del FestivalMi risulta inoltre che il caricatore non era nella rivoltella e che quindi l'arma portava un colpo solo. Del resto, la polizia mi ha dichiarato di avere trovato un solo bossolo. Dove si è cacciato l'altro? È forse sparito per magia? Spiegherò dopo perchè, secondo me, mio fratello ha tolto il caricatore dalla rivoltella e, per quanto riguarda il possesso dell'arma da parte di Luigi, la ritengo cosa perfettamente normale, in quanto è il caso di una persona usa a viaggiare quasi sempre di notte, da sola, in un momento in cui, notoriamente, l'incolumità della gente è molto aleatoria.
Il fatto che io abbia insistito su quanto sopra deriva dalle seguenti ragioni per me molto importanti. Primo: è la dimostrazione che l'indagine si svolse in modo superficiale, negligente ed affrettato; secondo: non è giusto che questa mancanza di accertamenti possa influire negativamente sul profilo morale dello scomparso e possa dare adito sia a supposizioni che ridurrebbero quel gesto ad una buffonata, che a deduzioni errate nei confronti di terzi. Si tenga presente ancora che mio fratello, che era un "antidivo" per eccellenza, al punto di rifiutare di firmare autografi perchè gli sembrava di prendere in giro il pubblico, non ha avuto il tempo di valutare la risonanza postuma del suo gesto.
Io affermo che è stata una grave colpa di voler dare a tutti i costi un senso di premeditazione a questo gesto e cercare di farlo apparire come un fatto inevitabile per escludere il più possibile la responsabilità del Festival. Sono convinto che se le indagini ufficiali fossero state fatte più diligentemente, la vera causa sarebbe risultata puramente occasionale.
Mio fratello era molto attaccato alla vita. Quando partì per Sanremo lo accompagnai al treno: era allegro e avevamo fatto progetti che andavano nel tempo di tre, quattro anni. Aveva una fiducia esagerata nella scienza medica; infatti si curava molto e non si stancava di ripetere che le persone sensate, almeno due o tre volte l'anno, dovrebbero sottoporsi a visite preventive. Tre mesi fa convinse anche me ad andare dal medico, cosa che io non facevo da almeno dieci anni. Soffriva di disturbi tiroidei ed è innegabile che un sedativo o un eccitante avevano su di lui un effetto maggiore che su un individuo che non soffra di questa disfunzione. In parole povere, bastavano pochi sedativi o qualche bicchierino di alcoolici per provocare in lui una forte eccitazione con conseguente depressione.
Ho potuto accertare che quella sera aveva ingerito dei "Pronox" e della "Nisidina", forse a più riprese. Infatti, se io considero mio fratello in uno stato normale, diventano assolutamente assurdi sia il gesto, sia la lettera da lui lasciata, sia la mancanza di un pensiero per la mamma che amava tanto.

La testimonianza di Dalida
In un particolare stato depressivo quando all'uomo più equilibrato della terra viene a rompersi per un attimo quel sottile filo che lo lega a tutto ciò che lo circonda, egli ingigantisce il problema del momento e ne varia le proporzioni in modo esagerato. Diventa quasi logico allora non avere un pensiero per le persone più care per riservare tutta la propria lucidità a quello che sembra, in quel momento, l'assillo più grave.
In questa luce la sua lettera diviene allora intelligente e significativa, non tanto per l'accenno alle canzoni in se stesse, quanto per i riferimenti ad un mondo fatto di persone che accettano continuamente compromessi e contro quel conformismo servile che non rispetta nemmeno la morte. Io credo che proprio grazie a questa "lucidità" egli abbia tolto il caricatore dalla rivoltella, temendo che se fosse sopraggiunto qualcuno particolarmente emotivo e l'arma fosse stata carica, esso avrebbe potuto farne un uso contro se stesso.
A proposito di Dalida devo esprimere questo giudizio: ritengo onesto e logico pensare che una persona, la quale ha premeditato il suicidio e non ha quindi più alcun interesse se non quello di dire la verità, non possa venire alla presenza mia, e soprattutto a quella di mia madre, a dare una versione non vera sullo svolgimento dei fatti, per quanto riguarda gli ultimi momenti di Luigi.
Dalida quando è venuta da noi, ha confermato ciò che aveva già dichiarato in precedenza. Aveva visto Luigi visibilmente alterato e quindi non si sentiva tranquilla. In un primo momento, ascoltando la voce di altri, aveva ritenuto che solo la solitudine potesse calmare mio fratello, tanto più che, avendo fatto telefonare in albergo, aveva appreso che Luigi era rientrato e si era ritirato nella sua camera. Ad un certo punto però erano sopravvenuti in lei altri presentimenti, ed aveva voluto raggiungerlo. La macchina che l'aveva portata dal ristorante all'albergo aveva subito un guasto, per cui aveva impiegato venticinque minuti circa per compiere lo stesso tragitto che di solito si compie in pochi minuti.
Era andata a cambiarsi di abito ed era scesa poi nella camera di Luigi, dove l'aveva trovato riverso in una pozza di sangue. Non aveva visto l'arma, ed in un primo momento aveva creduto che si trattasse di una caduta in seguito ad un malore. Questo è quanto ha detto a noi.
Da parte nostra, tenuta presente l'irrimediabilità del fatto, abbiamo cercato di convicerla a non farsene una colpa e di considerare il tutto come un luttuoso incidente del quale lei non aveva la minima responsabilità. Dalida continuava a dire che avrebbe dovuto non dare ascolto a nessuno, non perdere nemmeno un minuto e andare subito da Luigi, e quindi, arrivando prima, l'avrebbe salvato.
Personalmente mi è parsa una ragazza molto sensibile, onesta e profondamente sincera. In quanto ai rapporti tra lei e mio fratello, io suppongo che fossero improntati a ragioni di lavoro; comunque un'eventuale risposta la può dare solamente l'interessata.

Rispetto per il dolore
L'attacco di certa stampa verso una persona, che attualmente non è in grado di difendersi, merita di essere definito, usando un termine che forse non è prettamente italiano, basso "sciacallismo". Tutto fa parte di quei volgari ed abbietti interessi che purtroppo sono la più forte molla di spinta di questo disgraziato mondo, in cui gli individui come Luigi sono talmente in minoranza che vengono anche giudicati degli sciocchi. Basterebbe invece che fossero tutti come lui ed allora avremmo un mondo migliore, in un mondo dove la prima regola sarebbe quella dettata dalla coscienza e dove la tecnica dello sfrenato egoismo e del continuo compromesso ed arrivismo non sarebbe certo elevata a sistema di vita.
Personalmente io non sono come lui, quindi appartengo disgraziatamente alla stragrande maggioranza ed anche per questo ritengo di essere stato maggiormente obiettivo: chi ha conosciuto Luigi mi può senz'altro capire.
Spero adesso che tutta questa gazzarra finisca e che si rispetti il dolore d'una famiglia profondamente colpita.
Ci auguriamo che nessuna inchiesta postuma possa giustificare la riesumazione della salma del mio povero fratello, che confidiamo venga lasciato in pace, così come la sua memoria.

Valentino Tenco
Recco, 22 marzo 1967
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INTERVISTA A AVALENTINO TENCO
Da "Oggi Illustrato", dicembre 1971

Mentre tornano di moda i motivi di Luigi Tenco, il fratello lo ricorda a 4 anni dalla sua tragica morte.
"Odio le sue canzoni"

"Non mi importa un accidente che ora la gente abbia riscoperto mio fratello", dice Valentino Tenco nell'intervista che pubblichiamo. "Preferirei che lui fosse ancora qui, anche se per vivere dovesse fare lo spazzino, invece che il cantante di successo" - "Nostra madre non ha ancora accettato la morte di Luigi e, forse, non si rassegnerà mai: tanto è vero che non ascolta i suoi dischi perchè le spezzerebbero il cuore" - "Secondo me si è ucciso perchè era troppo onesto e non scendeva a compromessi" - "La droga non c'entra: quella sera aveva preso qualche calmante per vincere il nervosismo"
Intervista di Piera Fogliani

Genova, dicembre

«Non mi importa un accidente che ora la gente applauda le canzoni di mio fratello. Preferirei che lui fosse ancora qui, anche se per vivere dovesse fare lo spazzino invece che il cantante di successo. Il nocciolo della questione è proprio questo: non mi commuovo sentendo ripetere: "Ah, quanto sono belle le canzoni di Tenco!". In un certo senso mi fa piacere, ma mi fa anche tanta rabbia. I proverbi sembrano passati di moda, ma contengono ancora certe amare verità, come "è meglio un asino vivo che un dottore morto"».
Valentino Tenco, fratello del cantautore Luigi Tenco, che si suicidò con un colpo di pistola, a Sanremo il 27 gennaio 1967, ci guarda un po' risentito, gli occhi grigi come due fessure chiare, senza tradire la minima emozione. Siamo andati a trovarlo perchè il nome di Tenco in questi ultimi tempi è tornato alla ribalta del mondo della musica leggera. A "Canzonissima", Nicola di Bari ha riproposto con successo una sua vecchia canzone e, addirittura, ha inciso unlongplaying tutto dedicato a lui. Anche Ornella Vanoni ha inciso parecchi motivi dello sfortunato cantautore genovese e Michele ha inserito un suo "pezzo" nell'ultimo disco.
Non è stato facile incontrare Valentino Tenco; ha acconsentito a riceverci, dopo lunghe insistenze, solo per evitare che ci rivolgessimo a sua madre.
«Quello che mi preme è la sua tranquillità, la sua salute», dice. «Ecco perchè non voglio che torniate a tormentarla chiedendole ancora come è morto suo figlio e perchè. In questi giorni mamma non sta bene. Qualche tempo fa è caduta in cortile: una lussazione alla gamba l'ha tenuta a letto per alcuni mesi. Adesso si è presa un'influenza. Niente di preoccupante, ma voglio che si rimetta in forze prima di vedere gente. Benchè siano passati 4 anni da quel giorno, mia madre non riesce a darsi pace...».
Valentino sospira come se fosse stato colto da un dubbio, poi prosegue.
«Certo, se avessi la certezza che in questo momento potrebbe giovarle sfogarsi con qualcuno, non avrei niente in contrario a permettervi di incontrarla. Ma come posso saperlo? E così preferisco evitarle nuove emozioni. Vorrei che dimenticasse il dramma che ha sconvolto la nostra famiglia. Anche se è impossibile, perchè so che ogni giorno lei ha davanti agli occhi quello che è avvenuto. Non ha ancora accettato la morte di Luigi e, forse, non si rassegnerà mai. Tanto più che, quotidianamente, continuano ad arrivarle decine di lettere struggenti che parlano di questo figlio straordinario che ha avuto».
Valentino Tenco lancia un'occhiata al ritratto del fratello che ha sistemato sopra la scrivania del suo ufficio nel garage che, con un socio, possiede a Genova. Parlando del suicidio di Luigi evita accuratamente parole d'effetto come "tragedia"; pudicamente lo chiama "quel fatto", "il gesto".
«Per noi», aggiunge dopo un attimo, «più che un autore di canzoni, più che un artista, Luigi era uno studioso. Dopo il liceo si era iscritto alla facoltà di ingegneria elettronica: la matematica era la sua passione. Pensi che quando frequentava le scuole medie si divertiva a fare equazioni differenziali. A casa ho ancora i suoi quaderni, in cui ci sono pagine zeppe di equazioni, interrotte qua e là da una poesia o dal testo di una canzone. Mio fratello era un ragazzo fuori dal normale, ma vorrei che non si parlasse più di lui. Sono state dette troppe cose inesatte sul suo conto, cose che spesso mi hanno fatto impazzire di rabbia e di dolore. Siamo arrivati perfino a dubitare di tutto e a domandarci: "Ma che cosa è avvenuto veramente? Che cosa non sappiamo?". Per noi certi avvenimenti non possono essere accaduti come ce li raccontano. Ecco perchè ora rifiutiamo i contatti con il mondo esterno e non desideriamo più leggere i giornali. È proprio per questo motivo che quando mio figlio rompe il televisore anzichè sgridarlo penso che mi ha fatto un regalo. Il nostro dolore resta dentro di noi, e ci starà per sempre».
Perchè siete rimasti nella stessa casa in cui ha vissuto Luigi?
«Perchè mia madre non vuole abbandonarla. Mi ero posto questo problema, ma poi ho capito che sarebbe stato inutile cambiare. Per mamma è necessario avere attorno qualche cosa che le ricordi Luigi. In fondo, le sembra di stare ancora in sua compagnia».
Perchè suo fratello si è ucciso? Ci ha mai pensato?
«Perchè era troppo onesto, talmente onesto che non ha voluto accettare una posizione di compromesso. E poi non desiderava affatto partecipare a concorsi e a gare. Tra l'altro era molto timido. Proprio per la sua onestà, spesso non riusciva a vedere se c'era del marcio dietro a ciò che faceva: ma forse in occasione di quel maledetto festival ha visto e capito qualcosa. Ho cercato di esaminare tutti i lati della faccenda e non ho trovato altra spiegazione. Anche perchè Luigi era un ottimista. Quando io, magari, gli dicevo: "Ma che schifo, è più difficile vivere che morire", lui si arrabbiava e rispondeva che proprio perchè la vita era così, dura e piena di ostacoli, bisognava avere il coraggio di viverla fino in fondo. Per questo motivo non volevo credere che si fosse suicidato. Una "soluzione" del genere era lontana dal modo di ragionare di mio fratello, anche perchè a Luigi non importava niente di vincere o di perdere un concorso. La canzone che Nicola di Bari ha cantato a Canzonissima, "Lontano lontano", per esempio, era un vecchio motivo che lui aveva presentato non ricordo bene se a Partitissima o al Disco per l'estate ["Disco per l'estate" 1966, N. d. R.], senza curarsi minimamente del risultato. L'aveva fatto e basta. Tornando a quella sera, mi è venuto un sospetto. Mio fratello soffriva di tiroide, e potrebbe aver abusato di alcuni calmanti. So che aveva preso della nisidina. Forse avrà esagerato nella dose, magari anche per vincere la timidezza. Ma ciò non giustifica ciò che è successo. A meno che Luigi non abbia perso la testa. Quando uno si trova in particolari condizioni di salute, può ingigantire anche un problema al quale, in un altro momento, non darebbe alcuna importanza; ma sono le circostanze che determinano un fatto, che portano a gesti inconsulti. Quale fu questo fatto?».
Si è parlato di droga: lei che cosa ne pensa?
«Lo escludo nel modo più assoluto. La droga non c'entra, per nessuna ragione. Non lo dico per difendere la memoria di mio fratello. Molte volte mi sono rimproverato per non averlo seguito, per non essere stato là quando è avvenuta la disgrazia. Perchè non ero con lui? È molto semplice: mamma e io non volevamo che Luigi facesse quel lavoro, desideravamo che finisse gli studi. Quindi volutamente abbiamo sempre ignorato la sua carriera artistica. Soprattutto perchè, conoscendolo, sapevamo che anche lui se ne fregava di quell'ambiente e quei successi. Questa è la cosa più assurda».
Forse non era vero che non gliene importasse niente; forse per lui erano importanti.
«No, non posso crederlo. Penso piuttosto che, trovandosi in un momento di particolare emotività, Luigi abbia ingigantito le sue reazioni di fronte a quella che, diciamolo chiaramente, è stata una "grossa torta", una cosa ingiusta che non avrebbe dovuto accadere. Probabilmente deve aver pensato: "Ma se al mondo anche nelle piccole cose c'è sempre di mezzo l'inganno e la disonestà, che razza di vita è questa?". E ha fatto quello che ha fatto. D'altra parte è questione di un attimo. Può capitare a chiunque. Mi stupisco solo che sia successo a lui...».
Che cosa provate adesso quando sentite una canzone di Luigi?
«Non le sentiamo mai, non le vogliamo sentire per una ragione semplicissima: ci spezzano il cuore. E poi c'è il problema di mia figlia Patrizia, che ora ha undici anni. Era molto affezionata allo zio, e ha sofferto molto per la sua morte. Il pediatra ci aveva consigliato di spiegarle onestamente l'accaduto. Quando apprese la notizia, la bimba diventò pallida come un cencio e non parlò più. La portammo in clinica: niente, sembrava bloccata, spenta, assente. Sa che cosa l'ha salvata? Un cagnolino. Si affezionò a lui e dopo alcuni mesi ritornò a essere una bambina normale. Ma da quel giorno ha smesso di nominare lo zio Luigi e se qualcuno lo fa in sua presenza esce dalla stanza. L'unico che ne parla con semplicità è l'altro mio figlio più piccolo: qualche volta si mette ad aspettarlo e cerca di immaginare con quale macchina arriverà lo zio Luigi. Non si è ancora reso conto che è morto».
Neanche sua madre ascolta i dischi di Luigi?
«No, lei non sente mai le sue canzoni, anche perchè non sarebbe capace di far funzionare il giradischi. E poi con che animo potrebbe ascoltarle? Se l'immagina che cosa succederebbe se sentisse la voce del figlio?»
È vero che ora dorme nella sua camera da letto?
«Per un certo periodo l'ha fatto. Poi le ho consigliato di andare nella camera accanto, perchè era più ampia e più fresca. E lei si è trasferita senza farsi pregare. Ora continua a entrare in quella stanza, ma solo per tenerla in ordine. Mia madre penserebbe a Luigi anche se fossimo andati ad abitare in Canada, anzichè nella stessa casa. La camera in se stessa non rappresenta niente per lei. È una donna sensata, equilibrata e non si è attacata in maniera morbosa ai luoghi in cui ha vissuto il figlio. Certe esagerazioni non le vengono neppure in mente».
Che cosa dice quando rievoca Luigi?
«Niente! Piange e basta. Ovviamente è tormentata da un mucchio di scrupoli: "Se avessi fatto questo, se avessi fatto quest'altro", e via di questo passo. Io le rispondo: "Ma tu, onestamente, potevi pensare a una cosa del genere?". Lei dice di no, però piange lo stesso».
Suo fratello aveva problemi finanziari?
«Che io sappia no! Specie nell'ultimo periodo. Anche perchè era ormai un cantante arrivato. Avrebbe potuto benissimo evitare di andare al festival di Sanremo. Così come aveva sempre evitato di fare delle serate»
E sua madre? Lei, ora, ha problemi finanziari?
«No, anche perchè in casa nostra non diamo eccessiva importanza al danaro. Abbiamo sempre vissuto bene anche quando ce n'era pochissimo. L'unica cosa che abbia valore a questo mondo sono i sentimenti, quelli veri».
Chi è, a suo avviso, il cantante che ha interpretato meglio i "pezzi" di suo fratello?
«La Vanoni, credo. Del resto noi non ci siamo mai preoccupati di saperlo. L'unica cosa valida, quasi una scoperta, è cheattraverso le sue canzoni abbiamo visto trasparire, se non totalmente, almeno in parte la personalità di Luigi. Mio fratello era molto sincero: non si preoccupava della vendita dei dischi. Scriveva canzoni solo quando sentiva il bisogno di farlo, quando voleva esprimere i suoi sentimenti».Quale tra questi motivi può essere l'espressione più genuina di un amore di Luigi?
«"Quando"! Mio fratello a quel tempo era innamorato di una ragazza tedesca. Si chiamava Ulla, se non sbaglio. In famiglia eravamo abbastanza seccati per quella relazione. Ulla era molto spregiudicata. Adesso sono tutte così, ma allora una ragazza che indossava i pantaloni faceva effetto. Io sognavo per Luigi una ragazza completamente diversa, mi sembrava che quella tedesca non fosse adatta per lui. Invece ora, ripensandoci, devo ammettere che forse sbagliavo. Luigi le voleva bene ed era ricambiato. Ma un giorno, per caso, venne a sapere che l'ex-fidanzato di Ulla, per il dispiacere di essere stato abbandonato, era sul punto di fare una sciocchezza: così decise di riportagliela. L'accompagnò personalmente in Germania dall'ex-"moroso" e volle chiedergli scusa dicendogli che Ulla aveva perso la testa per colpa sua. Quei due, poi, si sposarono; Luigi soffrì moltissimo e scrisse "Quando"».
Che ne pensa dell'ultimo amore di suo fratello, di Dalida voglio dire?
«Non so granchè di lei. Luigi non ne parlò mai in casa. Non so cosa ci sia effettivamente di vero in tutto questo che è stato detto, quindi non posso nè confermarlo nè smentirlo».
Che tipo era suo fratello?
«Era un uomo che non dava calci negli stinchi a nessuno, che non abusava della fiducia della gente. Pur essendo di dieci anni più giovane di me, era una persona sulla quale potevo sempre contare. Non sono solo io a pensarla così. Anche i suoi amici».
Chi erano i suoi amici?
«In gran parte dei poveracci. Luigi non si sceglieva certo gli amici tra coloro che erano arrivati. Anzi, ripeteva sempre che i suoi compagni preferiti erano i diseredati e i falliti. Avrà avuto anche lui le sue debolezze, i suoi difetti, tutti ne abbiamo. Ma Luigi era certamente un uomo eccezionale».
Quali difetti aveva?
«Il più grosso, se così si può chiamarlo, era quello di credere troppo negli altri, di avere troppa fiducia nella gente».
Credeva in Dio?
«Credere in Dio per me non significa andare a messa; significa essere onesti nei rapporti con gli altri e con se stessi. Se lei intende questo, mio fratello era un grande credente»
L'ha visto l'ultima sera che ha cantato in televisione?
«Si, l'ho visto. E non mi sono accorto di nulla. Sapevo che era timido, e credevo che cercasse solo di finire alla svelta per scomparire dal video. Quando uscì di scena pensai che si sarebbe rilassato e, come sempre, dopo qualche minuto, avrebbe dimenticato tutto, gara e canzone. Per noi era evidente che aveva cantato di malavoglia, solo perchè era stato costretto. Mai più avremmo supposto come sarebbe finita. Neppure un sospetto ci sfiorò. E poi, conoscendo Luigi, era la cosa più assurda da pensare. Non considero quel gesto un atto disonorevole. Spesso mi sono domandato che cosa può spingere un uomo a scegliere la morte. si suicida perchè è diventato matto oppure perchè finalmente riesce a vedere chiaro in se stesso? Non dico questo per difendere mio fratello. Per il suo modo di ragionare, di pensare, per tutto quello che ci siamo detti, era l'ultima cosa che potevo supporre. Luigi era un ragazzo molto forte. Io ero più debole di lui. E sono convinto che su mille persone novecentocinquanta sono come me. C'è ancora una cosa che voglio ripetere. Luigi non dava importanza alle canzoni, alle gare, ai concorsi. È assurdo quindi sostenere che si è ucciso solo perchè era stato eliminato: un discorso del genere rasenta l'insulto, è gratuitamente cattivo, e stupido soprattutto. Tanto più che Luigi era un ragazzo semplice, l'antidivo per eccellenza, il contrario dell'arrampicatore che vuole arrivare a tutti i costi, che ha bisogno del successo per vivere: cercava qualcosa di più autentico, aveva bisogno di un rapporto sincero, vero, umano. Ecco, a mio avviso, in quei giorni a Sanremo deve essere successo qualcosa di molto importante sotto il profilo umano, qualcosa che lo ha deluso profondamente, che l'ha costretto a fare un ragionamento di questo genere: se perfino per una cosa banale come una canzonetta si tradisce l'amicizia, allora è meglio farla finita».

Piera Fogliani 

INTERVISTA A VALENTINO TENCO
Da "Stop", gennaio 1977

Esclusivo. Il fratello di Luigi Tenco, a dieci anni da quella tragica notte, accusa:
"Lo hanno uccciso!.."

Dal nostro inviato

Recco, gennaio

Dieci anni fa, la notte del 27 gennaio 1967, un colpo di pistola risuonava nella stanza 219 dell'hotel Savoy di Sanremo. Quel colpo d'arma da fuoco che spegneva la vita di uno dei più promettenti cantautori del momento segnava anche l'inizio del declino del Festival di Sanremo. Quest'anno addirittura la kermesse canora non si svolgerà nei saloni del Casinò ma sarà spostata in un teatro cittadino, poi l'intera troupe del festival della canzone farà una lunga tournée in Italia: la sagra musicale più importante del nostro Paese, insomma, si sta trasformando in uno spettacolo musicale da cinema di periferia! Quel colpo di pistola aveva lasciato attoniti milioni di fans della musica leggera, milioni di persone che, poche ore prima della tragedia, avevano visto il cantautore genovese comparire timidamente sul palcoscenico del teatro delle feste del Casinò per concorrere ad una gara che non gli interessava affatto. Luigi Tenco era un personaggio schivo, timido, che preferiva starsene nel chiuso della sua casa di Recco a comporre canzoni, piuttosto che apparire nelle sale da ballo, sugli schermi televisivi dove sapeva che la sua musica non sarebbe stata compresa dal grosso pubblico. Per anni aveva rifiutato serate, concorsi, premi. Il vuoto mondo del palcoscenico del divismo non lo allettava. Il suo animo era pieno di poesia, di amore per il prossimo, di sensibilità e di commozione per chi soffre. Preferiva perciò passare la serata con gli amici del bar: operai, impiegati, studenti, gente di tutti i giorni, insomma. Le macchine lussuose, gli appartamenti da mille e una notte, il conto in banca non lo interessavano.
Al festival era arrivato per caso. Era stata la sua casa discografica, la RCA, a spingerlo a concorrere. Sempre per caso era stato abbinato a Dalida.
La cantante italo-francese era andata nella sede romana della casa discografica per scegliere una canzone da portare al festival. Le avevano fatto sentire un provino di un altro autore. Dalida aveva voluto ascoltare anche l'altra facciata del disco che recava appunto "Ciao amore, ciao" di Luigi Tenco.
«Se devo concorrere al festival voglio andarci con questa canzone», aveva detto. Così il destino aveva deciso il tragico viaggio verso l'ignoto dello studente in ingegneria elettronica Luigi Tenco e aveva unito brevemente due vite, quella di Luigi e quella di Dalida.
La morte del giovane gettava nella disperazione una intera famiglia, composta dalla madre Teresa, dal fratello Valentino, dalla moglie di questi e dai suoi due bambini, Giuseppe e Patrizia. Mamma Teresa non ha mai saputo rassegnarsi alla perdita del suo ragazzo. Per anni è stata in preda alla disperazione. Ha fatto della camera del figlio un sacrario pieno di ricordi: le sue musiche, i suoi dischi, la sua chitarra, che ancora oggi è avvolta in un foglio di cellophane.
La povera signora Teresa, che oggi ha settanta anni, non ha mai saputo riprendersi dal duro colpo infertole dal destino. Poco alla volta le sue forze sono venute meno, l'anemia che l'aveva sempre perseguitata è andata aggravandosi ed ora la donna è costretta a vivere in una clinica, dove, da oltre un anno, i medici si danno il turno attorno al suo letto, nel tentativo di farla uscire dallo stato di abulia.
Chi, invece, non si è mai dato per vinto è il fratello Valentino. Di dieci anni più anziano di Luigi, Valentino era per il giovane cantante un padre, l'amico più sincero, il confidente. La ricerca della vera causa della morte di Luigi è stata, per anni, un chiodo fisso per Valentino Tenco. È lui stesso che ne parla.
«Quando è successo sono stato il primo della famiglia ad accorrere. Da allora non ho mai saputo darmi pace. Per anni ho cercato la ragione che aveva portato alla morte mio fratello, ma per me è sempre rimasta un mistero. Luigi non era certo il tipo che desse molta importanza ad una delusione di lavoro. Gli interessava così poco il mondo della canzone da non rimanere scioccato per l'ingiustizia della sua esclusione dalla finale. Non penso nemmeno che potesse nutrire un amore non corrisposto per Dalida, come è stato scritto da molti giornali. Luigi era un ragazzo timido, introverso, capace di far innamorare una ragazza a prima vista. Le sue scelte, in campo sentimentale, invece, erano frutto di lunghi ragionamenti. Non era di certo il tipo pronto ad innamorarsi della prima persona che si trovava al fianco! Avrei molte cose da dire sulla sua fine, molte cose da eccepire sul comportamento delle prime persone accorse, degli inquirenti, ma è meglio lasciar perdere. È passato, ormai, troppo tempo. Ma non per me! Io continuo a non darmi pace. Ci sono troppi interrogativi che non hanno mai trovato una risposta. E poi quel colpo, quel tremendo colpo di pistola che gli ha devastato la testa!
Riflettendo su quello che ho visto quella tragica sera, è entrato in me il dubbio: Luigi si è suicidato o è stato ucciso?Nessuno ci ha mai fornito una spiegazione esauriente dei motivi che l'avrebbero spinto al suicidio. Il suicidio era lontano dal modo di pensare di mio fratello. Luigi aveva sempre avuto orrore delle armi. Aveva chiesto la licenza e si era comprato una pistola un anno prima della sua fine [Qui ci si riferisce sicuramente alla Walther PpK8. accquistata con regolare porto d'armi, non un anno prima, ma 2 mesi prima; non si parla invece di una seconda pistola, N. d. R.]
Un giorno, mentre rientrava da Roma in auto, aveva avuto la netta impressione di essere seguito per tutto il lungo tragitto. Nemici non ne aveva, almeno apparentemente. Eppure, per tutta la strada da Roma a Recco la sua Mini era stata tallonata da una vettura molto più potente, una macchina che avrebbe potuto benissimo superarlo. Quella macchina era stata per tutto il viaggio nello specchietto retrovisore. Luigi si era spaventato e, appena a casa, aveva deciso di cambiar macchina, di acquistarne una più potente e di prendersi un'arma per difesa» [Inseguito dunque, ma non messo alle strette o tamponato da due auto, a meno che Luigio avesse edulcorato i fatti per non fare preoccupare il fratello, N. d. R.]
«Perchè, da chi, da cosa voleva difendersi?», chiediamo.
«Questo rimmarrà per sempre un mistero!
Nei giorni immediatamente successivi alla sua scomparsa ho cercato di mettere a fuoco i vari elementi della tragica scena del suicidio. Troppe cose erano avvolte nel mistero. Per me, la sua morte è un giallo!».
«Ma quali sono questi elementi?», chiediamo.
Ci risponde con una serie di interrogativi.
«Sono numerosi, differenti e tutti oscuri: non posso accusare nessuno nè precisare qui le mie accuse. Voglio solo vederci chiaro: per conto mio si è avuta troppa fretta a dichiarare ai quattro venti che mio fratello si era ucciso perchè non aveva sopportato la delusione di essere stato escluso dalla finale del festival. Ammettendo anche la tesi del suicidio, mi sembra strano che uno che vuole uccidersi si spari alla nuca: il foro di entrata, infatti, era nella nuca e quello di uscita sopra l'occhio sinistro [già dal 1977 dunque. Valentino aveva chiaro che i fori di entrata e di uscita erano due, con traiettoria dal basso in alto, dalla mastoide destra alla parte laterale del frontale di sinistra, con possibile rimbalzo del proiettile sullo stipite superiore della porta, N. d. R.] però, non mi sono ancora arreso. Per anni ho cercato la ragione che avrebbe portato a quel gesto inconsulto mio fratello, senza mai riuscire a trovarla. Luigi era l'ultima persona al mondo che potesse pensare di togliersi la vita. La rivoltella se l'era comprata per difendersi, non per uccidersi: questo è certo. Perchè dunque avrebbe dovuto rivolgerla contro se stesso?».
«Dopo la sua morte si era detto che avesse preso della Nisidina, un antidolorofico che può procurare dei profondi stati di depressione», chiediamo. «Non può essere stata quella pastiglia a farlo cadere nello scoraggiamento per l'esclusione dal Festival?».
«Ho voluto controllare di persona gli effetti della Nisidina. Pensavo che Luigi l'avesse presa con dell'alcool, quindi ho provato ad inghiottirla con del whisky. In effetti, provoca un vero e proprio stato di torpore. I riflessi si allentano e si cade, magari, in un sonno profondo, ma da questo a dire che si può arrivare alla decisione di suicidarsi c'è una bella differenza! Non vorrei esser preso per un visionario, comunque mi sembra che la spiegazione del dramma vissuto in quella camera d'albergo, la notte del 27 gennaio di dieci anni fa, presenti molti lati oscuri. Se si fosse indagato più a lungo forse si sarebbe giunti ad una soluzione diversa. È questo che mi fa rabbia. È per questo che non mi sono mai dato pace, che non ho mai smesso d'indagare!».
Sono passati dieci anni, eppure la figura di Luigi Tenco non è ancora stata dimenticata, anzi, più volte i giornali si sono occupati di lui, più volte sono state tentate operazioni di recupero della sua musica, della sua poesia: qualche anno dopo la sua scomparsa sono tornate di moda le sue canzoni; un vero e proprio revival che ha commosso profondamente la famiglia ed i suoi estimatori. Ogni anno si organizza un festival di "canzoni d'autore" dedicato alla memoria di Luigi.
Ora, a distanza di un decennio dalla sua scomparsa, due giornalisti hanno firmato un libro su di lui. La gloria e la popolarità che il giovane cantante ligure non era riuscito a conseguire in vita sembrano ora volergli rendere un po' di giustizia.

Leonida Barezzi 

INTERVISTA A VALENTINO TENCO
Da "La Stampa", febbraio 1988

Dopo 21 anni si è chiusa, tra i dubbi, l'inchiesta sulla morte del cantautore

Adesso il fratello di Tenco denuncia:
"Non l'hanno ucciso, l'hanno ammazzato"

Anche Aldo Fegatelli, autore dell'ultima biografia, dice: "Furono fatte indagini approssimative"
RECCO - Una coincidenza, quasi, beffarda. Alla vigilia del 38° Festival di Sanremo, si è chiusa l'inchiesta sulla morte di Luigi Tenco che 21 anni fa, il 27 gennaio '67, al Festival diede la vita. Ultimo atto dell'inchiesta: la restituzione al fratello Valentino della pistola che l'uccise [la Walther PpK8 elencata nei reperti della stanza 219, N. d. R.]. Quell'arma tuttavia è motivo di nuove inquietudini. Suicidio? Chi l'ha detto? E se sulla sua lapide facessi scrivere "assassinato" chi potrebbe smentirmi?". Dieci anni più vecchio, amico in vita, custode della memoria dopo la morte, "guardi qua - dice Valentino - com'é pulita la canna. Chi l'ha pulita? La polizia? Non credo. Se nessuno ci ha messo le mani dopo, non ha sparato. Chi l'ha fatto, allora? Cosa darei per sapere cosa è successo quella notte. Difficile credere si sia ucciso per una canzone".
Anche chi ha investigato ha trovato più dubbi che certezze. Aldo Fegatelli autore dell'ultima biografia: "Fu fatta una ricognizione approssimativa, niente guanto di paraffina, foto di nessun valore. Ci fosse stata una regolare autopsia ci si sarebbe accorti che il foro d'entrata era sopra la tempia, dietro l'orecchio destro, posizione anomala per un suicida".
Poi il biglietto d'addio: "Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come protesta contro un pubblico che manda "Io, tu e le rose" in finale.. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao": sottoposto a perizia è stato ritenuto "dubbio".
E allora? Vittima di un incidente, tipo "roulette russa" dinanzi a qualcuno che, spaventato, scrisse il messaggio per far pensare al suicidio. "Oppure - azzarda Fegatelli -potrebbe essere stato eliminato perché, lui escluso, minacciava di rivelare la combine del Festival".

La casa dei Tenco, a Recco, è una veranda sul mare, una strada ripida, alberi e ulivi intorno. strada ripida, alberi e ulivi intorno. "Quando c'era Luigi non era così - racconta Valentino - sono stati fatti restauri. Ma la struttura era questa". La famiglia ha resistito alla tentazione di trasformarla in museo: niente foto o richiami alla musica. Anche i due figli di Valentino, un giovanotto e una signorina, ascoltano dischi, senza la camera tappezzata da eroi del microfono.
"Noi siamo piemontesi - aggiunge - la nostra gioventù è stata fra Maranzana, Ricaldone e Cassine. Qui venni io in collegio perché il mare era buono e il clima adatto per chi aveva problemi di salute. Dopo è diventato il nostro paese di adozione. Luigi però aveva nel cuore il Piemonte: nelle sue canzoni c'è la campagna, i contadini, la gente che lavora".
[Appunto: più "piemontese" che ligure! N. d. R.]
Le luci della ribalta in casa Tenco non erano gradite, volevano che studiasse, "Io avevo lasciato la scuola ma lui doveva continuare. In seconda media sapeva risolvere equazioni differenziali, aveva una memoria prodigiosa. Si era iscritto a Ingegneria elettronica a Genova, poi a Scienze Politiche. La mamma voleva che si preparasse agli esami e lui scrisse la canzone "Vedrai, vedrai" che è d'amore, ma materno. Prometteva che avrebbe finito gli studi: vedrai/ non so come, non so quando/ ma un bel giorno, vedrai.."
Nell'Alessandrino, i Tenco avevano una mescita di vino e un'altra di vini tipici piemontesi a Genova ("Bottiglieria Enos") in via Rimassa. Luigi stava dietro il bancone, serviva da bere agli uomini del porto; a Bruno Lauzi, Gino Paoli e Fabrizio De Andrè. Adesso Valentino installa pannelli solari.
"L'hanno descritto come un musone - aggiunge - ma era un chiacchierone. Parlavamo di tutto, litigavamo per poi riappacificarci subito. Era buono: il suo prossimo non era quello arrivato, ma con problemi, da aiutare. Quando lo fermavano per un autografo, diceva: - Anche tu, allora, devi farmi l'autografo perché fra noi due non ci sono differenze. Come me, ci sono 50 milioni di italiani".
Ancora: "Avevano organizzato per lui una conferenza stampa, un'occasione d'oro. Si è presentato e ha parlato del Pesce spada di Modugno e del Ragazzo della via Gluck di Celentano. Tutti rimasero a bocca aperta: un esordiente che parlava degli altri? Al mondo della canzone non dava importanza. L'anno prima era al Disco per l'estate con Lontano, lontano , tra le più belle firmate da lui. La bocciarono. "Hai visto?": un'alzata di spalle e andammo a pescare. Nemmeno a Sanremo badava: per questo il suicidio per una canzone è assurdo".
Un'indagine giudicata sommaria, anzi "non è nemmeno stata fatta". "Noi a questa storia non ci abbiamo mai creduto. Non perché l'ammazzarsi sia disonorevole in sé. Piuttosto perché la spiegazione del suicidio non è soddisfacente".
Subito dopo il fatto Ugo Zatterin scrisse sul Radio-Corriere che quel suicidio era il gesto di un alienato. Nel processo, la difesa fu affidata a Geo Dal Fiume: "Un processo in punta di fioretto concluso con l'assoluzione - dice Dal Fiume -. L'articolo di Zatterin era crudele anche se non ripugnante: se fossi stato un parente mi sarei sentito offeso".
Da allora hanno cominciato ad arrivare in casa Tenco sacchi di posta. La madre Teresa ha risposto a tutti com'era capace: qualcuno voleva l'orologio, altri un ricordo qualsiasi. Adesso che è morta, la posta arriva al fratello. Ci sono ragazzi nati quando lui era già morto: cantano le canzoni vecchie di vent'anni perché sembrano straordinariamente attuali.

Lorenzo Del Boca 



INTERVISTA DI VALENTINO TENCO
Da "La Stampa", ottobre 1989

Incontro con il fratello Valentino, ricordando fatti e aneddoti

Le due anime di Tenco: razionale ed altruista

Un omaggio, mentre sta per essere presentato un brano inedito

"Mio fratello aveva paura del buio". Chi racconta, seduto di fronte a noi, è Valentino Tenco, il fratello di Luigi. Siamo nella sua splendida casa di Recco, là dove la salita comincia ad inerpicarsi verso il Passo della Ruta: "Ma non è casa mia, è la casa di Luigi - racconta - l'ho sempre detto a tutti, è grazie a lui, a guanto ci ha lasciato, se oggi i suoi parenti più stretti possono abitare qui. L'aveva scelta lui, questa casa, era sicuro che, a picco sul mare, nessuno avrebbe potuto edificare oscurando il panorama. Era sempre razionale, logico, assennato, qualunque cosa facesse".
Di Luigi si parlerà nuovamente tra qualche giorno. Anzi, di lui, della sua personalità, della sua arte, si è sempre parlato: ma l'occasione contingente, stavolta, sarà data dalla presentazione in pubblico, il 5 ottobre al Genovese, nel corso di uno special Colombiano realizzato da Canale 5, del nastro di un brano finora inedito, Padroni della terra, tradotto in italiano dall'originale di Boris Vian. Un'occasione in più per lasciarsi trasportare sulle ali del ricordo, per scavare, comprendere, capire i dettagli di una vita intensa e di una morte ancora misteriosa dopo anni.
"Luigi non era affatto quell'introverso musone che qualcuno ha avuto interesse a dipingere - narra ancora Valentino - anzi, era un vulcano di comunicativa, di allegria e di voglia di vivere. A scuola era conosciuto per la sua sorprendente capacità di apprendimento, per la sua facilità di abbinare ottime conoscenze tecniche e matematiche alla padronanza del greco e del latino. Ma era un ragazzo allegro, scherzoso: un giorno prima dell'esame di maturità fece una tremenda indigestione di ciliegie. Stette male, ma l'indomani, davanti alla commissione, fu l'unico dell'intera sua classe a passare a pieni voti".
Era freddo, analitico nelle sue azioni: "La sua paura del buio e della solitudine era forse l'unico elemento irrazionale in lui: non riuscendo a sconfiggerla, si mise da solo a costruire un impianto elettrico per la casa che gli permettesse di comandare tutte le luci di casa da tre diversi punti, una serie di "cavallotti" che l'elettricista venuto a riparare l'impianto qualche mese dopo la sua scomparsa non volle credere fossero stati realizzati da un "dilettante". Arrivò a dirmi che non era possibile che fossero mai funzionati. Ed erano durati per otto anni!".
Ancora, il timore della solitudine: "Era un buon sub, ma dato che non voleva sentirsi abbandonato sotto le onde, si era fabbricato una radio impermeabilizzata per comunicare con me, a riva. Stavamo terminando di collaudarla quando lui mancò".
Tenco battagliero, Tenco altruista: il fratello ce lo fa ascoltare in un nastro rimasto fino ad oggi nel suo scrigno di tesori insieme a tanto altro materiale, anche musicale, mai uscito da casa sua, dove Luigi, in un circolo, ha con alcuni amici una violenta discussione sulla "commercializzazione" della canzone di protesta. E a chi gli fa notare come, allora, Bob Dylan, -fosse già divenuto autore "di mercato", lui risponde, con la solita freddezza: "Viviamo in una società industriale e dobbiamo usare i suoi mezzi anche per comunicare. La figura del cantautore di strada è pur suggestiva, ma riesce a trasmettere qualcosa solo a quelle poche persone che lo degnano". Ancora, il racconto di quando incontrò, in aereo, un Peppino Di Capri in forte crisi esistenziale. Ebbene, detto fatto, gli "regalò" tre suoi brani, "prendili, firmali e fanne ciò che vuoi", gli disse.
Non sappiamo se questo poi avvenne, ma senz'altro fu un piccolo gesto che confermò la sua vena di continua disponibilità con il prossimo. Ancora, ascoltiamo antiche interviste dove, sempre, evita di parlare di sé ma racconta della stima che ha per Dylan, per Donovan, e per "un giovane ragazzo genovese di cui ho voluto inserire un brano, «La ballata dell'eroe», nel mio film «La cuccagna»".
Quel giovane era, ovviamente, Fabrizio De Andrè. Il film fu la sua unica apparizione sul grande schermo.
Luigi dalle due anime, dunque: quella fiduciosa verso il prossimo, quella fredda e calcolatrice che accompagnava ogni suo gesto. "Per questo non ho mai voluto credere - conclude Valentino - alla versione del suicidio. Al di là dei tanti elementi sospetti di quella vicenda, su cui, per motivi misteriosi, è stato fatto cadere un velo, rimane la constatazione del fatto che non credo Luigi abbia potuto compiere un gesto così difforme dalla sua interpretazione della vita, anche in un momento difficile. C'è sempre stato un mistero dietro a quella morte, e valanghe di ostacoli mi hanno sempre impedito di capire che cosa avvenne davvero in quella notte. Tanto che oggi, a sessant'anni, dispero di saperne di più".

Marco Menduni 


Dal "Corriere Mercantile" del 27 gennaio 1997 - pagina 15

Anniversari - Il 27 gennaio 1967 Tenco moriva dopo la sua esclusione al Festival di Sanremo.

Questi 30 anni senza Luigi

Il fratello Valentino: "Non l'ho capito"

Trent'anni di rimpianto. Per una giovane vita spezzata, per un astro nascente della canzone d'autore spentasi troppo presto, per il vuoto che è rimasta nella musica italiana. Tre decenni sono passati dalla morte di Luigi Tenco, avvenuta il 27 gennaio 1967 a Sanremo dopo l'esclusione dal Festival. In questa occasione abbiamo chiesto un ricordo al fratello Valentino, tenace "custode" della memoria del cantautore genovese. Valentino Tenco è un signore che sa essere severo e gentile al tempo stesso. Vive a Ruta di Camogli, nella splendida casa dove ha vissuto insieme a Luigi "e che ho comprato grazie a lui". È sposato con Graziella e ha due figli, Patrizia e Giuseppe.

- Com'era Luigi da bambino?
"Era un bambino particolare, intelligente, vivace, allegro. A tre anni sapeva leggere e scrivere senza che nessuno gliel'avesse insegnato. Ha sempre avuto una memoria prodigiosa, imparava qualsiasi cosa, era un matematico nato. Alle elementari si dilettava con le equazioni differenziali, poi ha imparato a meraviglia latino e greco".

- Lei ha rappresentato per Luigi una figura paterna?
"No. Ma io avevo dieci anni più di Luigi, e quando c'è così tanta differenza il più grande cerca di proteggere il più piccolo. Anche quando una persona non avrebbe bisogno di protezione, quando in realtà non la si capisce".

- E lei non ha capito suo fratello?
"No, non l'ho capito per niente, quando era in vita".

- Forse perché Luigi aveva un carattere difficile?
"No, assolutamente, non era una persona difficile. Aveva un carattere allegro, si divertiva con poco, quando veniva da me amava pescare e giocare a carte. Era di un'intelligenza fuori dal comune, era molto più maturo della sua età. Ma nonostante tutto era un ragazzo molto modesto. Pensi, non rilasciava autografi. A chi glielo chiedeva rispondeva: "Chi sono io per farti un autografo? Piuttosto dammi il tuo".

- Lei ha ostacolato la passione di suo fratello per la musica?
"Questo no. Luigi da piccolino è stato mandato a studiare musica. Ma io e mia madre avremmo preferito che prima finisse gli studi, che avesse, come si diceva, un pezzo di carta in mano".

- Luigi ha dedicato a vostra madre "Vedrai vedrai". Che rapporto aveva con lei?
"Ah, quella canzone. Per anni se ne è parlato come di una canzone d'amore. Ma io sapevo che era per la mamma. Ogni volta che tornava a casa lei gli diceva: "Quando la fai finita con quel mondo di buffoni", perché questo per lei era la musica, e lui rispondeva: "Vedrai, vedrai". Luigi e la mamma avevano un bellissimo rapporto. Lei era una donna dolcissima, affettuosa, ci prendeva in braccio anche da grandi. A un certo punto lei si ammalò, questo influì molto anche su Luigi. Pensi, quando era militare chiese il permesso di accompagnare nostra madre in Svizzera, dove doveva essere operata. Il suo ufficiale glielo negò. Lui rimase sconvolto".

- Chi erano i veri amici di Luigi?
"Era amico di tutti, quanto gli altri fossero amici suoi è da vedersi".

- Qualche cantautore si è mai fatto vivo con lei in questi anni?
"Ho avuto solo contatti occasionali. L'unico che mi ha commosso è stato De Andrè. Anni fa ricevette un premio musicale, e volle consegnarlo a me, che ero in platea, in memoria di mio fratello. Luigi nel '62, quando interpretò il film di Luciano Salce "La cuccagna", aveva inserito nella colonna sonora "La ballata dell'eroe", firmata da Fabrizio che allora era ancora sconosciuto. Del resto, al funerale di Luigi, a Ricaldone, sa chi c'era di musicisti? De Andrè e Michele".

- Perché suo fratello si presentò al Festival?
"I motivi esatti non li so, li posso immaginare. Luigi era sempre stato molto critico verso il Festival, diceva che quello era un mondo di gente poco colta. Credo che Dalida abbia insistito molto per avere Luigi al suo fianco a Sanremo. E poi a mio fratello interessava molto parlare ai giovani attraverso le canzoni. "Ciao amore", che presentò a Sanremo, era una canzone sociale. Ricordo un particolare: prima del Festival io riuscii a convincerlo ad andare da un sarto affinché si facesse un bel vestito. Lui non teneva per niente a queste cose e disse: "Vado a cantare una canzone che rispecchia il mondo dei campi vestito così?"".

- Che cosa ricorda di più di tutto quello che è venuto dopo il suicidio di suo fratello?
"All'inizio non mi sono reso conto di niente. Non ho capito che non erano state fatte indagini. Prima mi hanno detto che per 48 ore non potevo toccare mio fratello, poi che potevo andare via subito, e io ho ringraziato! Solo dopo ho capito... chissà quali pressioni ci sono state per portare avanti il Festival, per concludere tutta la vicenda in fretta. Ho letto ora che il dottor Molinari, allora funzionario di polizia a Sanremo, avrebbe salvato il Festival del '59. Avrebbe fatto meglio a fare le indagini, per togliere ogni dubbio".

- Ci sono molti particolari oscuri.
"Sì. Sulla rivoltella non è stato fatto l'esame del guanto di paraffina per sapere se aveva sparato o no. La rivoltella mi è stata mandata per posta un mese dopo, in un bel pacchetto giallo con scritto "Suicidio". Era perfettamente pulita. Una cosa strana E quando ho visto la pistola ho capito come era arrivata a Sanremo".

- Come?
"La pistola era in una scatola dove c'erano alcuni nastri da registrare. Mia madre non lo sapeva e ha infilato questa scatola nella valigia che Luigi ha portato a Sanremo, per via dei nastri".

- Un terribile scherzo del destino.
"Sì. Quando ho scoperto la verità mi sono ben guardato dal dirlo a mia madre. Non l'ha mai saputo. Ma ora lei non c'è più. È morta 10 anni dopo Luigi".

- Lei crede al suicidio di suo fratello?
"Non lo escludo. Ognuno di noi può attraversare un momento particolare. Luigi era timido, per salire sul palco ha certo dovuto prendere dei calmanti. Credo inoltre che qualcuno l'abbia fatto bere e non c'è niente di peggio che mescolare alcool e calmanti. Ma Luigi era la persona più distante possibile dal suicidio. Io una idea ce l'ho, ma non gliela dico. Perché non la posso provare. Ma è veramente interessante per voi parlare sempre del suicidio? Io preferirei parlare di quello che ci ha lasciato Luigi, di lui come persona".

- Parliamone.
"Luigi era innanzitutto una persona onesta, limpida, che diceva sempre ciò che pensava. Aveva un talento musicale enorme, era coltissimo, ma non si vantava mai, le canzoni spesso le regalava, all'inizio della carriera usava degli pseudonimi. Sapeva guardare con distacco il mondo di cui faceva parte e anche se stesso. Era sempre in anticipo sui tempi. Era antimilitarista, antirazzista, e cantava questi temi quando nessuno in Italia lo faceva, in brani come "Cara maestra" o "Il disertore", ispirata a Vian. Le sue canzoni le ascoltano i giovanissimi. Sa cosa mi colpisce? Fra le persone che mi scrivono, e sono molte, ci sono tanti ragazzi di quindici, sedici anni. Dimostrano di avere capito l'essenza della personalità di Luigi attraverso le sue canzoni".

Anna Parodi





INTERVISTA DI VALENTINO TENCO
Da "L'Unità" - 22 gennaio 1997

L'intervista - Valentino, il fratello, rilancia la polemica sulle indagini
"Suicidio? Ho ancora troppi dubbi"

Dal nostro inviato

Recco - La Mini minor beige sta per essere demolita. Lo impone la legge. È l'ultimo oggetto palpabile di Luigi Tenco, qui in questa casa di Recco mezza moderna e mezza antica, con resti di torri liguri e ascensori. Dietro qualche finestra, chissà quale, si celano ancora i testi sconosciuti, le lettere, le fotografie, i pensieri, forse i sospiri del cantautore morto il 27 gennaio 1967. La sua ultima casa, i suoi tanti perché, il suo disagio eterno: Valentino Tenco, il fratello più anziano, l'unico fratello, il baluardo della sua memoria e della sua integrità intellettuale non ha mai smesso, nonostante il peso dell'età e dei malanni, di battersi per cercare la verità su quella notte lontana e vicina nel tempo, verrebbe da dire.
- A distanza di trent'anni la morte di suo fratello Luigi è per lei ancora un rovello? Sostiene ancora la tesi del non suicidio?
"Dei dubbi ci sono sempre, l'insieme di cose non mi ha mai convinto, anche se qualcosa si è chiarito. La mia idea me la sono fatta, però me la tengo, in quanto non sono abituato a dire ciò che non riesco a provare. Certo, posso affermare che se il commissario Molinari, invece di mettersi a salvare il Festival - come ha recentemente dichiarato - avesse fatto il suo dovere e non avesse fatto confusione, certi interrogativi sarebbero stati chiariti definitivamente.- E, allora, quali sono i dubbi e gli interrogativi che ancora gravano sulla morte di Luigi Tenco?
"Sono tanti. Li elenco sommariamente. Impronte niente, fotografie niente, autopsia niente. Non sono state neppure rispettate le disposizioni di legge: il cadavere è stato subito rimosso dalla stanza 219 dell'Hotel Savoy di Sanremo, inviato verso l'obitorio e quindi sbrigativamente in albergo. Me lo hanno dato poche ore dopo, ho pensato ad un favore, non era così, era il sistema per salvare il carrozzone del Festival che infatti è andato avanti come se nulla fosse. Il medico non aveva neppure riscontrato il foro d'uscita della pallottola, non parliamo del foro d'entrata che era in una posizione del tutto anomala. Io non posso dire che Luigi non si sia ucciso, facendo leva sul fatto che il suicidio provoca un particolare disturbo, tutti possiamo arrivare a compiere un gesto simile, sia esso considerato di viltà o di coraggio oppure semplice incoscienza. Ma alla luce dei fatti se sulla tomba di mio fratello scrivessi "assassinato", voglio vedere chi mi prova il contrario. Alla verità non è arrivato nessuno, neanch'io".
- Il mistero, inoltre, si è infittito col tempo invece di diradarsi...
"Sì, è proprio così. Sono andato a cercare il portiere d'albergo del Savoy e non sono riuscito mai a parlargli. Inoltre quella notte nessuno udì un colpo di pistola, bensì delle gridaHanno persino detto che Luigi ha sparato due colpi, ma del primo non è mai stata trovata traccia. In quella camera c'era solo un bossolo di pallottolaIl caricatore poi era sul comodino. Non parliamo poi della pistola: non ha mai viaggiato sulla sua macchina che gli era stata portata da Roma, è stata mia madre erroneamente a metterla dentro una scatola e quindi nella valigia di Luigi. [Valentino dunque non crede per nulla alla versione di Dossena, secondo cui la PpK8 fosse nel cruscotto della Giulietta, ma l'arma che ha ricevuto tra i reperti era suicuramente la PpK8, N. d. R.] L'arma, poi, mi è stata restituita per posta pochi anni fa, completamente pulita. Chi l'ha pulita? Un poliziotto? Infine, del caso Tenco non esistono neppure gli atti. Il biglietto di addio scritto da Luigi lo conservo io".
- Un biglietto controverso che alimenta i suoi dubbi...
"Guardi, l'ho fatta periziare un'altra volta di recente. L'ha scritta davvero Luigi. Però quello che traspare è la disillusione di mio fratello rispetto al Festival e alla commissione di selezione, come del resto aveva evidenziato in un'intervista il giorno precedente la morte dicendo che non si trattava di una gara canora, bensì di una buffonata".
- Si è discusso molto sull'interesse di Luigi Tenco di presentarsi a Sanremo, di sfidare un certo pubblico, di voler raggiungere la notorietà. Secondo lei, ci teneva così tanto alla canzone Ciao amore ciao? Un insuccesso di quelle proporzioni (38 voti su 900 giurati del festival) giustificherebbe il suo gesto?
"L'anno prima della sua scomparsa partecipò al Festival dell'estate con la canzone "Lontano lontano", che poi è diventata un successo internazionale, e venne eliminato. "Ma chi se ne frega", commentò. Insomma, non ha mai dato importanza a queste cose".
- Nel ventennale della morte di Luigi anche la sua ex compagna Dalida si è suicidata. Era il maggio dell'87: cos'ha provato in quel momento?
"È come se uno spettro mi avesse inseguito nel tempo. Questo per me è un altro dubbio. Non immaginavo che da quel giorno nel '67 lei covasse quel tarlo".
- È passato molto tempo da quella notte, sono passate stagioni e generazioni, eppure il mito di Luigi Tenco sopravvive e si rinnova. Non è sorpreso lei stesso?
"Luigi riceve ancora molte lettere, lettere di giovani che si imbattono per caso nelle sue canzoni, nei suoi testi, nel suo sguardo profondo, nella sua vita controversa e così drammaticamente spezzata all'età di 29 anni. Ed io mi stupisco, mi stupisco del fatto che questi giovani parlino di come se lo conoscessero, come se lo avessero conosciuto davvero, come se lui continuasse a vivere e a cantare per loro".

Marco Ferrari 


INTERVISTA A DALIDA
Da "Oggi", gennaio 1987

A vent'anni dal suicidio di Tenco, Dalida per la prima volta racconta ciò che accadde davvero a SanremoMi angoscia ancora quel dubbio: potevo salvarlo?
"Penso spesso che se avessi convinto Luigi a non rientrare in albergo", dice la cantante francese, "forse oggi sarebbe vivo. Ma poi mi dico che uno come lui non era destinato a subire altre umiliazioni dal tempo. Si presentò al Festival pieno di whisky e tranquillanti e Mike Bongiorno dovette buttarlo a forza sul palco. Neppure io riconobbi in quell'uomo spaventato il ragazzo col quale avevo finalmente trovato l'amore".
Parigi, gennaio

"Non so dirti come e quando, ma vedrai che cambierà". Per lei il mondo non è però mai cambiato. L'euforia di un domani diverso stava rovinandola ma ha finito per distruggere Tenco. Dalida sostiene infatti che se adesso Luigi tosse qui, sarebbe costretto ad accettare l'onta della realtà. Per questo il cantautore, annullato in fretta dai critici, morì suicida al Festival di Sanremo, edizione 1967, esattamente vent'anni fa. Per sottrarsi all'emarginazione del mondo musicale. Per non sconfessare i suoi sogni troppo grandi, i propri lamenti di speranza e di protesta. Né deve trarre in inganno il fatto che oggi, qui a Parigi, si respira lo stesso clima di contestazione di allora.
Questi "sessantottini dell'87" ripropongono ribellioni al sistema e insoddisfazioni esistenziali, argomenti preferiti dal geniale cantautore ligure. Curiosa coincidenza, non le pare? Dalida, capelli color fuoco, sorriso zingaresco, carica di fatalità come da innamorata di Tenco, ammonisce: "A quell'età si vive di improvvisazioni, di grandiosità e di gesti che sbalordiscono. Poi ciascuno riceve la propria legnata. Succede quando ci si accorge che, purtroppo, siamo noi a cambiare, oltraggiati dalle circostanze e dai ricatti della realtà".
Dalida parla di sé: "Ho imparato ad accettare il tempo che passa. A 53 anni so bene cos'è la vita. Eppure per la gente io ho tutto, o almeno così sembra leggendo i giornali di qua. 'La cantante è impegnata come protagonista del film II sesto giorno', scrivono. E giù un osanna di lodi. La verità è che non sono mai riuscita a difendermi dal successo. Sono invincibile nel lavoro, ma il mio privato è un fallimento. Sono una donna sola. Cercare un compagno? Che senso ha?".
Un po' a disagio, Dalida vince il naturale pudore e rivela: "Nessuna storia d'amore è paragonabile a quella che ho vissuto io con Luigi Tenco. È il compagno del quale mi sento vedova. Dio mi perdoni se non ho avuto il tempo di capirlo, di proteggerlo fino in fondo. Lui era il mio istinto, la mia vocazione musicale. Mi sentivo presa dal quel 'rivoluzionario' che nel '64 aveva abbandonato il Partito comunista perché, diceva, 'i rossi si son tutti sbiaditi'. O che aveva interrotto gli studi d'ingegneria perché sosteneva: 'Io non costruirò mai ponti e case solo per far accumulare quattrini ai potenti. Meglio che nelle case arrivino le mie canzoni'. Come tutte le persone romantiche che rifiutano di crescere, lui era il mio uomo ideale. Come non rimanerne soggiogata psicologicamente? Era un fiume in piena del quale io pretendevo invece di arginare l'impetuosità. Mi sono accorta troppo tardi che avrei dovuto aiutarlo".
Quasi un senso di colpa. E in questa villa di rue D'Orchampt, a Montmartre. Luigi Tenco è diventato il ritratto più familiare a Dalida. È la sua ultima fotografia. Con quell'aria improvvisamente indifesa mentre canta Ciao amore, ciao nelle luci della festa.
Dalida perde ogni resistenza e rivela le proprie pene uscendo da una lunga eclisse. Vent'anni non sono venti giorni. Ma ricordare non le costa fatica. Chissà quante volte ha ricomposto scenari di questa storia. Dice: "Con la fantasia invento i nostri incontri. Lo rivedo per aggiungere manciate di minuti, di giorni a quei ventott'anni finiti con una crocifissione. Piuttosto ribaldo, mi ripete versi da me già sentiti, quelli del poeta Rimbaud: 'Tutto quello che ci insegnano è sbagliato'. Che carattere! Allora io trovo pace, convincendomi che Luigi non poteva invecchiare a mediocre livello. Lui somiglia agli eroi, ai quali il destino toglie l'umiliazione della vita terrena e il disagio del progressivo declino fisico".
Ma cos'è che l'ha stregata in questo modo di Tenco? "Indubbiamente il carattere", risponde. "Era divertente con chi conosceva e scorbutico con quanti gli risultavano estranei. Con me, anche nell'intimità, là dove le persone si tolgono la maschera lui, accidenti, alla confidenza preferiva insopportabili silenzi. Era bello e sempre corrucciato proprio come i versi delle sue canzoni. Mi appassionò il fatto di scoprirlo continuamente imprevedibile. Cambiava umore, ribaltava sensazioni al punto di rimettere continuamente in discussione tutto quanto credevo di aver capito di lui. Quegli improvvisi tuffi al cuore mi permettevano di trovare una perfetta fusione. Immutabile restava soltanto la sua onestà. Perfino esageratamente onesto. E rigido di principi. L'abbiamo perso anche per questo. Luigi ha pagato più del dovuto le proprie innegabili virtù".
Il racconto va lontano, fino al primo incontro dei due protagonisti di questa drammatica storia d'amore. "Mi trovo negli studi di registrazione di una casa discografica", racconta Dalida. "È un pomeriggio di un giorno d'agosto del 1966 e a Roma c'è un caldo intollerabile. Sono lì per incidere 'Pensiamoci ogni sera', un accattivante motivo di Morricone. Appena posso, però, scappo al bar, dove capita l'occasione che mi presentino Luigi. Lo vedo e resto come colpita da un lampo paralizzante. Dico sì a tutto quanto mi propone, senza riflettere. Dietro la mia immagine della cantante di successo c'è in realtà una ragazza desiderosa di una relazione equilibrata. Ma la stretta di mano di Luigi equivale a una scossa elettrica. Divampa subito la passione. Entro in quel fiume di emozioni alla stregua di un ruscello che non può sfociare altrove. Sono irresistibilmente attratta da lui. Insieme facciamo passeggiate romantiche mano nella mano. Andiamo al cinema o in qualche pizzeria oppure tiriamo tardi in casa di Miranda Martino il cui uomo è Lavagetto, ligure come Tenco. E proprio lì io e la Martino esortiamo Luigi a essere un artista meno intransigente. 'Bisogna sempre scendere un po' a compromessi nell'ambiente in cui si lavora e dove si vuole trovare fortuna', gli ripetiamo. Ma a queste parole, di colpo svanisce la sua allegria. 'Ah, io dovrei cercare nuovi rapporti con la società? Ma neanche per sogno! Mica sono una donna di spettacolo come voi'".
Dalida all'epoca ha già avuto tanta fortuna. È ricca, è in ascesa, firma grossi contratti. Con la fascia di miss Egitto era volata dieci anni prima sul fantasmagorico set di Parigi. L'aveva convinta il regista Marc Di Gastine: "Sarebbe un peccato imperdonabile se una donna così bella e di talento come te continuasse a rimanere al Cairo, vietandosi soddisfazioni artistiche che non mancheranno di arrivare". Aveva visto bene il suo Pigmalione.
La sua fama cresce anche all'estero. Questa vedette, nata in Egitto ma di origini calabre, diventerà un'artista di rango anche in Italia. Infatti, nei giorni del coup de foudre con Tenco, due canzoni da lei interpretate, Marina e Bang Bang, occupano i primi posti della nostra hit parade. Ma al top arriva ballando e cantando il sirtaki in Zorba il greco.
Brava? Altro che. Ed è bella come una Madonna. Inoltre ha uno stile e una sensualità ambigua e misteriosa che sa sprigionare ad arte quand'è in scena. Agli italiani basta vederla per sentire i brividi. Gli stessi brividi che prova Tenco appena la conosce. Finora lui l'amore se l'è inventato per non morire di noia. "Ma che ci fa con una signora tanto raffinata?", insinuano i conformisti. E sono tanti. Tenco lo sa bene e tiene all'oscuro della sua storia amici e parenti.
E Dalida? "Luigi, se tu mi vuoi bene, è quanto mi basta". Da donna coraggiosa e incosciente è disposta per lui a giocarsi anche il successo. Tutti e due non pensano mai che la sorte è in agguato. L'enigma del loro disperato futuro si chiama Sanremo. Ma perché Luigi Tenco s'è lasciato coinvolgere? Per tentare di sbarazzarsi delle proprie inquietudini, hanno scritto. C'è chi incolpa Dalida per aver subordinato la propria presenza festivaliera a quella dell'innamorato.
In verità, com'è andata? Dalida, ormai libera da ogni suggestione, azzera troppe ricostruzioni fin qui fatte e racconta con amarezza il grande sogno irrealizzato: "In quell'estate romana del '66 la preoccupazione di noi due è soltanto quella di alimentare con sorprese e con tante tenerezze la nostra 'luna di miele'. Certo, gli ho confessato il mio desiderio di poter cantare qualche suo motivo. A ottobre o novembre, viene ospite a casa mia, a Parigi, assieme a Paolo Dossena. Mi dice: 'Eh, Yolanda, ho scritto una canzone. Dovrebbe andare a Sanremo. Ascoltala bene e di' ciò che pensi. La sua voce incerta rende struggente il testo di Ciao amore, ciao. 'Senza dubbio è valida', rispondo. E aggiungo: 'C'è una storia, c'è un messaggio. Vedrai che andrà bene'. Non è vero che ha avuto vari rifacimenti. Luigi l'ha limata, perfezionata come si fa con un romanzo. Ha cercato toni sempre più appropriati a quel rimpianto per la civiltà rurale, a un mondo ormai andato".
Finalmente Tenco si sente diverso, lusingato dall'idea del riconoscimento popolare. Per lui, questa volta, davvero il mondo cambierà. Per questo è soddisfatto della conoscenza con Yolanda Gigliotti, in arte Dalida. Con lei, baci e momenti di estasi. La cantante ricorda: "Mi sento completamente alla deriva, in balia di un sognatore imprendibile. Mi regala il ricordo più bello: una notte non bada a percorrere 600 chilometri in macchina per veder spuntare l'alba assieme a me. Il nostro rapporto è incatenante. Chi ci conosce bene dice che sembriamo gli unici amanti su questa terra. Maledette fantasticherie! Questa vita non va mai presa troppo sul serio, è un grottesco girotondo".
Adesso la confessione di Dalida sposta le immagini su Sanremo. Passa al vaglio gli incubi di quell'agghiacciante 27 gennaio 1967, allorché si sente come una "debuttante" presa per mano da quel cantautore che, a suo dire, sarebbe diventato bravo e popolare come Leo Ferrè. Nelle previsioni della vigilia, la coppia Dalida-Tenco è considerata da molti critici la possibile sorprendente novità del Festival. Lei è benvoluta dalla gente, lui gode la stima dei giovani desiderosi di temi nuovi. Né ci sono malevoli avvertimenti ad incupire gli interpreti di Ciao amore, ciao. È un testo che si segnala da solo, in mezzo a canzonette tipo Io, tu e le rose Bisogna saper perdere. Lui e lei sempre vicini. Luigi, quand'è con Dalida, riesce a estraniarsi. Non dà nemmeno retta a chi gli gira intorno per punzecchiarlo. Già, perché la loro relazione viene scambiata per una trovata pubblicitaria.
Il revival è amaro. La voce di Dalida fatica a venire fuori: "Colazione all'albergo Savoy. Luigi scherza, è allegro. Si sente sollevato. Dice d'aver già messo bene radici in un ambiente tanto infido. Immagina la condiscendenza del pubblico, le reazioni colorate dei critici. La canzone è un valido pretesto per raccontare la sua storia. Dentro c'è tutto il suo entusiasmo, la sua giovinezza. Aveva passato giorni e giorni isolato in una torre a cercare accordi giusti e atmosfere toccanti. Naturale che sia galvanizzato per ben figurare. Io, del resto, non ho nessuna paura. Queste le nostre confidenze. Poi lui mi prende per un polso e dice: 'Vai a riposare. Devi sentirti in forma, quel palcoscenico è capace di tutto'. Alle 19 mi telefona in camera: 'M'è presa una strana ansia. A quella roulette andiamoci insieme. Aspettami nella hall". In macchina mi dice che gli si è chiuso lo stomaco. 'Prendi una camomilla', lo scongiuro. Invece, a mia insaputa, per domare un'ansia che non si placa, consuma una quantità di tranquillanti, esagera col whisky. Comincia a sfuggirmi: il mutismo, lo sguardo assente me lo portano lontano. È accaduto qualche altra volta. Gli chiedo: 'Perché non parli?', e lui si giustifica: 'È come fuggissi non so dove, per allontanare i traumi della mia infanzia'. Non una parola di più. L'unico mio rimorso è che in quei momenti avrei potuto fare di più, magari sollecitarlo pazientemente a scacciare quegli incubi, a dimenticare quelle vicende che l'avevano segnato in passato. Purtroppo c'è poco tempo. Ecco, lo chiamano: 'Dov'è Tenco?' Dovrebbe già essere in palcoscenico. Nessuno l'ha visto. Lo cercano. Lo trovano addormentato su una panca. Mike Bongiorno deve spingerlo in scena. Dio mio. quello che canta Ciao amore, ciao non è Luigi, è un altro, è il suo manichino.
C'è chi ha parlato del terrore del pubblico, per uno come lui non corazzato per esibirsi davanti a platee gremite. Io dico che non è vero. Sapeste che Tenco, simpatico e sbarazzino chansonnier, ho avuto modo di applaudire al microfono della Casina delle Rose, a Roma, nel primo e ultimo Capodanno festeggiato insieme. Dopo il recital aveva a lungo parlato con me. A Sanremo no. Era come rinserrato nel coma. Pazienza, fossero tutte qui le amarezze di una coppia che si vuol bene.
Aspettiamo il responso delle giurie. Uno accanto all'altra, ma in realtà distanti. Neppure 40 voti su 900. 'Una débàcle', fa lui. E io: 'Nella vita un giorno si vince e un altro si perde'. C'è il ripescaggio di una canzone, affidato alla giuria dei giornalisti. Lo aiuto a sperare: 'Vedrai che andrà meglio'. E invece va male e per Luigi è un colpo terribile. Cerca una scusa per andarsene. Vuole isolarsi. 'No, andiamo al ristorante', insisto io. Non so più come distrarlo.
Una volta in macchina, guida da sconsiderato la sua Giulia. Rischiamo più volte l'incidente. Non lo riprendo, non gli dico niente, non è il caso. 'Parla', chiedo. Non una parola di risposta. Poco dopo essere entrati al Nostromo, ecco il fulmineo voltafaccia. Luigi bisbiglia: 'Rientro in albergo a riposare. Sono stanco'. Dovrei avere più autorità e impedirgli di andar via. Però riesce a prendermi in contropiede. Qualche attimo dopo ho un presentimento infernale, pur non sapendo che Luigi ha con sé la pistola. Un grumo d'angoscia m'attanaglia. Subito m'aggrappo al telefono, cerco un taxi, corro al Savoy. Macché: Luigi è sulla strada del ritorno ed è irraggiungibile. 'Fai presto', mi dico.
"Al bureau chiedo se Tenco è in camera. Non so che sto precipitando nel mio fallimento. Poi, in un attimo, intuisco quello che potrebbe essere accaduto. Quello che dovevo impedire che accadesse. Sono arrivata con dieci minuti di ritardo. Dieci minuti che hanno sconvolto la mia vita. Dapprima vedo i suoi piedi spuntare da dietro il letto e allora penso che sia caduto, colto da malore. Poi il sangue, quell'esplosione di orrore. Quale il movente? Non solo la delusione per non essere riuscito a far capire il mondo dei giovani, senz'altro qualcosa gli si è spezzato dentro.
A lungo ripeto: 'Non può essere vero'. Adesso sono io che debbo sottrarmi all'ingorgo di incubi paurosi. Non so andare avanti. Una settimana dopo mi rifugio a Recco, dalla mamma di Luigi. Sento il dovere di farle visita. Ma chi può consolarla? Nessuno. Restiamo a guardarci e a piangere. Capisco che devo andarmene in fretta dall'Italia. Ma non serve a niente. Staccata da lui, non ho più identità. Ha ragione Victor Hugo a dire: 'Quando si perde la persona amata, il mondo si spopola'. E allora, esattamente un mese dopo, un mese che è un'eternità, penso di farla finita anch'io. Ingoio 75 pastiglie di un tranquillante. Per esser certa di riuscirci, scelgo una stanza d'albergo dopo avere preparato tutto con scrupolo: il testamento dal notaio e una lettera per mia madre. Ventiquattr'ore dopo una cameriera si insospettisce. Da sotto la porta filtra una lama di luce. Dà l'allarme. Mi trasferiscono all'ospedale. La prognosi è di cinque giorni. Evidentemente è scritto che io debba sopravvivere per trovare rimedio alle contrarietà".
Parla di quella Dalida quasi non esistesse più. Adesso ha iniziato un'altra vita aiutandosi con i libri e le preghiere. Di tanto in tanto va in crisi, ma non sono più momenti di rabbia o di disperazione come ai tempi in cui imprecava alla propria solitudine. Quando vuole incontrare Tenco o spera di sognarlo o si mette a rileggere certe poesie di Luigi, con la curiosità di quando era la sua innamorata. È stata mamma Tenco a consegnargliele. "Abbi cura di questi fogli. Sono l'incondizionato affetto di mio figlio per te che sei riuscita a capirlo", le ha detto.
Quelle parole Dalida le considera un merito. Dopo vent'anni poco o niente è mutato. Eppure la gente, durante i recital, le chiede sempre "Vedrai vedrai". Il mondo può girare come vuole, ma il Tenco corrucciato e malinconico rivive quando Dalida lo canta.

Gianni Melli 


INTERVISTA A DALIDA
Da "La Repubblica", gennaio 1987

Un colpo di pistola nella stanza 219 del Savoy di SanremoLuigi Tenco morì per una canzone?
Quella notte di vent'anni fa

"Non posso dimenticare quel momento, quella notte, quell'immagine di tragedia. Non ho trovato allora le parole giuste per dire quello che ho provato e non riesco a trovarle oggi, anche se sono passati quasi vent'anni. Cerco di soffocare quel ricordo insopportabile con tante memorie belle e care che l'Italia mi ha regalato". Dalida, che abbiamo incontrato pochi mesi fa al Festival del cinema di Montreal, dove era presente come protagonista di Il sesto giorno, il film-mélo del regista egiziano Youssef Shahin, accettò di discutere l'argomento della morte di Luigi Tenco, al quale il suo nome era legato professionalmente e sentimentalmente (secondo i giornali dell'epoca). "Non so, non posso, non voglio dire come e perché Luigi è morto. So solo che quella notte ho perduto un ragazzo a cui volevo bene, un amico onesto e pulito, un artista nel quale credevo".
"Quella notte" è rimasta nella memoria di tanti, un ricordo che suscita ancora angoscia, rabbia, incredulità. Forse perché non avevamo ancora esperienza di tante "morti in diretta", gesti privati o massacri di guerra, diventati in questi ultimi anni agghiacciante spettacolo televisivo, quell'annuncio alla radio del 27 gennaio 1967 - "alle 2,30 di questa mattina Luigi Tenco si è sparato un colpo di pistola…" - colpì profondamente la sensibilità di molti che l'ascoltarono.
Soprattutto di quanti avevano visto Luigi Tenco sul teleschermo, poche ore prima, cantare con il suo atteggiamento schivo Ciao amore ciao, comunque partecipe di quella che era una festa della canzone, tra i fiori del palcoscenico e gli inviti all'allegria di Mike Bongiorno. E nessuno, da casa propria, dubitava che quella fosse una festa.
L'opinione pubblica, almeno quella espressa sui giornali, si divise. Il Festival deve essere sospeso, il Festival deve continuare. Prevalsero le ragioni commerciali e, la sera del 27, Sanremo riapparve sul teleschermo, con tutti i suoi fiori e tutte le sue canzoni. Come ha ricordato Gianni Borgna in un suo articolo su "L'Unità", gli unici a protestare furono Claudio Villa e Caterina Caselli. E, poco dopo, ai funerali a Ricaldone, i colleghi di Luigi Tenco non c'erano. C'erano solo pochi amici.
Ma non è solo per soffocare incredulità, rabbia e angoscia che, allora come oggi, pensando alla morte di Luigi Tenco viene la voglia di conoscere una verità mai conosciuta. A sostenere la tesi del suicidio c'è quel famoso biglietto trovato accanto al corpo steso sul pavimento della stanza 219 dell'Hotel Savoy: "Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro il pubblico che manda "Io, tu e le rose" in finale e una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao, Luigi".
Ma gli elementi del "mistero" restano tali e sono soprattutto nella fretta con cui il "caso" fu liquidato, nel comportamento contraddittorio di chi avrebbe dovuto cercare dettagli, chiarire circostanze. E c'è quel brutto dettaglio di un corpo che fu trasportato in ritardo all'obitorio per lasciarlo a beneficio dei fotografi. E le impronte digitali mai prese sulla pistola. La circostanza mai appurata dei colpi sparati: due, si disse, ma nella stanza fu trovato un solo bossolo della 7,65. L'impossibilità, per i parenti, in particolare per il fratello Valentino, di parlare con il portiere del Savoy, di cercare un'indicazione in più per il comportamento del cantante nelle sue ultime ore di vita.
La dichiarazione degli esperti che considerano quel biglietto autografo solo al 50 per cento. Resta una totale mancanza di atti giudiziari, per cui, come ha detto Valentino Tenco, "se sulla tomba di Luigi anziché scriverci la data di morte, ci scrivessi "assassinato", voglio vedere chi mi prova il contrario"
(m.p.f.) 

Corriere della Sera - 16 febbraio 2006

La conferma dall' autopsia: Tenco suicida

Scomparso il proiettile mortale. I parenti: ma non lo potevano lasciare in pace?
DAL NOSTRO INVIATO RICALDONE (Alessandria) - Dormono, dormono sulla collina, di nuovo e ora per sempre, i resti mortali di Luigi Tenco. Ieri sera, 39 anni e 19 giorni dopo la sua tragica fine nella stanza 219 dell' hotel Savoy di Sanremo, l' indimenticabile cantautore ha trovato pace nel piccolo cimitero fra le vigne del suo paese, 650 anime perse fra le sterminate colline dell' Alto Monferrato. L' inchiesta sulla sua fine e sui presunti misteri che l' avvolgevano si è conclusa: Tenco, il 27 gennaio 1967, si uccise con un colpo di pistola alla testa. «Un suicidio quasi da manuale», ha riferito Vincenza Liviero, medico capo della Polizia, membro dello speciale team dell' Ert (esperti ricerca tracce) incaricato delle nuove indagini. Lo ha detto al termine dell' autopsia eseguita nell' ospedale di Acqui Terme. Un atto dovuto, perché voluto dalla legge, ma «vissuto dal paese come un oltraggio di cui non si sentiva la necessità - commenta Giorgio Carozzi, che si definisce amico, parente e compagno di Luigi negli indimenticabili anni giovanili - Quando lui, nato da queste parti, e trasferitosi nel 1948 a Genova con la mamma, tornava d' estate a trovare i nonni. Perché se Luigi ha scritto dire addio al cortile, andarsene sognando , non ha mai dimenticato la sua terra». Dove la gente continua a lavorare i campi come allora, e, come allora, «senza problemi per il vestire e con la barba sempre da fare». Dove si snoda «la solita strada» su cui si affaccia la casa bianca della famiglia Tenco, ora sventrata perché messa in vendita e sottoposta a lavori di ristrutturazione. Di fronte vive una cugina ottantenne, Caterina Grena, che non nasconde il suo dolore: «Povero Luigi, non potevano lasciarlo in pace?». «Ma - spiega il procuratore di Sanremo, Mariano Gagliano - troppi dubbi erano stati sollevati, troppe voci messe in giro. Anche perché le indagini all' epoca erano state condotte frettolosamente e con leggerezza». L' elenco delle manchevolezze dell' inchiesta affidata da Arrigo Molinari (il discusso commissario assassinato ad Andora in settembre) è strabiliante: niente autopsia; niente perizia sul biglietto d' addio; il cadavere rimosso e rimesso per uso dei fotografi; il rapporto degli inquirenti che parlava solo di un foro sulla tempia del cantante, incertezza sull' arma usata (la PPK 7,65 comprata da Tenco l' anno prima o una mai vista calibro 22?); repertati e poi scomparsi; la pistola PPK restituita per posta alla famiglia Tenco... Per far chiarezza, ecco la nuova inchiesta. Ecco che ieri mattina dalla tomba di famiglia viene esumata la salma di Luigi, come tutti lo chiamano, alla presenza della zia Graziella (moglie del fratello Valentino, scomparso 7 anni) delle nipoti Patrizia e Giuseppe, che vivono in Liguria. «Il corpo era in ottimo stato di conservazione - si stupisce il perito della famiglia, Renzo Celesti (lo stesso medico legale che identificò il corpo di Fabrizio Quattrocchi ucciso in Iraq) - quindi invece di limitarci a una radiografia del cranio, come ipotizzavamo, è stato possibile compiere un' autopsia completa». «E i risultati hanno spazzato via ogni dubbio - commenta amaro l' avvocato di famiglia, Silvio Romanelli - è stato scoperto il foro di entrata, sulla tempia destra, quello, più largo, di uscita sul lato parietale sinistro, con il cranio frantumato» [Corsivi del sottoscritto, N.d.R.]. Specifica la dottoressa Liviero: «L' arma usata è compatibile con i due fori». Non si trova però il proiettile, anzi il «bossolo e il proietto» repertati 39 anni fa. L' hanno cercato ieri in Tribunale. Non hanno trovato neppure le chiavi per entrare nell' ufficio corpi di reato... Terminata l' autopsia i necrofori del paesello, che hanno lavorato gratis per amore e rispetto di Luigi, hanno rimesso il loro illustre compaesano nella stessa bara e l' hanno riportata in alto: sulla collina, «nella sua verde isola», tra i vigneti, dove Luigi «d' estate si fermava a guardare il chiarore abbagliante della luce del sole che rendeva bianca come il sale la solita strada».

Costantino Muscau - I PUNTI OSCURI, I PUNTI CHIARITI, IL SUICIDIO - E' accertato che Luigi Tenco si suicidò. I medici legali hanno trovato il foro di entrata del proiettile sulla tempia destra e quello di uscita sul lato sinistro del cranio. Il primo esame rivelò solo l' esistenza di un foro, senza chiarire se di entrata o uscita. LA PISTOLA - Tenco si sparò con una Walter PKK 7,65 compatibile con le ferite e non con una fantomatica calibro 22. IL BOSSOLO - Stando al rapporto di 39 anni fa nella stanza dell' hotel Savoy, dove si uccise Tenco, furono trovati bossolo e ogiva. Ma ora non si sa dove siano conservati ed è anche stata persa la chiave dell' ufficio corpi di reato. LA CALLIGRAFIA - Fu ritrovato un biglietto d'addio lasciato da Luigi Tenco che giustificò il suicidio come atto di protesta. Ma solo ora è stata disposta una perizia calligrafica per capire se l' autore fu davvero il cantante.

Muscau Costantino





Terza e conclusiva parte nella quale mi soffermo sulle circostanze della strana morte di Luigi Tenco e si tenterà una analisi personologica e ricostruzione della morte.
http://psicov.blogspot.it/2012/11/luigi-tencoappunti-per-una-analisi.html

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