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Sito dell'Associazione Italiana per lo Studio e Ricerca sui Comportamenti Violenti -CRCV- Italy. ---------- Violent Behavior and Prevention Research Center - VBRC -Au-- Lorenzi Alfredo, Neurobiol, Neurosc.Human Behavior Biosincr - Basil--Davis CA -- Karin Hofmann, Phd Aggressive Behavior--Au

Caso Tenco,appunti finali analisi personologica e morte, Corso Neurosc.Comport. Lorenzi,3a

(Trascrizione di Carla). Benvenuti alla diciamo puntata finale della nostra analisi di
un tormentone di fine anni sessanta, emblematico per la sua sciatteria e debunking, di quello che accadeva in quel periodo in Italia e nella decade successiva, conclusasi con il sequestro Moro, eseguito dalle BR con la logistica dei servizi segreti non solo italici. Comincio a introdurre subito gli elementi su cui ci soffermeremo per convergere poi le nostre conclusioni, ripeto, basate principalmente sulla analisi personologica del protagonista, oltre che sulle testimonianze, che sappiamo essere elementi di seconda mano, dal momento che sappiamo i limiti tremendi delle testimonianze, specie quando sono De Relato (ricorda cosa aveva detto il tale?).

Luigi subito dopo l'esclusione inveisce contro Vivarelli e poi mandò a fare in cu..o un' ammiratrice all'uscita del Casinò. Poi prese la spider e fece una corsa in auto per scaricarsi, probabilmente sul mare. Chiaro che Tenco non contava certo di vincere il Sanremo, che considerava una roba per gente asservita, inoltre gìà sapeva di essere stato bocciato prima di iniziare, e lo aveva detto a sua madre.

Ma a parte questo, devo ricordare che in sintonia con un personaggio il cui ego gira, sia pure in modo bizzarro, a mille, con quegli ideali in testa, convinto da Dalida a partecipare a  Sanremo, lo considerava una specie di abbassarsi a un livello di compromesso, solo una concessione, forse solo per vedere l'effetto che fa. Quindi, a mio parere, signore e signori, Tenco non era certo uno che si era illuso a tal punto di vincere (a parte le solite dichiarazioni guascone che fanno parte del suo personaggio), e che la conseguente disillusione lo ha ferito a tal punto nel suo intimo, da condurlo, assieme alle pasticche e all'alcol, a commettere un suicidio d'impeto, pur trovando il tempo per lasciare un ridicolo biglietto, la cui firma è del tutto improbabile (più una sigla che una firma, nonostante la perizia del 2006 che stabilisce l'autenticità del biglietto, continuo assieme ad altri, a ritenere almeno la firma, del tutto improbabile). 
Ci sono anche voci che nessuno ha confermato (dato che tutti i presunti amici di Tenco erano dentro al giro della discografia, che notoriamente metteva molti soldi dentro la macchina del Festival e ne determinava anche i risultati), che dicono che a Tenco era stata garantita la vittoria al Festival, che la sua canzone, il cui testo e titolo erano stati cambiati molto per renderli più sopportabili per un pubblico come quello televisivo, avrebbe vinto. 
Ma a mio avviso, non cambia molto la mia propensione a ritenere che il Tenco non abbia compiuto il suicidio per delusione ma d'impeto o per gioco, quindi tutto resta identico. Anche riguardo al proiettile che non si era trovato, sappiamo oggi, (lo sappiamo veramente? Fino a che non lo vedo non ci credo, che il proiettile assieme ad altri reperti di Tenco è stato acquistato ad una sorta di asta, da un noto (noto a chi?) proprietario di locali della zona. E pensare che credevo che i reperti si dovessero conservare, specie le armi e i proiettili...



L’arma ritrovata dalla polizia è la Ppk calibro 7.65 che apparteneva a Tenco. Viene trovato nella sua  camera d’albergo, la 219 dell’Hotel Savoy, nella notte tra il 26 e il 27 gennaio del 1967, dopo la sua esibizione con Dalida della sua bella canzone “ Ciao amore ciao”. È proprio la cantante a ritrovarlo senza vita, quando verso le 2 rientra in albergo, dopo essere stata a cena con amici discografici, al ristorante Nostromo. 
Tenco non partecipa alla cena: amareggiato per l’esito della gara e l’eliminazione, vuole rientrare in albergo. Prima della sua esibizione, aveva bevuto e preso tranquillanti e/o antidolorifici, in quei giorni era in cura dal dentista. 
Quando la polizia interviene in albergo, porta frettolosamente il cadavere all’obitorio e da qui lo trasporta nuovamente nella camera del Savoy, per permettere ai cronisti di fotografarlo. È stato ritrovato un biglietto con poche e, ormai note, righe di protesta per l’esito della gara, un biglietto che verrà considerato la prova di un addio alla vita.
Il mistero. Contraddizioni e lati oscuri sono molti. Un giornalista esperto d’armi, tra i primi ad entrare nella camera della tragedia, è sicuro di aver visto una Beretta 22 e non la Ppk 7.65 del cantautore. Lo sparo in albergo non è stato sentito da nessuno, neanche dai vicini di camera. Dalida e Dossena, i primi a trovare il cadavere di Tenco, a primo impatto pensano a un malore, un incidente, non vedono quindi la pistola che – per forza di cose – doveva trovarsi vicino al cadavere. Il fratello Valentino, accorso subito dopo la tragedia, cerca invano l’addetto di turno alla reception per chiedere spiegazioni e ricostruire gli ultimi momenti di vita del fratello. 
Valentino Tenco è stato il primo a non credere al suicidio. L’arma del fratello, che gli viene riconsegnata dalla polizia, è perfettamente pulita, come se non avesse mai sparato. Il noto biglietto d’addio viene ritrovato in camera da Dalida, che lo tiene con sè fino all’arrivo della polizia, mentre al Savoy regnava già una gran confusione. Piero Vivarelli, amico di Tenco, (più di Dalida che di Tenco, nota mia per capire chi era il Vivarelli, fi metto alcune note

Tra i suoi film più noti Rita, la figlia americana con Totò, Rita Pavone e i Rokes, l'avventuroso Mister X (1967), Il dio serpente con Nadia Cassini (1970) e Il Decamerone nero. Il suo film più recente è stato la commedia La rumbera (1998), storia di una danzatrice cubana.
Nel 1960 ha ideato il programma radiofonico La coppa del Jazz.
Noto anche per l'attività di paroliere (suoi sono i testi delle canzoni 24.000 baci e Il tuo bacio è come un rock cantate da Adriano Celentano)[1], per 5 anni ha presieduto la commissione selezionatrice delle canzoni del Festival di Sanremo. Ha scritto anche brani per Mina (Vorrei sapere perché), Little Tony (Che tipo rock), Peppino Di Capri (Non siamo più insieme e Domani è un altro giorno).
Aderì alla Repubblica di Salò[1] come volontario della Xª Flottiglia MAS, militando per breve tempo nel movimento giovanile del Movimento Sociale Italiano, ma dal 1949 al 1990 fu un militante del PCI.
Fu l'unico italiano a ricevere da Fidel Castro la tessera del Partito Comunista Cubano.
Era fratello dello storico Roberto Vivarelli e marito (in seconde nozze) dell'attrice Beryl Cunningham


...raccontò che si trattava di un biglietto privato per lui e altri amici e, all’arrivo della polizia, visto l’accaduto, hanno ritenuto opportuno consegnarlo. Sembra certo che Lucien Morisse, ex marito di Dalida, quella sera fosse a Sanremo. 
(Nota mia: non sembra certo, è certo, al punto che è proprio Morisse, che fa salire Dalida in fretta e furia alle 6 del mattino sull'auto e la porta fuori a Ventimiglia e da lì, in Francia, dove poi imbarcherà sul charter per Parigi. D'altra parte, Morisse, vero creatore di Dalida durante il suo primo periodo di successo, divorziato dal 1961, era rimasto per molto al suo fianco come suo discografico, prima che le consegne passassero anche se non del tutto, al fratello, Gigliotti, suo vero protettore, come un padre. In ogni caso, Dalida aveva conservato per molto, come sua abitudine, relazioni invischiate, in cui vecchie e nuove infatuazioni restavano vicino a lei, incapace di liberarsi di un passato per spingersi verso un nuovo orizzonte sentimentale, almeno fino a una sua definitiva decisione).



Il commissario Arrigo Molinari, che all’epoca guidò le indagini dichiarò in seguito che “sulla morte di Tenco e su tutto quello che è accaduto nelle ore successive alla scoperta del suo cadavere, non è stata ancora scritta tutta la verità”.
Ospite a Domenica In nel 2004, Molinari parla dell’ipotesi che dietro quella tragedia ci sarebbe stato un giro di scommesse clandestine legato al Festival. Racconta che c’erano due obitori, uno per le morti naturali, l’altro per ospitare le vittime truffate al gioco, suicide. Secondo Molinari anche re Farouk d’Egitto scommise e perse un miliardo di lire. Dice anche che, dopo la morte di Tenco, Ugo Zatterin, allora presidente della Commissione selezionatrice di quel Festival, avrebbe insistito perché il Festival proseguisse.
Queste pressioni, ha spiegato Molinari, “mi costrinsero a riportare il cadavere di Tenco dall’obitorio all’hotel, per mostrarlo a tutti e far capire che il Festival non poteva proseguire”. Arrigo Molinari, comunque, non ha potuto contribuire alla ricostruzione della vicenda, finalmente riaperta. Quando le indagini si riaprirono nel 2005, Molinari era morto, assassinato mesi prima da un ladro, nella sua abitazione.
Aldo Fegatelli Colonna, autore di tre biografie su Tenco, amico del fratello Valentino, frequentò casa Tenco fino al 1997: ha conosciuto la donna misteriosa di Tenco, Valeria (le lettere di Tenco alla sua donna segreta furono pubblicate nel 1992 dal Secolo XIX) e da queste rivelazioni con vari particolari, appuntamenti e progetti di vita, tutto si può desumere, tranne che nelle intenzioni di Tenco ci fosse il suicidio.
Da molti anni il gruppo “Luigi Tenco 60’s -la verde isola- “, con il suo sito internet e tramite Facebook, sostiene “Le 5 prove dell’omicidio di Luigi Tenco, ridiamogli una dignità”. Una battaglia, supportata da documenti, foto, ricostruzioni e analisi dettagliate, alla quale partecipano in migliaia, su internet, chiedendo la riapertura delle indagini. Nel 2009 il dottor Sante Pisani, segretario politico del Pda ed il dottor Domenico Scampeddu, responsabile nazionale del dipartimento delle politiche abitative dell’Udeur, hanno inviato due esposti al Consiglio superiore della magistratura, all’onorevole Alfano, al Consiglio dei ministri e al cancelliere della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con le prove. 
L’esposto in versione integrale è disponibile alla pubblica lettura.
I
n sintesi le cinque prove sostenute dal gruppo “la verde isola” sono: 

1) il guanto di paraffina sulla mano di Tenco non dimostra che abbia sparato. Per la positività del test devono risultare almeno 2 di 3 elementi chimici e la mano di Tenco ne riporta solo uno, che qualsiasi fumatore riporterebbe. La pistola di Tenco riconsegnata al fratello era pulita e oleata; 
2) nelle foto scattate all’epoca, sotto i glutei di Tenco, non c’e’ la sua Ppk 7.65, ma una Beretta calibro 22; 
3) foto a lungo inedite mostrano ferite lacero-contuse sul volto di Tenco, come se fosse stato picchiato, non riportate sul referto ufficiale della polizia; 
4) la lettera d’addio riporta calchi come se fosse l’ultima pagina di una lunga denuncia. Si vedono le parole “già” e “gioco”.
La firma è contraffatta; 
5) foto che mostrano sul viso, sui pantaloni e sull’auto di Tenco tracce di sabbia: potrebbe quindi essere stato ucciso in spiaggia. Tutto il materiale è ben visibile sul sito (www.luigitenco60s.it).

Una cosa è certa: se Tenco morisse oggi, basterebbe un’unghia di tutta questa valanga d’indizi per scatenare un processo mediatico; sarebbe bastato sapere che un giovane cantautore di 29 anni gira con un’arma per difesa personale, impaurito da minacce di morte, e sulla tragedia si sarebbero costruite intere trasmissioni televisive, plastici della camera d’albergo con le varie, e assurde, posizioni del corpo e della pistola, sarebbero intervenuti periti, testimoni e opinionisti per discutere del caso, fino alla nausea. A Tenco sicuramente non sarebbe piaciuta quest’Italia di oggi, così diversa dagli anni sessanta quando non si guardava dal buco della serratura. Tenco sarebbe stato critico verso un certo tipo di giornalismo, al quale oggi siamo abituati. Ma questo giornalismo sicuramente sarebbe servito per pressare gli inquirenti a fare chiarezza e giustizia sulla sua morte.

Giulia Lanza. Segue uffici stampa nel mondo dello spettacolo e della musica. Idealista e sognatrice, ma anche testarda e tenace: si appassiona e sostiene “battaglie perse”, che per lei non lo sono mai!

 Nel gennaio del 1987 Dalida rilasciò una intervista al settimanale “Oggi” in cui, seppur con qualche imbarazzo, accettò di parlare del cantautore italiano. Nessuna storia d’amore è paragonabile a quella che ho vissuto io con Luigi Tenco. È il compagno del quale mi sento vedova. Dio mi perdoni se non ho avuto il tempo di capirlo, di proteggerlo fino in fondo. Lui era il mio istinto, la mia vocazione musicale. Mi sentivo presa da quel “rivoluzionario” che nel ‘64 aveva abbandonato il Partito Comunista perché, diceva, “i rossi si sono tutti sbiaditi”. O che aveva interrotto gli studi d’ingegneria perché sosteneva: “Io non costruirò mai ponti e case solo per far accumulare quattrini ai potenti. Meglio che nelle case arrivino le mie canzoni”. Come tutte le persone romantiche che rifiutano di crescere, lui era il mio uomo ideale. Come non rimanerne soggiogata psicologicamente? Era un fiume in piena del quale io pretendevo invece di arginare l’impetuosità. Mi sono accorta troppo tardi che avrei dovuto aiutarlo”. Parole forti, senza tempo. I sentimenti della cantante francese hanno paradossalmente sempre alimentato i dubbi riguardo a quelli che invece provava Luigi Tenco.

Il cantautore, in quel periodo, frequentava una giovane donna conosciuta a Milano, Valeria (la conoscenza con Valeria risale al 1965, a quanto semvra potersi accertare). I due si vedevano soprattutto a Roma, dove la ragazza allora ventiduenne studiava. Non ne aveva parlato a nessuno, nemmeno agli amici intimi. In quel periodo Valeria stava terminando la tesi di laurea; subito dopo, secondo alcune lettere scritte da Tenco, la coppia avrebbe dovuto sposarsi. Proprio in quei giorni, però, avvenne un fatto piuttosto grave. Valeria incontrò casualmente Luigi in un ristorante romano in compagnia di Dalida. La ragazza si infuriò e non volle più vedere il cantante. 

Tenco cominciò a tempestarla di telefonate, a bombardarla di lettere di scuse, di giustificazioni. In una di queste l’artista scrisse: “Ho tentato in tutti i modi, ho passato delle notti intere (aspetta un attimo!) a bere, a cercare di farle capire chi sono, cosa voglio, e poi... Ho finito col parlarle di te, di quanto ti amo. Che gran casino, vero? Certo, lei si è dimostrata molto “comprensiva”, ma mi ha detto che ormai dovevamo portare avanti questa “assurda” faccenda agli occhi degli altri. È una donna viziata, nevrotica, ignorante, che rifiuta l’idea di una sconfitta, professionale o sentimentale che sia”. Gli insulti a Dalida contenuti nelle lettere a Valeria erano un modo come un altro per sminuire la figura dell’amante agli occhi della futura sposa. Alcuni discografici della RCA, affermarono successivamente che il rapporto tra Tenco e Dalida era di ben altra natura. I due avevano annunciato loro l’intenzione di sposarsi, subito dopo il Festival di Sanremo.

Il mistero si infittisce, se consideriamo che Tenco scrisse a Valeria il 16 gennaio 1967, alla vigilia del Festival, un invito a trascorrere una vacanza in Kenya: “Appena avrai discusso la tesi faremo una cosa che non abbiamo fatto ancora, ce ne andremo per un periodo di tempo, tu ed io da soli. Andremo... in Africa... in Kenya. Guarda nel secondo cassetto della scrivania e comincia a fare qualche programma. Tesoro, avremo i giorni e le notti tutte per noi: potremo parlare, prendere il sole, fare l’amore, dimenticare i problemi che abbiamo vissuto, le angosce, i momenti bui. Potremo riscoprire il senso della vita”. L’artista, in verità, si divideva tra le due donne: l’amore da una parte e la passione dall’altra. La storia con Dalida era, a quanto lui stesso confidò, particolarmente intrigante, ma l’amore della sua vita si chiamava Valeria.


Ecco, credo che questa sia la giusta sintesi di quello che era nella testa di Tenco, del resto abituato ad essere molto corteggiato dalle donne, per il suo fisico e per le sue espressioni corrucciate e anche per gli slanci di dolcezza, cui era ogni tanto capace (una sorta di Alain Delon, il bel tenebroso, sempre distaccato ma al tempo stesso, distaccatamente interessato. Mia). Inoltre, sappiamo, lo vedremo nel pomeriggio che dedicheremo a Dalida e al suo ambiente, che era una donnna molto contrastata: controllata in ogni  suo passo da discografici e dal fratello, attentissima alla sua immagine pubblica e al successo, era anche una donna per l'epoca molto libera e instabile emozionalmente. Quindi non era insolito innamorarsi alla follia di persone e poi giungere anche rapidamente alla fine della storia, a volte per sua volontà, altre per pressioni dell'entourage.  A parte Morisse, che più che un amore è stato l'uomo sposato per assecondarlo e per ottenere in cambio la possibilità di avere investimento discografico su di lei, ben riuscito e ripagato, al punto che dopo poco, Dalida vuole liberarsi da Morisse, potentissimo nella discografia, per dedicarsi a persone che poteva realmente amare, almeno a suo modo. Con atroce coerenza, Dalida non si è mai innamorata (a parte Morisse, che ripeto non era amore) di persone che non fossero assai problematiche e peculiari. Aggiungo che questo che dico e quello che poi vedremo quando si parlerà di Dalida, lo dico con grande emozione e rispetto, con senso di vicinanza e se possibile con compassione, anche pensando all'esistenza certamente non facile emozionalmente di Dalida e alla sua tragica fine pr sottrarsi alla sofferenza.


Lasciando da parte i particolari, resta invece il mistero su ciò che successe quella notte all’hotel Savoy. La telefonata di Tenco a Valeria (con promessa di incontro il giorno seguente a Genova) avveniva circa mezz’ora prima dello sparo. E qui si affacciarono diverse ipotesi. Tra le quali quella che Tenco in quella mezz’ora cambiò improvvisamente umore perché Dalida, dopo averlo inutilmente cercato telefonicamente, lo raggiunse infuriata, immaginando il cantante impegnato al telefono con la fidanzata. L’incontro con la chanteuse francese terminò con una scenata. Volarono parole dure. Dalida definì Tenco un cantautore fallito ed un interprete mediocre, tanto da colpevolizzarlo per l’esclusione di Ciao amore ciao dalle fasi finali del Festival. Inoltre insultò Valeria, definendola una persona non all’altezza.
Molti amici invece sostennero che Dalida fosse presente al momento dello sparo. Si ipotizza che il cantautore per gioco impugnò la pistola, ma quello che poteva essere da parte di Tenco uno scherzo o una bravata si trasformò tragicamente in un incubo senza via di uscita. Le diverse ipotesi, i vari sospetti, generarono a tutti gli effetti “un giallo tutto italiano”, sostenuto da un puzzle indiziario praticamente risolto sin dalla prima tessera: Tenco, visibilmente amareggiato per essere stato eliminato dalla finale di Sanremo con la canzone Ciao amore ciao, torna in albergo e si ammazza con un colpo di pistola. 
Una dinamica semplice quanto lineare, che tuttavia lascia aperto ogni ragionevole dubbio. Nessuno ad esempio sentì lo sparo, ma solo le urla di Dalida che scoprì il cadavere. Le indagini immediatamente successive del commissario Molinari furono confuse e contraddittorie. Egli diede ordine di riportare il cadavere nella stanza dopo averlo in un primo momento fatto rimuovere dagli agenti. Inoltre nessuno quella notte, in quell’albergo, fu in grado di fornire nessun tipo di indicazione sull’ora del decesso. Infine la frase “spero che tutto questo serva a chiarire le idee a qualcuno” avvalora l’ipotesi sostenuta dal fratello, dagli amici e a quanto pare anche dalla stessa Valeria, di un’altra lettera in cui Tenco rivelava tutti gli intrallazzi di quel Festival; lettera che, secondo i succitati, sarebbe stata sottratta da qualcuno. Quasi certamente non si conoscerà mai la verità. Così come la vera identità di Valeria. Nel corso degli anni non venne mai svelata e fu gelosamente custodita da Pirito, Carozzi e Fegatelli, i giornalisti amici di Tenco artefici dello scoop. Si sa con certezza che Valeria combatté nel corso degli anni una forte depressione, portandosi dietro dolore, angoscia e complessi di colpa per l’accaduto.
Per quanto riguarda Dalida, nonostante i numerosi tentativi, dal dolore non si riprese mai del tutto. Il 3 maggio 1987, a Montmartre, si toglie la vita, a vent’anni dal primo tentativo. Accanto al corpo, un biglietto: “Perdonatemi, la vita mi è insopportabile”.   http://www.oltremagazine.com/index.html?id_articolo=1521




Naturalmente con questa rappresentazione della fine di Dalida, non sono per niente d'accordo, anche considerando che Dalida era probabilmente affetta da instabilità dell'umore (come Tenco) quasi certamente una Tipo II, con innalzamenti e depressioni.
Tenco che esce e, sulla sua 124 spider, va a sbollire rabbia e depressione forse in Costa Azzurra. Tenco che rientra in albergo. Tenco che riceve una lunga telefonata della sua fidanzata, Valeria, da Roma. Poi prende una pistola, che però non risulta essere quella vista da Dossena, insomma quella che la madre gli aveva spedito in una valigia a Roma, che poi gli fu portata assieme alla spider. Il proiettile entra dalla parte opposta a quella di un destrorso, esce fuori ma non si ritrova. Nessuno è riuscito a ritrovare un proiettile sparato alla tempia, dall'alto verso il basso, ma fu supposto che fosse rimasto dentro la testa. L'autopsia del 2006 concluse invece che non c'era alcun proiettile dentro la cavità cranica di Tenco. Questo non autorizza a concludere che il proiettile sia finito da qualche parte, dal momento che non si trova nella stanza.
In realtà, sappiamo che (spero la notizia sia vera), il proiettile che uccise Tenco è stato acquistato da un noto proprietario di locali, ad una specie di asta di suoi reperti (non faccio commmenti perché tutti possiamo giudicare autonomamente).









Arrigo Molinari 


nasce ad Acri, in provincia di Cosenza nel 1932, laureato in Giurisprudenza all'Università di Napoli, è stato assistente di diritto ecclesiastico presso lo stesso ateneo per dieci anni. Si trasferì in Liguria dal 1955, dove lavorò come funzionario di Polizia e percorse tutti i gradi della carriera "conseguendo sempre brillanti risultati", com'è scritto nella sua autobiografia: commissario a Sanremo sin dalla metà delgi anni 60 e, poi, a Genova, prima presso la Squadra Mobile, in seguito come vice questore vicario. Fu uno dei responsabili della pessima e vergognosa gestione del caso relativo all'omicidio di Luigi Tenco. Era appartenente alla P2 con tessera numero 767.
Quindi questore a Nuoro a seguito di un concorso per titoli. Dal 1987 dirigente di diverse scuole di polizia, con selezione e preparazione professionale. Quindi ispettore capo di Ps ed assegnato all'Ufficio ispettivo Centrale a Roma, poi l'Ufficio Ispettivo per l'Italia settentrionale a Milano. Morì a Andora in provincia di Savona assassinato da un ladro con 22 pugnalate. Inspiegabilmente dopo la sua morte la sua vicenda è caduta nel dimenticatoio, fatto attribuito da molti al poco risalto che si volle dare al processo in corso, intentato dallo stesso Molinari nei confronti di due colossi bancari come la BCE e Bankitalia, colpevoli secondo Molinari di signoraggio.1




Lucien Morisse, giunto a Sanremo come delegato discografico, incontra Dalida e i due si salutano. La mattina dopo la morte di Tenco, passa a prendere dalida e l'accompagna all'areoporto per far rientro a Parigi, senza andare al funerale di Tenco. L'altro uomo è un amico e collega, un potentissimo produttore e discografico, sempre del giro di Dalida.

E’ proprio la cantante a ritrovarlo senza vita, quando verso le 2 rientra in albergo, dopo essere stata a cena con amici discografici , al ristorante Nostromo. Tenco non partecipa alla cena: amareggiato per l’esito della gara e l’eliminazione, vuole rientrare in albergo. Prima della sua esibizione, aveva bevuto e preso tranquillanti e/o antidolorifici, in quei giorni era in cura dal dentista. Quando la polizia interviene in albergo, porta frettolosamente il cadavere all’obitorio e da qui lo trasporta nuovamente nella camera del Savoy, per permettere ai cronisti di fotografarlo. E’ stato ritrovato un biglietto con poche e, ormai note, righe di protesta per l’esito della gara, un biglietto che verrà considerato la prova di un addio alla vita.

Lo sparo in albergo non e’ stato sentito da nessuno, neanche dai vicini di camera. Dalida e Dossena, i primi a trovare il cadavere di Tenco, a primo impatto pensano a un malore, un incidente, non vedono quindi la pistola che – per forza di cose – doveva trovarsi vicino al cadavere. Il fratello Valentino, accorso subito dopo la tragedia, cerca invano l’addetto di turno alla reception per chiedere spiegazioni e ricostruire gli ultimi momenti di vita del fratello. Valentino Tenco e’ stato il primo a non credere al suicidio. L’arma del fratello, che gli viene riconsegnata dalla polizia, è perfettamente pulita, come se non avesse mai sparato. Il noto biglietto d’addio viene ritrovato in camera da Dalida, che lo tiene con sé fino all’arrivo della polizia, mentre al Savoy regnava già una gran confusione. Piero Vivarelli, amico di Tenco, raccontò che si trattava di un biglietto privato per lui e altri amici e, all’arrivo della polizia, visto l’accaduto, hanno ritenuto opportuno consegnarlo. Sembra certo che Lucien Morisse, ex marito di Dalida, quella sera fosse a Sanremo.
Comunque in Tenco il segno di FELC non era presente. Quello si vede. Vabbè che era già stato appurato da un esame fatto da esperti prima della riesumazione con un esame 
in passato Aldo Fegatelli Colonna effettuò degli esami molto particolari sulle foto e le MANI APPARIRONO CANDIDE E BIANCHE. Il segno di Felc se c'e' si vede. Se non si vede, non c'e'.....e se non c'e'....non c'era neanche 40 anni fa. E se non c'era....Luigi quella sera non ha sparato.
E INVECE COME PROVA INCONFUTABILE DEL SUICIDIO HA PORTATO L'ASSENZA DEL PROIETTILE DALLA TESTA DI TENCO. IL CASO E' CHIUSO, IL CASO E' CHIUSO...NON PARLATENE PIU'....cosi esclamarono tutti uscendo dalla camera settoria e appurando che il proiettile non c'era. PERSONE SERIE EH!

Ma a me basta quell'antimonio delle sigarette di Tenco per DISCOLPARLO del suo suicidio al 100%.
l biglietto d'addio al microscopio: rilevata la presenza di 2 parole appartenenti alla pagina precedente di quel biglietto


Le domande sorgono spontanee:

come mai questa pagina precedente in mano al Commissario Molinari, non c'è piu' ??
Come mai non risulta agli atti??
Come mai un biglietto non proveniente dalla scena del crimine con firma contraffatta...viene ancora oggi considerato autentico e valido ai fini della convalida del suicidio di Tenco???

Tratto da "Luigi Tenco - Vita breve e morte di un genio musicale" di Aldo Fegatelli Colonna:

Tra gli agenti presenti sul luogo la notte del 27, Sebastiano Rapanà non ha avuto dichiarazioni particolari da fare: lo misero di piantone e non entrò neanche nella stanza. Vincenzo Vairo sembrava aver paura di tutto e il suo è stato un monologo sulle corde del "non ricordo nulla". Quando gli ho chiesto se aveva ricordi del cadavere sballottato dal Savoy all'obitorio e viceversa, ha espresso un perentorio: "Non è possibile!"; quando ho soggiunto che quel sinistro andirivieni era stato disposto da Molinari, ha replicato: "Ah se l'ha detto Molinari...".

Angelo Ciminari è il personaggio, fra tutti, più interessante. Dichiarò di avere delle cose da dire, ma non l'avrebbe certo fatto per telefono. Fissato un appuntamento, non solo non aveva nulla da dire ma volle dare di sè un'immagine defilata, cercando di minimizzare ogni elemento sospetto. C'e' da dire che il dottor Setajolo, pluriottantenne, rispondendo ai miei interrogativi con voce malferma e dando a bella posta l'impressione di un vecchio tormentato dagli acciacchi, si premurò immediatamente di avvertire gli altri imponendo, verosimilmente, la consegna del silenzio. Cosa che non potè imporre a Ettore Schei, defunto, il quale però confidò alla moglie, tornato a casa dal sopralluogo, che le cose erano state "aggiustate" manifestando forti perplessità sulla tesi del suicidio sostenuta ufficialmente.

Dicembre 2008, scritto da Kirka ( che ha conosciuto Luigi e frequentato la famiglia Tenco prima e dopo la tragedia ) :

Leggete attentamente cosa la nostra cara amica disse 2 anni fa:

Rispondo a Xavier. Io all'epoca mai avrei pensato ad un omicidio come non lo aveva mai pensato neppure la sua famiglia. Quando l'ho saputo (non chiedermi altro) era ormai troppo tardi: Anche Valentino iniziò ad avere dubbi dopo 20 anni quando aprì quel benedetto pacchetto che conteva la pistola. Però una cosa è certa: Ho riconosciuto perfettamente la calligrafia di Luigi (non c'era bisogno di un grafologo) ma in quel biglietto non riconoscevo Luigi. Biglietto troppo stupido per essere stato scritto da un GENIO quale era Luigi. Mi sono scervellata per anni per capire il senso di quel biglietto che senso non ha. Ma chi è quello stupido che si uccide per una canzonetta esclusa. Luigi non era stupido e già sapeva di essere escluso nella prima serata (questo me lo disse la mamma)...
Luigi il 26 Gennaio 1967 mattina le aveva telefonato chiedendole di prendere appuntamento con il dentista per il giorno dopo (per il 27 Gennaio ).


Graziella Tenco allora rispose ( più o meno ): "Ma se non hai ancora cantato come fai a dire che domani torni"? 


Luigi: "Qui è tutto deciso, i giochi ormai sono fatti"


Per dovere di cronaca, qualehe tempo fa si venne a sapere che Luigi fece l'estrazione direttamente a Sanremo quel 26 Gennaio di pomeriggio ( senza aspettare il giorno dopo ) perché il dente gli faceva molto male. Dopo l’intervento richiamò mamma Teresa per dirle che aveva incontrato un bravo dentista li a Sanremo e che poteva disdire l'appuntamento.... (notizia pubblicata tra l'altro dai giornali ).
 La sera del 26 Gennaio 1967, Tenco comunica a Valeria e Piero Vivarelli di aver indetto una conferenza stampa per l'indomani mattina per denunciare lo sporco gioco delle combines di Sanremo con tanto di nomi e cognomi.
- Scrive un promemoria con il discorso da fare l'indomani in conferenza e i due punti cruciali trattati nella lettera sono "i nomi e i cognomi di chi è coinvolto nello sporco gioco delle scommesse ( la parola gioco è stata rintracciata sul biglietto d'addio da noi qualche anno fa ) e l'annuncio del ritiro dalle scene musicali "non perchè stanco della vita ( tutt'altro ) ma come atto di protesta. 
tratto da "Luigi Tenco - canterò finchè avrò qualcosa da dire" di Renzo Parodi, a parlare è Sandro Ciotti:


"Nella camera di fronte a quella occupata da Luigi erano stati alloggiati i "Compagnons de la chanson", un quartetto vocale francese. Quella notte stavano provando dei pezzi alla chitarra, delle cose nuove. Suonavano da un'ora sottotono e lo sparo della pistola di Tenco non lo sentirono, non lo sentì nessuno. Neppure io che occupavo la camera accanto alla sua. Ero sveglio e stavo lavorando. Sentii il trambusto nel corridoio, le urla di Dalida che vidi uscire dalla stanza di Tenco; con lei c'era l'ex marito Lucien Morisse, dal quale aveva divorziato. Il porto d'armi era appoggiato sul tavolo, come se fosse necessario giustificare il fatto di essersi sparato. Attorno un po' di sangue non molto". 


Sandro Ciotti, si domandò che cosa ci facesse Dalida con l'ex marito nella camera 219 di Luigi Tenco. Fu forse Lucien Morisse a mettere sul tavolino il porto d'armi di Tenco, per stare piu' tranquillo?


Sta di fatto - continua Sandro Ciotti che Lucien Morisse caricò Dalida in macchina e un'ora dopo tutti e due erano già oltreconfine in territorio francese.
Abbiamo dunque appreso da Sandro Ciotti, persona di indiscutibile serietà che Dalida esce dalla camera 219 insieme a Lucien Morisse.
Come mai l'ex marito di Dalida si trovava dentro la stanza di Luigi Tenco, è facilmente intuibile.


NB. Lucien Morisse esce dalla stanza 219 insieme a Dalida. Il biglietto resterà 30 minuti nella camera della cantante e verrà consegnato al Commissario Molinari con una firma contraffatta ed un errore ortografico tipico di uno straniero ( seleziona ).



Inoltre, la lettera di Tenco era di 2 pagine: il Commissario Molinari infatti, mentre legge il biglietto d'addio tiene in mano 2 fogli.
SETTIMANALE "OGGI" N° 38 ( 16/09/2009 ) - PAGINE 56-57 
dopo la lettura dell' articolo, vi invito a leggere anche la mia risposta, al fine di "valutare" la REALE "forza" e "credibilità" delle 5 prove dell'omicidio di Luigi Tenco pubblicate su questo sito in data 5 Aprile 2008.




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Ad alimentare i sospetti anche il fatto che Tenco aveva comperato una pistola, una Walter Ppk calibro 7,65, ma nelle sue mani, quella notte, fu trovata una calibro 22. Un'arma compatibile con la tesi del delitto passionale, visto che il marito di Dalida si toglierà la vita qualche anno dopo, proprio con una Walter Ppk, 7,65. 

Il procuratore di Sanremo ha comunque chiarito che la riapertura del caso non dovrebbe comportare rivelazioni clamorose, ma soltanto rimettere a posto alcuni tasselli mancanti

(12 dicembre 2005) 

Nota: Due parole sulla paginetta del criminologo professor (spero con esame superato) psichiatra Picozzi. Questa figura che troviamo un poco da tutte le parti come il prezzemolo, spesso se la cava con analisi tremendamente scarne e ridotte all'osso, e a volte, non prive di elementi grossolanamente di tipo psicodinamico o addirittura psicoanalitici (Romoli docet),  che per quelli di scuola come la nostra, sono del tutto inadeguati ed obsoleti a fornire un quadro scientifico del funzionamento psichico di qualsivoglia persona. Che poi le procure siano propense add affidarsi alla sua espertise, è un fatto che noi tutti di scuola strettamente comportamentista ci spieghiamo benissimo, dato che la nostra è la scuola meno agganciabile dalle menti piene di correlati culturali. Voglio dire, che parlare di moventi e spinte, pulsioni aggressive compensatorie del rapporto con il padre eccetera, è per molte figure giuridiche, di più facile accessibilità e attribuzione di un nesso causale e culturale, che invece si rarefà molto nel paradigma scientifico rigoroso del comportamento funzionale e della biologia del comportamento.
Guardate cosa scrivono le psichiatre seguaci di Fagioli sulla loro rivista mensile credo, una volta allegata a l'Unità: la violenza sulle donne è un fatto sociale, un insegnamento culturale, che quindi può e deve essere trattata dal punto di vista delll'insegnamento, dell'educazione e della riforma sociale (di sinistra, per essere sani di mente, come asserisce il Fagioli e i fagiolini).
[Il termine sinistra, per quelli come me (seguaci di Popper) e Gaber, è roba del paleozoico. Guardate che razza di cripto fascistelli ci sono nel Pd (Renzi e compagnia), sempre meglio di gente asfissiante e liberticida come Bersani e le sue cooperative del ca..o].
Comunque, il Picozzi, esperto e incaricato dal tribunale per il famigerato caso Franzoni - Cogne, ha concluso che la perizia personologica della Franzoni è compatibile con l'azione omicidiaria: insomma, la Franzoni presenta tratti  personologici (notare bene, non anche psicopatologici) che la fanno centrare come persona che può commettere il crimine in questione (omicidio feroce e volontario del figlioletto). 
La super perizia poi  si è limitata ha dire che si tratta di una persona sana di mente che ha agito in pieno possesso delle sue facoltà, ma solo con il limite di una azione sotto uno - stato crepuscolare orientato- . Non fatevi ingannare da questi paroloni, che significano solo che lo stato di consapevolezza del soggetto è comunque lucido, per quanto ristretto. Insomma, si è creata una formula del tutto astratta da ogni contesto psicopatologico, dal momento che possiamo dire che tale stato di coscienza è solo uno stato appuntoo del funzionamento della mente di una persona in uno specifico momento e non deriva da una psicopatologia. (e questa è la prima volta che leggo di uno stato di restringimento di coscienza in modo avulso e astratto da ogni e qualsiasi altro riferimento ad un preciso stato personologico e spicopatologico) . Questo perché? 
Perché si doveva concludere che la signora Franzoni (come sempre aveva voluto intendere), non era affetta sia prima che durante e dopo, l'azione omicidiaria (presunta), da qualsiasi psicopatologia e meno che mai da una patologia che escluda la piena consapevolezza e volontà (termine questo che in neuroscienze non è contemplato: nessuno parla di volontà in psicopatologia).
Va bene, complimenti al lavoro delle procure e dei pubblici ministeri che finalmente hanno scoperto il colpevole e l'hanno punito nel modo giusto.


Il commissario Arrigo Molinari, che all’epoca guidò le indagini dichiarò in seguito che «sulla morte di Tenco e su tutto quello che è accaduto nelle ore successive alla scoperta del suo cadavere, non è stata ancora scritta tutta la verità». Ospite a Domenica In nel 2004 , Molinari parla dell’ipotesi che dietro quella tragedia ci sarebbe stato un giro di scommesse clandestine legato al Festival. Dice che fra gli anni ‘50 e ‘60 sarebbe esistito questo giro di scommesse sulle canzoni di Sanremo. Racconta che c’erano due obitori, uno per le morti naturali, l’altro per ospitare le vittime truffate al gioco, suicide. Secondo Molinari anche re Farouk d’Egitto scommise e perse un miliardo di lire. Dice anche che , dopo la morte di Tenco, Ugo Zatterin, allora presidente della Commissione selezionatrice di quel Festival, avrebbe insistito perché il Festival proseguisse. Queste pressioni, ha spiegato Molinari, “mi costrinsero a riportare il cadavere di Tenco dall’obitorio all’hotel, per mostrarlo a tutti e far capire che il Festival non poteva proseguire”. Arrigo Molinari comunque non ha potuto contribuire alla ricostruzione della vicenda, finalmente riaperta. . Quando le indagini si riaprirono nel 2005, Molinari era morto, assassinato mesi prima da un ladro , nella sua abitazione.



Tre interventi di Molinari al Festival.


Il primo intervento del Molinari accadde nel 1959 con l’esibizione di Jula De Palma, al secolo Iolanda De Palma, interprete del brano Tua con Tonina Torrielli. Partita l’orchestra, però, le due interpreti non andarono oltre la strofa «la tua bocca nella mia». A quel punto Arrigo Molinari, allora giovane commissario, agguantò il microfono e dichiarò chiusa l’esibizione.

La seconda volta che il funzionario di pubblica sicurezza intervenne al festival di Sanremo fu per la morte di Luigi Tenco. Era il 1967 e l’artista fu trovato morto nella sua stanza d’albergo, l’Hotel Savoy. La tesi del suicidio, su cui Molinari doveva indagare, fu la prevalente, ma l’inchiesta fu macchiata da una serie di cadute: non venne disposta l’autopsia, non fu repertato il biglietto d’addio e non si chiarì nemmeno se Tenco si sparò con una Walter PPK 7,65 che aveva acquistato un anno prima o con una calibro 22 di cui si parlò molto senza che mai saltasse fuori. Inoltre, dopo la rimozione del cadavere, Molinari diede ordine che fosse riportato nella camera dove il cantante s’era ammazzato a uso dei fotografi e qui venne malamente ricostruita la scena.

La terza, in qualità di semplice avvocato. Sanremo 2002
a Benigni potrebbe essere impedito di esibirsi all'Ariston. L'avvocato Arrigo Molinari (ex questore, appunto) ha presentato istanza in tal senso al tribunale di Sanremo. L'ha presentata a nome di una certa «Associazione Nazionale Italiana Atlantisti per la Legalità delle Democrazie nel mondo - Cultura della Legalità». Il tribunale ha fissato l'udienza, chiesta ai sensi dell' art. 700 del codice di procedura civile, per stamattina alle 11, convocando sia Benigni sia il presidente della Rai, Antonio Baldassarre. Gli argomenti dell'avvocato Molinari sono notevoli: vista l'intervento del comico e regista in occasione delle scorse elezioni, l'ex questore sostiene che la sua esibizione sarebbe pregiudizievole agli interessi dell'associazione, «che ha finalità di tutela del consumatore oltre che dei diritti umani e della democrazia». Però. Molinari cita illustri precedenti in quanto a interventi di varie. Sembrano battute ma non lo sono. Il Benigni-day è preceduto da una fiumana di parole, dalle più segrete stanze dell'Ariston...

 Nei primi venti giorni del settembre 2005, per due volte, la sua casa di Andora, provincia di Savona, aveva subìto altrettanti tentativi di furto. Molinari soggiornava all’interno del vecchio Ariston, complesso turistico di punta ai bei tempi, ma ormai poco più che alberghetto rivierasco. Il figlio, preoccupato dalle effrazioni, si era trasferito nell’appartamento sotto quello del padre, che viveva solo dopo la morte della moglie. Ma nella notte tra il 25 e il 26 settembre non sentì nulla, malgrado la televisione rimasta accesa e una colluttazione tra aggressore e aggredito. Nel corso dell’aggressione, alcuni fendenti uccisero il poliziotto all’età di 73 anni e nel giro di ventiquattr’ore il mistero sul delitto sembrava chiuso: ai carabinieri di Alassio si presentò, accompagnato dal suo avvocato, un tal Luigi Verri, un cuoco quarantaduenne con precedenti penali che per un periodo aveva vissuto in una dependance dell’Ariston.

In un primo tempo disse di essere entrato a casa di Molinari per derubarlo e di averlo trovato già morto. Preso dal panico, era scappato e nella fuga si era ferito. Ma poi era crollato e aveva confessato: mentre frugava nei pantaloni dell’anziano in cerca di denaro, questi si era svegliato e l’aveva riconosciuto. Caso chiuso dunque. Si metteva la parola fine a un’indagine, ma anche alla vita di servitore dello Stato particolare che nell’ombra non c’era rimasto. Oltre ad aver attirato l’attenzione su di sé sia nel corso delle indagini sulla P2 che sulla «consegna straordinaria» di Milano, non aveva mai glissato in merito al suo entusiasmo per Gladio tanto da aver apposto davanti al suo studio legale una targa che segnalava la «sede regionale Liguria» dell’«Associazione volontari Stay Behind».

Ancor prima, raccontano le cronache, regalava l’amaro del gladiatore e aveva fondato una rivista dedicata all’esercito segreto della Nato in Italia. Per quanto il suo nome non figurasse nella lista dei 622 gladiatori italiani divenuta pubblica all’inizio degli anni Novanta, continuava a portare avanti il vessillo di Gladio, ma non solo. 

Come «avvocato dell’avvocatura della Padania» e «su preciso mandato di Umberto Bossi» – raccontano ancora i giornali – provò a ritagliarsi un ruolo nella battaglia legale contro il crocifisso nelle scuole avviata da Adel Smith, fondatore dell’Unione dei musulmani d’Italia. E ancor prima, dichiarando di agire sempre per conto del Carroccio, aveva bersagliato di denunce l’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. Erano i tempi in cui Molinari faceva l’editorialista per il quotidiano La Padania e la Lega Nord voleva la testa del titolare di Palazzo Kock per gli effetti della transizione dalla lira all’euro, prima che qualche furbetto del quartierino iniziasse a costruire il «partito del governatore» e desse il via ufficiale a discutibili – e penalmente perseguibili – scalate a banche e gruppi editoriali.

"[...] Io ce l'ho con la Banca d'Italia e con i suoi soci voraci banchieri privati [...] contro la Banca d'Italia e la Banca centrale europea per la cosiddetta truffa del “Signoraggio“, consentita alle stesse fin dal 1992 [...] un ministro sottile che ha permesso agli istituti di credito privati di impadronirsi del loro arbitro Bankitalia, e quindi di battere moneta e di prestarla allo Stato stesso con tasso di sconto a favore delle banche private
[...]
Ora i cittadini risparmiatori sono costretti a far ricorso al tribunale per farsi restituire urgentemente il reddito da “Signoraggio“ alla collettività, a seguito dell'esproprio da parte delle banche private italiane che, con un colpo di mano, grazie a un sottile ministro che ha molte e gravi responsabilità, si sono impadronite della Banca d'Italia battendo poi moneta e togliendo la sovranità monetaria allo Stato che, inerte, dal 1992 a oggi ha consentito questa assurdità.
[...]
L'emissione della moneta, attraverso il prestito, poteva ritenersi legittima quando la moneta era concepita come titolo di credito rappresentativo della Riserva e per ciò stesso convertibile in oro, a richiesta del portatore della banconota [...] Poi, cioè una volta abolita la convertibilità e la stessa Riserva anche nelle transazioni delle Banche centrali avvenuta con la fine degli accordi di Bretton Woods del 15 agosto 1971, la Banca di emissione cessa di essere proprietaria della moneta in quanto titolare della Riserva aurea. [...]
Prima Bankitalia, nella sua qualità di società commerciale, fino all'introduzione dell'euro in via esclusiva e successivamente a tale evento, quale promanazione nazionale della Banca centrale europea, si arroga arbitrariamente e illegalmente il diritto di percepire il reddito monetario derivante dalla differenza tra il valore nominale della moneta in circolazione, detratti i costi di produzione, in luogo dello Stato e dei cittadini italiani.
[...] Sembra un assurdo, ma purtroppo è una realtà. L'euro, però, è dei cittadini italiani ed europei, e non, come sta avvenendo in Italia, della banca centrale e dei suoi soci banchieri privati.

Testo integrale qui ( www.ilgiornale.it - "La mia ultima battaglia contro l'euro" ).

Altro interessante articolo de "Il giornale": "Il sistema delle banche tradisce i risparmiatori" nel quale leggiamo:


[...] il dibattito che è scaturito sulla cosiddetta vicenda Fazio non è tanto sulla regolamentazione dei poteri e sulla durata in carica del governatore, quanto una meritoria presa di posizione dello Stato italiano di riappropriarsi di risorse, il cosiddetto reddito di “Signoraggio“, nella quale era stato, seppure in parte, espropriato in favore di soggetti privati. Invero e singolare se non addirittura assolutamente inaccettabile che l'istituto di emissione in uno Stato sovrano sia in primis una società per azioni commerciale, nonché partecipata per la maggioranza assoluta da soggetti privati che nulla hanno a che vedere con le ragioni pubbliche che dovrebbero presidiare ogni determinazione relativa alla Banca centrale [...]

La settimana precedente all'omicidio, proprio da una sua denuncia, erano stati rinviati a giudizio 6 tra ex direttori e direttori di istituti bancari della Riviera di Ponente con l'accusa di usura.

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Non c’è pace per la famiglia Molinari. Dopo la scoperta dai tabulati telefonici di una relazione tra la nipote di Arrigo Molinari, l’ ex questore ucciso nelle settimane scorse ad Andora, e Luigi Verri, reo confesso dell’omicidio, l’ altra sera un principio di incendio ha parzialmente danneggiato la sede del Bingo in via Trento a Imperia, gestito da Rossella Bloise insieme con il marito Carlo Molinari. Non ci sono ancora cause certe sull’ origine dell’incendio. Il fumo fuoriuscito dall’impianto di areazione ha causato l’evacuazione di un centinaio di persone che in quel momento stavano affollando il locale e sono state fatte uscire in ordine dai dipendenti del locale. Un ultimo giallo, forse, che si aggiunge ad altri interrogativi sulla morte di Arrigo Molinari. In molti, infatti, sapevano che sul Bingo di Imperia, come su altre attività imprenditoriali della famiglia, tra cui il complesso turistico Ariston, pesavano una serie di debiti. Un eventuale dolo nell’incendio potrebbe costituire un nuovo tassello nell ’inchiesta della Procura di Savona sulla morte dell’ex questore, nell’ambito della quale ancora non convince fino in fondo gli inquirenti la confessione resa più volte da Verri. Ancora da chiarire la presenza di un complice all’esterno dell’abitazione dove fu ucciso Molinari: le tracce di sangue di Verri si fermano sul marciapiede, come se fosse salito sul lato passeggero di un auto che lo stava aspettando. Mancano poi ancora all’ appello l’arma del delitto e le pistole di cui era in possesso la vittima. «Sull ’incendio stiamo ancora aspettando gli accertamenti dei vigili del fuoco - spiega il procuratore capo di Savona Vincenzo Scolastico -Sulla posizione della nipote di Molinari ritengo invece che si possa escludere una sua complicità nell’evento delittuoso».



leggo testualmente le dichiarazioni di Arrigo Molinari: <<...c'era una gran confusione, La notizia si era subito sparsa dopo che Dalida aveva trovato il cadavere al rientro in albergo. E i giornalisti premevano per avere notizie, per sapere chi aveva sparato al cantautore. Cosi, per calmare le acque, li affrontai, lessi il biglietto che avevo trovato e che faceva pensare ad un suicidio, e promisi loro che non appena ultimato il sopralluogo li avrei fatti entrare nella stanza e avrei permesso di fare le foto ( nota de "laverdeisola": non esiste neanche una fotografia scattata dai fotografi, solo quelle scattate dai fotosegnalatori, strano ). Zatterin mi minacciò di farmi trasferire nel piu' sperduto paesino d'Italia perchè avevo reso pubblico il biglietto e mi chiese di fare sparire il corpo>>. 

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Cronologia:
1 fase) Molinari legge il biglietto ai giornalisti ( 2:45-2:55 ).
2 fase) Molinari fa portare via il corpo su "ordine" di Zatterin ( La Rai inedito "capo" della Polizia di Stato )
3 fase) Molinari fa riportare il corpo dall'obitorio nuovamente in camera, arriva il fotosegnalatore ( ore 4:15 ) e li cominciano "gli approssimativi" rilievi
Dal racconto di Molinari sopra riportato, si evince che il biglietto fu letto ai giornalisti all'inizio ( 2.45-2:55....1° foto 
Per farla breve, il Commissario Molinari nella prima foto delle 2:45-2:55 non può avere che una cosa sola in mano, il biglietto, il quale è composto da due fogli. Dov'è finita la pagina mancante?

Cav. Uff. Dott. Franco Borelli
Medico Chirurgo
Sanremo
Via Matteotti, 20

Verso le ore tre del 27 gennaio 1967 sono stato chiamato all'Hotel Savoja alla camera n.219 della Dependance, dove ho proceduto alla seguente constatazione: steso a terra, accanto al letto e vicino ad un armadio a cassettoni con al lato prospicente la porta verso cui si nota un altro armadio a specchio, un uomo della apparente età di circa 30 anni che corrisponde al corpo del cantante autore Luigi Tenco. È in posizione supina. Si nota una larga [parola illegibile] e materia cerebrale al lato destro del capo e anche all' [parola illegibile] si nota un foro d'entrata di proiettile d'arma da fuoco alla regione temporale destra. L'arma viene trovata in mezzo alle gambe che si presentano in posizione divaricata.
È evidente la posizione assunta dal cadavere come conseguenza di ferita d'arma da fuoco a scopo suicida dalla posizione in seguito alla caduta a terra.
In fede
Dott. Franco Borelli

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Come potete notare tutti, nello spazio bianco poco sopra "SPERO CHE" c'è della sporcizia "nera" ed è quella che siamo andati a "studiare" a fondo. QuellA sopra è la fotocopia che fu fatta allora del Biglietto D'addio. Con la fotocopia è venuta fuori tutta la sporcizia possibile rendendo visibile L'IMPERCETTIBILE ad occhio umano. La fotocopia sfruttando "il fascio di luce" è andata a "catturare" accidentalmente" ciò che era stato calcato su quel foglio, ovvero ha intercettato la "pressione" della penna sul foglio precedente a quel biglietto.

Il che significa che Luigi aveva piu' fogli davanti a se e poco prima di iniziare "il biglietto d'addio" ( L'ULTIMA PAGINA ), scrisse dell'altro sul foglio sopra ( LA DENUNCIA E L'ANNUNCIO DEL RITIRO DALLE SCENE MUSICALI ) . In questa pagina precedente si intuisce come Luigi abbia parlato della sua denuncia nei confronti del "gioco" delle scommesse clandestine ( ed è appunto gioco la prima parola rintracciata con lo studio di "quella sporcizia" nera ). FACCIO QUESTO NON PERCHE' SON STANCO DELLA VITA ( TUTT'ALTRO ) si riferisce alla volontà di Tenco di abbandonare le scene musicali COME ANTICIPATO A PIU' PERSONE. La parola GIA' invece è molto piu' chiara ma credo sia impossibile ricostruire il pensiero di Tenco in questo caso.

 Dalida disse di aver trovato un biglietto con intestazione d'albergo ( la prima pagina? ). Quel biglietto è invece senza intestazione 

Le perizie calligrafiche che da decenni colpiscono quel biglietto si sono sempre semplicemente limitate a constastare che la grafia fosse la sua.


Anche Valentino Tenco sconsolato ( perchè era un pro-omicidio ) disse: "Eh, ho fatto riesaminare il biglietto, la grafia è la sua".


Tutti d'accordo, la grafia è la sua ( per 3/4 lettera ).....lo confermo.


Era la volontà di Tenco che in quel biglietto era diversa....
 Invece io so che era l'1,25 esatta quando entrò un proiettile nella testa di Luigi. Dalidà disse che ricevette una telefonata al ristorante da qualcuno che le diceva che Luigi stava male. Dalla reception allora si disse che non partì nessuna telefonata dalla camera di Luigi e Dalidà disse di essere entrata in quella camera alle 2,10 e chiamò appunto lei la reception per invitare un medico per Luigi che stava male.

RICALDONE DAL NOSTRO INVIATO - 28 gennaio 1992

"Prima o poi spuntera' qualcuno a raccontare che Luigi TENCO, in quella notte maledetta del 26 gennaio 1967, non si uccise sparandosi un colpo di pistola alla tempia, ma che fu ucciso da Dalida.Tanto lei si e' ammazzata e non puo' piu' difendersi"
. Il venticinquesimo anniversario della tragica morte del cantautore di Ricaldone, che cadeva domenica, ha riacceso un'atmosfera di sospetti, di dietrologie e di cose non dette, di caccia al testimone eccellente, come se da allora fosse passato un giorno e non un quarto di secolo.

Domenica pomeriggio, nello scenario bucolico e ruspante di Ricaldone, il paese natale di TENCO in provincia di Alessandria, con la sua faccia e le sue canzoni appese alle pareti del teatro Sociale, gli amici, i colleghi, i soci del Club a lui intitolato che erano andati a rendergli omaggio simbolicamente fuori dalle metropoli dello show business, si sono trovati nuovamente invischiati in discussioni feroci su quella morte, spesso su opposti schieramenti.
Valentino TENCO, il fratello di Luigi, ha detto a Gino Paoli: , Gino Paoli gli ha sibilato a bassa voce: . Origine di tanta acrimonia, le lettere rese note l'altro giorno dal , scritte dal cantautore in diversi periodi e fino a pochi giorni prima del suicidio, a una Valeria con la quale egli coltivo' un tenero legame fino alla fine: nella sala di Ricaldone gremita all'inverosimile, Valentino TENCO ha raccontato com'e' venuto in possesso di quella documentazione: . La quale non vuole che sia fatto il suo nome: romana, sposata e separata, con due figli, , dice Valentino.



Il TENCO che emerge dalle lettere e' un uomo tenero e innamorato, molto affettuoso, che sogna di fuggire in Africa con lei, lontano dal Festival e soprattutto da Dalida: la voce sulla storia d'amore fra i due artisti circolava alla vigilia del Festival, e non e' detto che fosse soltanto una trovata pubblicitaria. TENCO tentava evidentemente di rassicurare la sua Valeria, e di accreditare l'ipotesi del battage, con giudizi poco lusinghieri sulla cantante: . Un mese dopo la morte di TENCO, Dalida tento' il suicidio in un albergo di Parigi dove si era rifugiata sotto falso nome; e nell'87 si uccise davvero con una forte dose di barbiturici. La storia e' nota, e le lettere di Valeria non chiariscono certo cio' che avvenne quella notte. Ma il fratello del cantautore le considera una specie di traguardo: . Per lui, questo vale come una riabilitazione della memoria. I cronisti lo stringono in un assedio rapace, cercano di strappargli il cognome di Valeria, lui tace.

Crede che sia l'ultima puntata di questa storia? . Si capisce il suo rancore verso Dalida, che egli ritiene responsabile di qualcosa e non nomina mai. Ne' Gino Paoli ne' Amilcare Rambaldi e gli altri soci del Club TENCO sono d'accordo con la piega da che ha preso quello che voleva essere un quieto e poetico pomeriggio a Ricaldone. Per motivi diversi. Paoli vorrebbe che si parlasse di TENCO come se fosse vivo, con le sue allegrie scatenate e il gusto degli scherzi: lui e Reverberi raccontano alcuni aneddoti gustosi, ma il racconto di Valentino lo costringe a parlare d'altro: . Spiega: . Aggiunge che quella mistura di Pronox e whisky ingerita da TENCO la notte del suicidio e' tremenda: .

Arnaldo Bagnasco tenta di tirar le fila alla sua maniera, da uomo di spettacolo un po' guitto: . Fra tante difese della memoria, si finisce per dimenticare i nobili discorsi di Rambaldi patron del Club TENCO contro i traffici dei Festival competitivi: .

Articolo di Marinella Venegoni
fonte: http://archivio.lastampa.it/
1- può bastare anche solo fare degli strani discorsi di morte al bar del Casinò con Luigi poche ore prima della morte ( il ricordo del fotografo Giorgio Lotti è nitido: non stavano parlando di suicidio ) e vedersi avverare come una profezia....quei discorsi sotto agli occhi con la conseguente reazione di SFORZARSI DI ESSERE DISPERATA PER UN SUICIDIO ( ??? )INCOMPATIBILE CON I DISCORSI DEL POMERIGGIO,
2- può bastare anche essere la destinataria della telefonata proveniente dall'Hotel Londra riguardante notizie funeree provenienti da ben altro hotel ( fonte Lia Romagnone, proprietaria del Ristorante "Nostromo" ) e ritrovarsi l'uomo della telefonata accanto a se subito dopo il ritrovamento del cadavere,
3 - può bastare disperarsi perchè Luigi Tenco si è sparato un colpo in tempia sebbene entrando Dalida asserisca di non aver visto l'arma e di aver creduto ad un malore ( fonte Valentino Tenco che durante un'intervista racconta cosa le confidò Dalida ),
4 - può bastare "l'intimidazione" fatta a Valeria sotto il suo portone di casa ( fonte: Valeria ),
5 - può bastare l'atteggiamento menzoniero del fratello di Dalida che dice bugie a ripetizione per coprire la sorella
6 - può bastare portarsi il biglietto d'addio in camera sua, il che è grave perchè è un "corpo del reato" e non dovrebbe spostarsi da li ( fonte Sergio Modugno che sale in camera di Dalida, la quale le mostra il biglietto ),
7 - può bastare farsi fotografare con uno DEGLI ASSASSINI DI TENCO.....mentre si prende la via del "ritorno" in Francia contro ogni regola e procedura dettata dalle vigenti leggi italiane....
Valentino Tenco, che ha lottato per il fratello perchè convinto dell'omicidio. Valentino cambia IMPROVVISAMENTE "registro" nell'ultimissimo periodo di vita, dopo la visita di Arrigo Molinari ( news inedita che si continua a sottovalutare ) che lo invita a distruggere "ogni documento" per dimenticare più in fretta ma prima di quell'evento fa in tempo nel 1992 a lasciarsi scappare un qualcosa che io credo vada oltre la rabbia. Perchè NON CI SI ALZA LA MATTINA E SI PUNTA IL DITO verso qualcuno, COSI DI FRONTE ALLA STAMPA...SOLO PER SPORT.
Certo, se la Magistratura interrogasse il fotografo GIORGIO LOTTI, testimone oculare dei discorsi di omicidio intercorsi tra Dalida e Tenco il pomeriggio del 26 Gennaio 1967 al Bar del Casinò, verrebbero meno certi dubbi. 
Dalida si è sentita usata e gettata via da Tenco in seguito al ritorno di "Valeria", cosi ha reagito in maniera "brusca" e dopo aver "minacciato" ed "intimidito" verbalmente la compagna di Luigi sotto casa al citofono ha pensato ad una piccola "vendetta" senza conseguenze. Ha scelto di avvalersi di Lucien Morisse che come CLAN DEI MARSIGLIESI vede invece nella "piccola vendetta" di Dalida UNA GROSSA OPPORTUNITA' per azzerare un "certo debito" con l'Italia. LUIGI TENCO ERA infatti ISCRITTO IN UNA LISTA NERA DEL SIFAR ( fonte Aldo Giannuli ) per le sue "attività" politiche, I GUAI in cui si era ficcato Luigi erano molto seri, forse sottovalutati da Dalida e l'Italia stava conducendo un'inchiesta nei confronti del clan dei marsigliesi ed a condurre l'inchiesta guarda caso fu ARRIGO MOLINARI. 
Quale più ghiotta occasione per Lucien Morisse? Quando Dalida si accorgerà di avere fatto UNA GROSSA SCIOCCHEZZA ( PERCHE' HA "CARICATO" UNA BOMBA AD OROLOGERIA senza accorgersi ), proverà a salvare Luigi in extremis il pomeriggio del 26 Gennaio 1967 con i discorsi di omicidio INTERCETTATI DAL FOTOGRAFO GIORGIO LOTTI ma ormai era troppo tardi: la macchina di morte "innestata" era inarrestabile e a Dalida non rimase dunque altra alternativa che portare a termine, un pò controvoglia ( ma non aveva più uscite, pena conseguenze pesanti per lei ) la sua missione. Un mese dopo proverà a togliersi la vita per il "rimorso" ed il "senso di colpa", 20 anni dopo ci riprova e ci riesce.


Questa interpretazione è puramente tipica dei Tenenti Colombo all'amatriciana. Se Valeria avesse voluto come sembra, almeno per un certo tempo, del bene a Tenco, avrebbe quanto meno scritto una lettere anonima, per fornire una descrizione dettagliata del fatto ipotizzato. Diversamente, sarebbe stata una delle tante donne di Tenco. Poi, Valeria non era impegnata, era diciamo nel giro del suo ambiente, quello della Roma bene, quindi frequentava anche un coetaneo di simile collocazione (che Tenco disprezzava). E' però molto probabile, direi certo, che Dalida sia stata messa al corrente da Tenco della sua relazione con Valeria, e la faccenda, conoscendo Dalida, abbia ferito a morte il suo smisurato, sconfinato ego, al punto da mandarla veramente fuori di sé.( Nota mia).

                                           _________________________
Tutti conoscono la verità evidentemente, però non basta perchè dopo 43 anni, abbiamo diritto di saperla anche noi. Se una persona vicinissima a Tenco ha "annuito" di fronte ad una foto rappresentante Luigi accasciato in spiaggia, non è una coincidenza, se Valentino ha puntato il dito DI FRONTE ALLA STAMPA...e non in un momento di rabbia tra gli amici ( !!!! ) nei confronti di Dalida, non è una coincidenza, e se noi siamo arrivati a certe conclusioni ( la spiaggia e Dalida ), QUESTO E' IL CERCHIO CHE SI CHIUDE e non l'ennesima stupida coincidenza. Ecco perchè attendiamo una convalida o una smentita, non da parte dei fan di Dalida ma da parte della Giustizia.
 "Selleziona".....non è stato l'errore ortografico di un italiano ma di un francese che risponde al nome di Lucien Morisse E QUEL BIGLIETTO l'ha portato un'altra francese ( fonte Sergio Modugno ) dalla stanza di Luigi alla propria stanza e risponde al nome di Dalida ( che ha spostato un "corpo" del reato da un posto all'altro con estrema lucidità ).


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La camicia di tenco è inspiegabilmente bianca immacolata, come la copeta bianca sopra il viso.....

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In sintesi le cinque prove sostenute dal gruppo “la verde isola” sono: 1) il guanto di paraffina sulla mano di Tenco non dimostra che abbia sparato. Per la positività del test devono risultare almeno 2 di 3 elementi chimici e la mano di Tenco ne riporta solo uno, che qualsiasi fumatore riporterebbe. La pistola di Tenco riconsegnata al fratello era pulita e oleata 2) Nelle foto scattate all’epoca, sotto i glutei di Tenco, non c’e’ la sua Ppk 7.65, ma una Beretta calibro 22 3) Foto a lungo inedite mostrano ferite lacero contuse sul volto di Tenco, come se fosse stato picchiato, non riportate sul referto ufficiale della polizia 4) la lettera d’addio riporta calchi come se fosse l’ultima pagina di una lunga denuncia. Si vedono le parole “già” e “gioco”- La firma e’ contraffatta 5 ) Foto che mostrano sul viso, sui pantaloni e sull’auto di Tenco tracce di sabbia : potrebbe quindi essere stato ucciso in spiaggia. Tutto il materiale e’ ben visibile sul sito (www.luigitenco60s.it )




Nota sul reuccio Claudio Villa  (nota mia).

Nel 1973 scoppiò il primo scandalo: Villa si innamorò di Patrizia Baldi, figlia di un suo amico. 

Tra i due c’erano trentun anni di differenza: lui ne aveva quarantasette e lei sedici. 

Si sposarono in Campidoglio, il 18 luglio del 1975, quando lei raggiunse la maggiore età.

Nessuno scommise granché sulla durata di questo matrimonio che, invece, sarebbe resistito fino alla morte di Villa, allietato dalla nascita di due bambine. 

Nel frattempo, saltarono fuori le liste della P2 e tra gli iscritti c'è anche il "reuccio". 



Si sarebbe scoperto in seguito, che Villa non pagò mai le quote d'iscrizione.
 

Altro scandalo nel 1986: in un lungo memoriale, una ballerina raccontò di avere avuto due figli, un maschietto e una femminuccia, da una lunga relazione con Claudio Villa. Inoltre, lui non li avrebbe mai aiutati. 
Cominciò la battaglia legale, e Villa scrisse la propria biografia intitolata Una vita stupenda. La vicenda di Manuela Villa, è finita senza riconoscimento, dal momento che il reuccio purtroppo, se anche lo avesse fatto, è purtroppo, deceduto prima. Comunque, condivido l'opinione di Limiti Paolo: conoscevo bene tuo padre, e so per certo che non era un vigliacco, disse in Tv a Manuelina, per dire che avrebbe riconosciuta la figlia naturale. E' certo che Villa, pur cocciuto e caparbio, era una persona franca e leale, per quelli che l'hanno conosciuto bene.
 

Metto queste note solo per farvi capire quanto la vita personale, intima di un personaggio dello spettacolo, sia spesso assai differente da quanto presentata dalla Tv e dalle situazioni ufficiali. Per fortuna ci sono i tanto vituperati Rotocalchi Rosa, che spesso si avvalgono di fotografi e reporter di tutto rispetto. Nota mia.

TENCO SI UCCISE DAVANTI A DALIDA

 A Sanremo la verità viene a galla - Incredibile risultato di una inchiesta condotta sul posto: la cantante si trovava nella stanza dell'autore di "Ciao amore, ciao". Ebbe con lui una violenta discussione di carattere artistico. A un certo punto fu udita gridare: "La colpa è tua che hai cantato male". Poi il colpo di rivoltella...



Sanremo, marzo 



Il primo spunto per questa straordinaria inchiesta di Novella 2000 fu suggerito pochi giorni fa da un avvenimento casuale. Il nostro corrispondente di Sanremo Pino Angelini si trovava in un bar quando udì una dipendente dell'Hotel Savoia che, sfogliando i molti giornali con i commenti al tentato suicidio di Dalida, diceva ad una amica: "Quante frottole! Tutti dicono che Dalida voleva morire per il rimorso d'essere arrivata tardi nella camera di Tenco. E' tutto il contrario: Dalida si trovava nella camera di Tenco quando lui s'è ammazzato. L'ha visto spararsi il colpo di pistola e non ha saputo trattenerlo. Ecco perché è rimasta fuori senno per un mese e poi ha tentato di uccidersi anche lei".

Il giorno dopo il nostro Angelini ebbe occasione di ascoltare un cameriere dell'Hotel Savoia che confidava ad un fotografo: "Dalida era in camera con Tenco; io posso dirlo perché nei giorni del festival dormivo nella "dépendence", vicino alla stanza di Tenco; li ho sentiti parlare tra loro in piena notte, pareva che litigassero". 

Angelini ci riferì subito le due notizie che, in un primo tempo, ci lasciarono piuttosto perplessi. Fino a che punto erano attendibili?

Ma in quegli stessi giorni arrivò un'altra voce sorprendente da Parigi: si diceva che la stessa Dalida avesse confidato ad un collega: "Era stato troppo tremendo per me veder morire Tenco, davanti ai miei occhi". 

A questo punto decidemmo di vederci chiaro. Ed eccoci qui, all'Hotel Savoia di Sanremo. Chiediamo subito di parlare con il portiere e il guardiano notturno che la notte del 26 gennaio erano di turno, il signor Walter Carattoni e il signor Luigi Cenati, e comprendiamo subito dal loro riserbo che non vogliono assolutamente ritornare sull'argomento: la faccenda di quel suicidio ha già dato troppi grattacapi. Ma ecco arrivare un'altra volta il nostro Angelini con un documento prezioso: un registratore portatile sul quale lui, prima del nostro arrivo, aveva inciso una chiacchierata amichevole fatta col guardiano notturno Luigi Cenati. 

"A che ora hai visto Dalida?".

"Alle due".

"E si dirigeva nel sotterraneo, verso la camera di Tenco?".

"".

Se teniamo presente che la morte di Tenco avvenne alle ore 2,30 circa abbiamo subito la conferma che Dalida ha visto Tenco ancora vivo., anzi ha avuto modo di rimanere con lui moltissimo tempo, quasi mezz'ora. Ma evidentemente è inutile insistere con i dipendenti dell'Hotel, voler conoscere altri particolari, nessuno parla per il preciso ordine della direzione di non lasciar trapelare più nulla. Non ci rimane dunque che ricostruire le ultime ore di quella notte con una paziente e puntigliosa inchiesta. I risultati, come vedremo, confermano in pieno le prime supposizioni attraverso una concordanza di testimonianze, di orari e di particolari che è quanto meno sorprendente.

Prima tappa. Andiamo dal portiere del Casinò Mario Bruzzone per sapere a che ora esattamente ha visto Tenco, Dalida e gli amici che si allontanavano su varie macchine, dopo l'esito delle votazioni: "Erano le 0,50. Ricordo di aver guardato l'orologio, non vedevo l'ora che finisse tutto".

Seconda tappa. Eccoci dal proprietario del ristorante "U' Nostromo", Marcello Romagnone, che vide arrivare la comitiva. "Avevano prenotato una tavolata, li aspettavo per mezzanotte e mezzo. Nell'attesa, mi misi a sedere su questo muretto che divide il ristorante da via Nino Bixio", ci dice indicandoci il punto."Arrivarono dopo venticinque minuti circa, all'una meno cinque. Dalida entrò senza Tenco che era rimasto sulla sua macchina a parlare con un amico. Sedette al tavolo e disse: "Non mi sento proprio di mangiare, portatemi solo un consommé".Aspettava Tenco ma quello non entrò, anzi lo vidi io, ancora in macchina, innestare la marcia e ripartire".

L'altro proprietario di "U' Nostromo", Gino Martina, prosegue il racconto: "All'una e un quarto circa suonò il telefono: era uno della casa discografica che voleva parlare con Dalida. Non so cosa si dissero, ma dieci minuti dopo Dalida, accompagnata da tre amici, lasciava il locale. Mi ricordo nitidamente questo particolare perchè disse, alzandosi: "Voglio andare da Luigi, devo tirarlo su di morale".All'una e venticinque, dunque Dalida si dirigeva verso l'albergo, che dista cinque minuti di macchina dal ristorante.

Il portiere del Savoia la vide salire frettolosamente in camera sua per cambiarsi di d'abito. A quale ora ridiscese e si diresse verso la camera di Tenco lo sappiamo attraverso la testimonianza registrata del guardiano notturno. Erano le due. Ma abbiamo voluto compiere un altro accertamento, terza tappa della nostra inchiesta: il commissariato.

"Signor commissario, quando Dalida è stata sottoposta all'interrogatorio della polizia ha precisato a che ora era entrata nella camera di Tenco?".

Il commissario gentilmente richiede il verbale e ci legge la parte che ci interessa: ""Dalida ha affermato d'essere entrata nella stanza di Tenco alle due-due e dieci".

Come mai la cantante s'è lasciata sfuggire questa dichiarazione, aggiungendo poi di aver visto Tenco già morto, se la morte di Tenco è avvenuta invece 20-30 minuti dopo, cioè alle due e mezzo?

Era opportuno a questo punto documentarci sull'ora esatta della morte ed ecco la nostra quarta tappa che ci ha portati nello studio del medico, chiamato d'urgenza quella notte, il dottor Franco Borelli.

"Ricevetti la telefonata alle due e mezzo"ci dice sicuro, "mi vestii in un baleno e corsi subito sul posto. Arrivai alle due e tre quarti, non più tardi".

"Secondo lei la morte risaliva a molti minuti prima?

"No di certo. Appariva evidente che era morto da pochissimo tempo, un quarto d'ora, venti minuti al massimo".



"La vidi con l'abito tutto sporco di sangue"



Quindi se Tenco non è morto prima delle 2,25 Dalida l'ha visto ancora vivo. Ci si può chiedere allora come mai la cantante non gli si sia buttata addosso per impedirgli di sparare. Ma anche a questo interrogativo ci potrebbe essere una risposta affermativa: Dalida può aver compiuto questo gesto. C'è la testimonianza di un giornalista che abbiamo interrogato, Mario Olivieri; occupava la camera 210, abbastanza vicina alla 219 di Tenco, e fu tra i primi ad accorrere all'urlo straziante di Dalida: "La vidi con l'abito tutto sporco di sangue, come il grembiule di un macellaio".Per ridursi così, certo gli si era stretta addosso.

"Ma questo non è possibile", ci hanno ribattuto alcuni inservienti dell'Hotel Savoia, "perché il corpo di Tenco è stato trovato disteso davanti allo specchio, proprio nella posizione di chi s'è ripiegato su se stesso senza intervento di estranei, con le gambe rovesciate all'indietro". 

Ma anche questa versione, ripetuta da tutti coloro che videro il cadavere alcune ore dopo il decesso, non collima affatto con quella di chi ha visto Tenco appena dopo il suicidio. E' lo stesso collega Olivieri che lo precisa e le sue parole sono esattamente uguali a quelle del dottor Franco Borelli e dell'autista della Croce Rossa Pierino Gastaldi ai quali abbiamo posto la stessa domanda: "Abbiamo visto Tenco lungo disteso per terra con il capo appoggiato al letto e le gambe allungate sotto il comò". Questo comò è a fianco del letto, mentre l'armadio a specchio è di fronte al letto stesso. C'è stata dunque una rimozione del cadavere? Certo, anche questo l'abbiamo appurato.

In una breve intervista di cui conserviamo la registrazione il custode del cimitero Giuseppe Norberti dice: "Tenco fu portato qui poco dopo il suicidio. Ma a un certo punto il carro funebre, prima che entrasse nell'obitorio, fece dietrofront e fu rimandato di nuovo a Sanremo, per ordine di una pattuglia di agenti". Evidentemente qualcuno s'era accorto che non erano state espletate tutte le formalità di legge.



"E quando è ritornato il carro funebre?"

"Circa due ore e mezzo dopo, alle 5,30"

E' umanamente spiegabile che l'Hotel Savoia si sia tanto affrettato ad allontanare il corpo di Tenco, un cadavere dà sempre fastidio. E' altrettanto comprensibile che oggi i dipendenti dell'hotel neghino questo viavai del feretro. "Tenco non si è mai mosso di qui", dicono.

Il guardiano notturno dell'albergo, per dimostrarci il suo zelo, aggiunge ad un certo punto: "Poco dopo il suicidio di Tenco, Dalida voleva andarsene via. Mandò da me due suoi amici i quali mi chiesero se c'era una porta secondaria per uscire senza essere vista. Io lo riferii subito agli agenti che dissero no, Dalida non può muoversi finché non sarà sottoposta all'interrogatorio e non verrà fatta stesura del verbale".

Un mese trascorso nella disperazione

Dunque la cantante aveva una gran fretta di allontanarsi senza dare spiegazioni di sorta. Quando è stata interrogata, s'è limitata a dire che aveva trovato Tenco esanime, per terra, e che aveva subito usato il telefono della camera per avvertire il portiere della tragedia. Non aggiunse nient'altro di rilevante. Perché?
Se è vera la nostra ricostruzione, il suo silenzio è facilmente interpretabile: non ha voluto spiegare il motivo per cui stava litigando con Tenco. E' strabiliante notare a questo proposito che fin dal 28 gennaio, cioè due giorni dopo il fatto, anche un'altra giornalista, Eliana Cosimini, aveva sentito vociferare di questo concitato colloquio tra Tenco e Dalida poco prima del suicidio e l'aveva riportato sul suo giornale dandone una spiegazione sentimentale: forse Tenco era geloso dell'ex-marito della cantante.
Se la lite c'è stata, a noi sembra invece più verosimile che sia da attribuirsi a motivi artistici. Un ragazzo che prima di morire scrive una lettera parlando soltanto della bocciatura della sua canzone, evidentemente non pensa all'amore: quindi è probabile che Tenco abbia accusato Dalida di aver insistito per farlo andare a Sanremo e che la cantante gli abbia ribattuto: "Se è andata così la colpa non è mia, ma tua, che hai cantato male".
Questo spiegherebbe anche il maggior rimorso provato da lei poco dopo, quando vide Tenco, esasperato, uccidersi davanti ai suoi occhi. Non sappiamo se Dalida, ormai completamente rimessa, vorrà dare una risposta esauriente a questi interrogativi, o se negherà anche quanto sarebbe trapelato in questi giorni a Parigi.
In ogni caso, se tacerà, sarà esclusivamente per il suo riserbo di donna, non certo per il timore di eventuali complicazioni giudiziarie. Il fatto che lei possa aver visto Tenco poco prima o poco dopo la morte non ha infatti alcuna importanza in questo senso, tutti sono concordi nell'ffermare che si è trattato di suicidio e i rilievi della polizia sono stati così esaurienti e precisi da non lasciare adito ad alcun dubbio.Ma questo stesso fatto, da un punto di vista psicologico, acquista invece un'enorme importanza e può finalmente spiegarci lo stato di estrema disperazione che si era impossessato di questa donna nel mese successivo alla tragedia, fino ad indurla a tentare a sua volta il suicidio. Spiega l'incapacità, per molti giorni, a ricantare quella canzone, spiega la visita al cimitero di Ricaldone, la visita alla madre del cantante, il cercare la morte nello stesso albergo parigino di Tenco. Ci fossero o no dei legami di tenerezza con lui, basterebbe pensare al ricordo di quell'ultimo misterioso colloquio, del volto disperato di lui, delle parole che lei non seppe trovare per fermare il suo gesto, di un sorriso donato o negato, per giustificare un trauma così violento e angoscioso.
Così acquistano altro significato anche le frasi spesso ripetute da Dalida dopo Sanremo: "Avrei dovuto confortarlo di più, avrei dovuto impedirgli d'uccidersi".

Roberto Buttafava



_IL RAPPORTO CON DALIDA


Per capire i reali rapporti tra tenco e la super diva Dalida, basta ricordare che contrariamente a quanto la gente credeva, i due non occupavano affatto la stessa camera del Savoy: Dalida era in una suite al secondo piano, mentre Tenco e gli altri sciagurati (tra cui il genialoide Dalla), erano relegati in un piano nel sottoscala, con le finestre che erano solo delle luci, buie e tetre. (nota mia).

La questione dei reali rapporti tra Tenco e Dalida è stata a lunga dibattuta. Secondo alcuni, tra i due era nata una relazione che superava il puro impegno di lavoro.
Più arduo definire i limiti di questa relazione. Certo, Dalida sembrava innamorata del bel tenebroso cantautore italiano, e probabilmente lo era davvero.
Al contrario, è difficile capire quali sentimenti Tenco provava per la collega, specie alla luce delle lettere che il cantautore aveva inviato a Valeria.
In una di queste, scritta il 18 novembre 1966, si legge testualmente:

Ho tentato in tutti i modi, ho passato delle notti intere (aspetta un attimo!) a bere, a cercare di farle capire chi sono, cosa voglio, e poi... ho finito col parlarle di te, di quanto ti amo. Che gran casino, vero! Certo, lei si è dimostrata molto "comprensiva", ma mi ha detto che ormai dovevamo portare avanti questa "assurda" faccenda agli occhi degli altri. È una donna viziata, nevrotica, ignorante, che rifiuta l'idea di una sconfitta, professionale o sentimentale che sia.
Dopo aver letto queste considerazioni di Tenco, non si può fare a meno di rimanere stupiti pensando alla rivelazione fatta da Marco Simone e Paolo Dossena, della casa discografica Rca, secondo i quali Tenco e Dalida avevano annunciato loro l'intenzione di sposarsi, subito dopo il Festival di Sanremo...
Leggendo le lettere a Valeria, non si direbbe affatto...
Il mistero si infittisce, se consideriamo che Tenco scrisse a Valeria il 16 gennaio 1967, alla vigilia del Festival, un invito a compiere insieme una vacanza in Kenya:

Appena avrai discusso la tesi faremo una cosa che non abbiamo fatto ancora, ce ne andremo per un periodo di tempo, tu ed io da soli. Andremo... in Africa... in Kenia.
Guarda nel secondo cassetto della scrivania e comincia a fare qualche programma. Tesoro, avremo i giorni e le notti tutte per noi: potremo parlare, prendere il sole, fare l'amore, dimenticare i problemi che abbiamo vissuto, le angosce, i momenti bui. Potremo riscoprire il senso della vita.
Cosa avesse davvero intenzione di fare Luigi dopo il Festival (partire per il Kenya con Valeria oppure sposare Dalida) non lo sapremo mai. (nota mia: rientra nella componente istrionica del vistoso Disturbo Narcisistico di Personalità di cui era certamente affetto il nostro. Fascino superficiale, estemporaneità ed evanescenza dei pensieri, incoerenza, contraddittorietà, impulsività differente da quella della personalità border o ossessiva eccetera).
È comunque innegabile che l'ultimo capodanno della sua vita Tenco lo trascorse in compagnia di Dalida, così come testimoniato da Danilo Degipo, amico fin dall'adolescenza del cantautore: durante l'esibizione di Tenco al Veglione di Capodanno alla Casina Valadier di Roma, Dalida era presente in sala. Terminato lo spettacolo, Tenco tornò di corsa in albergo, dove l'attendeva la cantante francese e si sedette al tavolo da poker:"Luigi giocò forte", conferma Degipo.

(nota mia: alla Valadier, Tenco si ostinò a voler cantare una serie di canzoni del suo repertorio, del tutto fuori contesto in una serata di fine anno, facendo corrucciare gli organizzatori e molti ospiti).
Tuttavia, la autenticità delle lettere a Valeria, pubblicate nel gennaio 1992, viene confermata da un articolo apparso nel magazine argentino "Canal Tv" del febbraio 1967. Leggendo il reportage di Sandro Paelli, inviato al Festival del 1967, scopriamo che in Argentina si sapeva dell'esistenza di una misteriosa fidanzata di Tenco, e questo 25 anni prima rispetto all'Italia.
Sandro Paelli descrisse un ambiente festivaliero dove circolava questa voce e chiunque, perfino un assistente della Rai-Tv, sapeva della ragazza. E quando Paelli provò ad affrontare l'argomento, durante una intervista, il cantautore rispose bruscamente che erano affari suoi e che non intendeva parlarne. E con questa risposta, l'intervista fu interrotta.
Inoltre, l'articolo di Paelli contiene anche una cosa che davvero non ci saremmo mai aspettati di leggere: una dichiarazione di Dalida sulla ragazza di Luigi Tenco, che potete leggere anche nella versione originale in spagnolo:

Dalida, amica intima di Tenco, con gli occhi gonfi di lacrime, mi confessò:
- È una copertura quella che ora vogliono stendere. Vogliono creare l'immagine dell'idolo che non sopporta il fracasso e si ammazza. La verità è un'altra. Credo che la verità di questa morte ingiusta la conosca solo Dio e quella donna che non seppe quanto Luigi era innamorato di lei.
Si noti che le parole di Dalida hanno un punto in comune con una frase della seconda lettera di Tenco a Valeria:
Ho tentato in tutti i modi, ho passato delle notti intere (aspetta un attimo!) a bere, a cercare di farle capire chi sono, cosa voglio, e poi... ho finito col parlarle di te, di quanto ti amo.
...segno che la circostanza avvenne veramente.
A questo punto, sembrano non esserci più dubbi sul fatto che il cuore di Luigi Tenco non battesse per Dalida.
A conferma di ciò, possiamo leggere ciò che Teresa Zoccola, la madre di Luigi Tenco, disse nella sua prima intervista del marzo 1967, due mesi dopo la morte di suo figlio:

"Mio figlio e Dalida erano buoni amici. Nient'altro. Luigi non si è ucciso per amor suo. E Dalida non voleva morire perché senza di lui non si sentiva più di vivere. Fra loro, creda, non c'erano amori segreti o impossibili. Queste sono tutte storie inventate, ignobili speculazioni che vengono fatte con il nome del mio ragazzo"
[...]
"Non andavano d'accordo loro due. Lei era una diva, esattamente l'opposto delle ragazze semplici e spontanee che piacevano a mio figlio. Luigi faceva fatica a lavorare insieme a lei. «Le dive come Dalida», mi aveva detto Luigi prima di partire per Sanremo, «non sono delle donne, mamma: non sono naturali, non sono umane. Non immagini che fatica faccio a lavorare con lei». Dalida questo lo sapeva. «Non m'importava», mi ha detto. «Gli volevo bene lo stesso. Gliene volevo molto. E a Sanremo cercavo di stargli vicino; io lo andavo a cercare, volevo parlare con lui: era così buono, onesto, generoso Luigi e mi faceva bene stare in sua compagnia». Non credo fosse innamorata di mio figlio, ma aveva molta simpatia per lui, forse un mezzo sentimento".
Come si concilia dunque un uomo innamorato con un uomo che fa queste confidenze a sua madre?

Gli amici di Tenco, che furono testimoni oculari del suo rapporto con Dalida, si dividono in due categorie: chi si dice certo sull'autenticità della storia d'amore tra i due protagonisti, e chi invece liquida la storia come uno dei tanti flirt del cantautore.
Gianfranco Reverberi ha riferito a Renzo Parodi di ritenere che tra i due sentimentalmente "ci fu qualcosa. Spesso accade che dalla collaborazione artistica scattino meccanismi di innamoramento".
Gino Lavagetto invece è certissimo che la storia fosse solida e vera. Così dice a Renzo Parodi:

"Non fu affatto un espediente pubblicitario per lanciare la canzone di Sanremo. Era una storia d'amore cominciata qualche mese prima, una storia molto bella. Lo vedevo molto convinto, Luigi, di quella nuova compagna. Non ricordo se parlò mai di matrimonio, sull'argomento entrambi in linea di principio eravamo contrari, difatti io non mi sono mai sposato. Luigi pensava al matrimonio come ad un contratto e non gliene importava nulla"
Anche Sandro Ciotti, nella sua autobiografia, la pensa così:
"E poi c'era la storia con Dalida [...] era una ragazza molto simpatica, molto estroversa, e proprio per questo molto diversa da Luigi. Nonostante Luigi fosse molto innamorato, la loro storia non poteva durare: i loro caratteri erano diametralmente opposti"
Infine, sempre Renzo Parodi riferisce di un Ruggero Coppola che invece "esclude che Tenco fosse innamorato della collega. Secondo lui semmai era Dalida ad essersi presa una sbandata per il bell'italiano bruno e intrigante". Tiriamo le somme, per quanto ci compete. Personalità di Tenco. Allora, iniziamo rapidamente a tracciare il profilo del funzionamento personologico di Luigi Tenco. Intanto, il suo rifiuto ma anche il suo interesse per la figura del padre, mai accettato e al contempo, anche cercato, almeno per un periodo di tempo.



Poi la sua tendenza al rapido cambiamento di umore, che par di capire si muove costantemente (oscilla) da un polo alto a uno assai basso, con scalini di notevole intensità.

Poi la sua abitudine a prendere sonno tramite l'uso di psicofarmaci ad effetto rilassante, nel caso usa il Pronox, un pesante ipnoinducente, usato anche per favorire l'anestesia, che produce dopo poche settimane di uso continuato, una notevole dipendenza. Usa anche altre sostanze, sempre in combinazione con abbondanti dosi di superalcolici (nella stanza dell'albergo, fu trovata una bottiglia vuota di grappa e la scatola del Pronox). Ma dopo aver letto Le Porte della Percezione, ha usato anche Lsd, aspirina e Coca Cola.

Cambia tre facoltà e da tre esami.

Litiga con Paoli, strappandogli la Sandrelli per dimostrare che Anna (sua moglie), e compagna di scuola di Tenco, non meritava un tradimento per una tipa come la Sandrelli, considerata una puttanella.


Dopo il tentativo di suicidio di Paoli, rimasto fuori della porta dell'ospedale in ansia, Tenco si presenta al bar dove si ritrovano i quattro amici al bar, e dice a Lauzi (dal momento che Paoli non gli ha più parlato), che se voleva riprovarci, lui aveva sempre con sè l'occorrente e gli mostra la pistola.


Luigi Tenco è un accanito giocatore di poker amante dell’azzardo; ha il complesso delle braccia corte e del collo taurino. Spesso ha relazioni con donne sposate e in più di un’occasione ruba le fidanzate degli amici. Ha paura dei tuoni e del buio (dorme spesso con la luce accesa)
Inventore di una speciale radio per sub; all’università aveva stupito un docente presentando una soluzione personale per un difficile teorema; intenzionato ad allestire nella propria abitazione uno studio di registrazione per mandare i suoi lavori finiti alla casa discografica. Ama i gatti, ma alleva solo cani.

Ha la mania delle armi: possiede un fucile e tre pistole (una carabina Beretta 22 modello Olimpia, un revolver Arminius calibro 22, una Dwp P08-Luger calibro 7.65 Parabellum, una Walter Ppk). Enzo Jannacci lo ricorda, in giro per Milano, portarsi sempre dietro qualche libro di Pavese e una rivoltella.

«Burlone e incline allo spleen, vocato allo sfottò ma non ad esserne bersaglio».

 [Cesare Romana, il Giornale 23/1/1997]



Tenco: soldi e droga

Nel 1966, solo di diritti Siae, Luigi Tenco guadagna sei milioni di lire a semestre. In quel periodo, incuriosito dal libro Le porte della percezione di Aldous Huxley, inizia ad assumere Lsd e mescalina, pur non diventandone dipendente. Per tenere a bada la paura del palcoscenico, invece, si affida a metredina (composta da aspirina e Coca Cola, o aspirina e alcol) e alle compresse di psicofarmaci (Pronox). Di se stesso diceva: «Ho la paga di un sergente e i vizi di un generale».

(per inciso, sembra certo che Tenco sia entrato in contatto anche con la droga del momento, LSD.

Le donne, ne ha molte, rapporti superficiali e spesso sessuali, e le donne sono attratte dal bel tenebroso, irritabile e sorprendente Tenco, quindi non fa fatica a trovarne quante ne vuole. Mai legami seri, duraturi, a parte Valeria.


Dalida


A Roma per incidere Pensiamoci ogni sera: «Appena posso scappo al bar, dove capita l’occasione che mi presentino Luigi. Lo vedo e resto come colpita da un lampo paralizzante. (…) La stretta di mano di Luigi equivale a una scossa elettrica. Divampa subito la passione. Entro in quel fiume di emozioni alla stregua di un ruscello che non può sfociare altrove. Sono irresistibilmente attratta da lui. Insieme facciamo passeggiate romantiche mano nella mano. Andiamo al cinema o in qualche pizzeria oppure tiriamo tardi in casa di Miranda Martino il cui uomo è Lavagetto, ligure come Tenco. E proprio li io e la Martino esortiamo Luigi a essere un artista meno intransigente. “Bisogna sempre scendere un po’ a compromessi nell’ambiente in cui si lavora e dove si vuole trovare fortuna”, gli ripetiamo. Ma a queste parole, di colpo svanisce la sua allegria. “Ah, io dovrei cercare nuovi rapporti con la società? Ma neanche per sogno! Mica sono una donna di spettacolo come voi”». Dalida è sempre più innamorata: «Mi sento completamente alla deriva, in balia di un sognatore imprendibile. Mi regala il ricordo più bello: una notte non bada a percorrere 600 chilometri in macchina per veder spuntare l’alba assieme a me. Il nostro rapporto è incatenante. Chi ci conosce bene dice che sembriamo gli unici amanti su questa terra». [Gianni Melli, Oggi gennaio 1987]
Dalida e Tenco insieme anche a San Remo
Nell’autunno del 1966 il direttore artistico della Rca, Ennio Melis, insieme a un altro funzionario della casa discografica, Mario Cantini, vanno a Parigi per raggiungere Dalida: inaspettatamente si trovano davanti Luigi Tenco che scende le scale di casa portandola in braccio per via di una frattura alla caviglia. Tenco dice di voler partecipare al Festival di Sanremo, Dalida è entusiasta, accetta di cantare con lui a Sanremo, quelli della Rca cercano di farlo desistere, inutilmente.
Luigi Tenco e Dalida sono inseparabili, ma lui continua a scrivere a Valeria, che aspetta un figlio da lui, e le chiede di sposarlo. La ragazza vuole almeno laurearsi e lascia in sospeso la questione. Tre giorni dopo la proposta di matrimonio Valeria incontra Tenco e Dalida a cena in un ristorante romano: non vuole più sapere niente di lui. Tenco cerca di rimediare, le scrive delle lettere. Dapprima è furioso: «Pensi proprio che potrà finire qui? C’è quel figlio mio che tu ti sei portata via. Hai intenzione di allevarlo da sola, infischiandotene di me, e di impedirmi magari di vederlo, come se io non avessi alcun diritto su di lui? Scordatelo. Io non lo permetterò mai, come non permetterò che possa portare un cognome che non gli appartiene» (6 novembre 1966). 
Valeria però viene investita da un’auto e perde il bambino. Nelle lettere successive Tenco cambia tono: «Amore mio, Adriana ha promesso di farti avere questa lettera: ti prego, leggila, mi è costato scriverla, ammettere la mia stupidità, la mia presunzione, le mie debolezze, la mia ingenuità. Sono solo un uomo, e non tra i migliori, se mi sono lasciato trascinare in questa situazione assurda e non ho la forza e la volontà di uscirne, perché se lo tentassi ne sarei distrutto, comunque. Io ho sbagliato tutto nella mia vita, l’unica cosa giusta, pulita sei stata tu e a te non voglio e non posso rinunciare. Ti ho detto mille volte ti amo, ma non ti ho mai detto scusami (è una parola che non vuoi sentire!) per i miei tanti difetti, per non aver la forza di uscire da questo ambiente ipocrita, falso, spietato in cui domina il compromesso. Perché sono una nullità. 
Mi hanno promesso il “paradiso”: mi sento sull’orlo di un baratro. Come ho potuto arrivarci! Accidenti a te, perché non hai avuto fiducia in me, perché non mi hai detto di sì. È tutta colpa mia: io ho permesso a quella donna di costruire tutta questa storia, mi sono prestato al suo gioco, perché da idiota io lo credevo solo un gioco. Tenco e Dalida, la coppia vincente del prossimo festival. Che notizia golosa per i giornalisti! Io ho permesso agli altri di ricamarci sopra (ma se mi conoscessero veramente, come potrebbero crederci?). E poi, poi, quando tu te ne sei andata ho pensato di poter fare l’amore con lei, per punirti, per ferirti come tu stai ferendo me. 
No! Non ha funzionato. Ho tentato in tutti i modi, ho passato delle notti intere (aspetta un attimo!) a bere, a cercare di farle capire chi sono, cosa voglio, e poi... ho finito col parlarle di te, di quanto ti amo. Che gran casino, vero! Certo, lei si è dimostrata molto “comprensiva”, ma mi ha detto che ormai dovevamo portare avanti questa “assurda” faccenda agli occhi degli altri. È una donna viziata, nevrotica, ignorante, che rifiuta l’idea di una sconfitta, professionale o sentimentale che sia. E ora non so più come uscirne. Tesoro mio, qualunque cosa tu possa sentire o leggere, credimi, abbi fiducia in me. Ti prego, ora basta: torna, ho bisogno di te: non ti chiederò nulla, non voglio sapere nulla. Ti amo tanto e ti voglio disperatamente». 

 Il 31 dicembre 1966, scritturato per il veglione di fine anno alla casina Valadier a Roma, Luigi Tenco si incaponisce a cantare Ti ricorderai di me, in contrasto con l’atmosfera di allegria generale. A metà serata un’altra pretesa: per continuare a cantare esige immediatamente il suo cachet (devono fare una colletta per soddisfarlo). Poi, non ottenendo l’attenzione del pubblico, si alza dal pianoforte e strilla: «Mettetevi in culo quelle trombette!».
All’arrivo a Sanremo, Tenco telefona alla Rca, a Roma, perché qualcuno gli porti la sua auto, parcheggiata nel recinto della casa discografica. Nel cassetto della macchina tiene una pistola. Qualche ora dopo il suo arrivo, chiama il direttore della Rca, Melis, per riferire gli umori della stampa: gli sembra che tutti siano d’accordo nel dire che vincerà lui. Verso sera i produttori musicali Paolo Dossena e Mario Simone vengono chiamati da Tenco e Dalida nella camera di quest’ultima: annunciano che si sposeranno entro un mese al massimo.
Tenco, finito di provare e litigato col direttore d’orchestra Giampiero Reverberi (suo amico dai temopi di Genova, Nota mia) colpevole, secondo lui, di averlo fatto sbagliare, va a giocare alla roulette al casinò. Vince seimila lire. Sulle scale insieme a Dalida lo aspettano i fotografi, ma passa quasi inosservato perché la diva è lei. 
 In attesa del suo turno Tenco confida al conduttoreMike Bongiorno che vorrebbe trovarsi sott’acqua, in profondità. Quando arriva il suo momento sono circa le dieci e mezza. È in preda al panico. Mike Bongiorno gli fa coraggio, quasi spingendolo sul palco, lui farfuglia: «Questa è l’ultima canzone che canto». Finito di cantare è stravolto, pallido, gli occhi scuri febbrili. Qualcuno si complimenta con lui ricordandogli che invece alle prove era stato un mezzo disastro. Al medico del casinò, Rinaldo Ferrero, dietro le quinte: «Ciao, dottore». Ha gli occhi sbarrati, forse ha preso qualcosa. Si dirige nel reparto trucco, presso i camerini, proprio sotto al palco, si sdraia su un tavolo e si addormenta.
 I discografici Dossena e Simone, insieme al regista Piero Vivarelli, svegliano Tenco per comunicargli l’esclusione. Non sembra arrabbiato. Gli dicono che alzeranno un polverone, proprio come era accaduto l’anno precedente per Il ragazzo della via Gluck di Celentano. Comincia a gridare, impreca, si altera, se la prende con tutti. Lo raggiunge Dalida, vanno a discutere in un sottoscala adibito a deposito di bottiglie. Dopo poco li raggiunge un giovane fotografo, Renato Casari, inviato dalla Domenica del Corriere: gli scatta delle foto, riesce persino a farlo sorridere dicendo che Modugno e Villa hanno vinto e quindi prima o poi arriverà il suo turno.
Ore 0.20. Luigi Tenco esce dal casinò e manda al diavolo delle ammiratrici che gli chiedono l’autografo. Prende l’auto e fa salire Dalida, parte sgommando e per poco non investe Pettenati: sono diretti al ristorante Nostromo, per una cena organizzata dalla Rca. Dalida, spaventata, lo fa fermare e scende in attesa di un altro passaggio. Tenco si va sdraiare su un sofà del foyer del casinò. Lo svegliano per chiedergli di portare fino al locale la moglie di un funzionario della casa discografica. Accetta, ma la donna dopo pochi metri lo fa fermare e scende dicendo agli altri: «Mi dispiace, ma io ho dei figli». Con lui sale di nuovo Dalida, la porta al ristorante e se ne torna indietro, all’albergo. Dopo qualche minuto quelli che sono a cena al “Nostromo” sono preoccupati per come hanno visto Tenco guidare. Telefonano all’hotel: il cantante è rientrato. 
Mancano pochi minuti all’una. Luigi Tenco è nella camera 219, nella dépendance dell’Hotel Savoy: Tenco telefona al produttore Melis, che tanto l’aveva scongiurato di non partecipare al Festival: questi si fa negare (vuole la linea libera: sua madre è in ospedale e versa in gravi condizioni). Allora telefona a Valeria, la ragazza romana che ama in segreto e che stava per dargli un figlio, prima di essere investita da un’auto e abortire. Tenco ha la bocca impastata, è agitato e stanco, le dice di aver litigato con Dalida ma non racconta di aver annunciato solo il giorno precedente il matrimonio con la cantante. Poi lentamente si calma. Si danno appuntamento: lui vuole guidare fino Roma, ma la ragazza gli chiede di andarla a prendere all’aeroporto di Genova, tra qualche ora. Parlano del viaggio in Kenya, da fare dopo che lei avrà discusso la tesi a marzo. Vogliono comprare un casolare a Cori, nella campagna romana. Andranno a vivere lì. Parlano del figlio perso, ma sono giovani, ci riprovereranno. È sicuro che dietro alla sua esclusione ci sia una combine: non vede l’ora di dire tutto in una conferenza stampa, domani. Riaggancia. 
Ore 1.25. I proprietari del ristorante “Nostromo” vedono Dalida andare via insieme ai discografici Dossena e Simone.
Ore 2.10. Dalida va a vedere come sta Tenco, trova la porta accostata, le chiavi nella toppa esterna. Bussa, da dentro nessuna risposta, entra. La luce è accesa, Tenco sdraiato a terra immobile, vestito con l’abito scuro e una camicia bianca un po’ aperta. Dalida caccia un urlo. Di corsa dalla stanza accanto arriva Lucio Dalla, poi Dossena e Simone. Trovano Dalida in ginocchio accanto a Tenco, lo tiene abbracciato sollevandolo per il busto. La donna si alza col vestito imbrattato di sangue e scappa dalla stanza nel corridoio, gridando. 
Ore 5.20. Viene interrogata Dalida poi la lasciano ripartire per la Francia insieme al fratello, Bruno Gigliotti, e l’ex marito, Lucien Morisse, arrivato a Sanremo la sera prima, la stessa in cui era venuto a sapere della relazione tra Dalida e Tenco. 
Lunedì 12 dicembre 2005
 La procura generale di Sanremo dispone la riesumazione del corpo di Luigi Tenco per effettuare nuovi esami.
Mercoledì 15 febbraio 2006
Tenco s’è ucciso: il caso è chiuso
 In seguito all’autopsia sul cranio di Tenco viene trovato il foro d’uscita del proiettile che si credeva fosse rimasto nella testa. La procura generale di Sanremo conferma la tesi del suicidio e chiude il caso.

Fonti: Aldo Fegatelli Colonna, Luigi Tenco. Vita breve e morte di un genio musicale, Mondadori, 2002; Gigi Ghirotti, La Stampa 27-28/1/1967; Gianni Migliorino, Corriere della Sera 31/1/1967.




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CONCLUSIONI



La personalità di T mostra chiari segni di oscillazione grave dell'umore, non compensata da cure, e aggravata da uso di farmaci ad effetti deprimenti, con dipendenza e astinenza. Inoltre, uso di alcol e altre sostanze, compreso Lsd, certamente sostanza ad effetti devastanti su un terreno predisposto.
Non sono in grado di precisare se trattasi di disturbo bipolare, ma certamente una forma ciclotimica è ben riconoscibile, con evidenti effetti disforici e di rapido rovesciamento di stato, compresi profondi effetti depressivi, sia pure di breve durata.
Sono riconoscibili, sempre stando alle descrizioni che leggiamo, tratti tipicamente ossessivi, probabilmente più riferibili ad aspetti paranoici di personalità, non acuti ma certamente ben presenti e in grado di accentuarsi a seconda dello stato del momento.
Non sembra apprezzarsi deliri, ma è probabili che momenti sub deliranti siano stati più volte presenti nel funzionamento psichico del T.
Sono presenti in modo direi comorbidante, chiari segni di tendenza al rischio, al gioco d'azzardo, all'abuso di alcol e sigarette, di sostanze e di altri aspetti comportamentali, forse compresa la guida spericolata (anzi, per testimonianze De Relato, sono certi).
La passione per le pistole rientra in questi aspetti ossessivo- paranoidei. Non va dimenticato che il T. aveva riferito spesso negli ultimi tempi (ma l'abitudine era di vecchia data), di sentirsi minacciato, seguito e per questo giustificava il portarsi dietro la sua pistola, da cui era quasi inseparabile (al punto che fa riportare la sua spider probabilmente perché  si è ricordato che aveva lasciato la pistola nel cruscotto).
Conclusioni sulle circostanze della morte (del tutto soggettive):
probabilmente, il T. già da ore sotto effetti di forte stress, insonnia, uso di sostanze e alcol, si è trovato in uno stato di notevole disforia, con momenti di lucidità alternati ad altri più vicini a quelli di uno stato pseudo crepuscolare (intendo con notevole ottundimento dello stato di percezione cosciente dell'ambiente). 
Tutto si spiegherebbe molto meglio se Dalida fosse entrata nella stanza, e dopo aver di nuovo visto la donna, il T. abbia di nuovo innescato un suo stato rivendicativo, sempre in ottundimento di vigilanza e coscienza. In questo stato fortemente alterato, è assai probabile che per rispondere ad una sollecitazione interiore, in risposta ad un alterco con Dalida, il T, abbia afferrato l'arma che teneva vicino e d'impeto abbia fatto fuoco alla tempia. (Sapppiamo che al Nostromo, giunge una telefonata che avverte che Tenco non sta bene: lo sappiamo e sappiamo che Dalida impiega circa 40 minuti per raggiungere il Savoy e poi dopo essersi cambiata scende nello scantinato da Tenco).

Quindi Dalida sarebbe stata presente e potrebbe aver dato una risposta del tipo: - non mi importa di quello che vuoi fare, non mi fai paura- A quel punto, T, avrebbe agito.

Oppure, Tenco abbia atteso l'arrivo di Dalida, iniziando un gioco tragico, cui la donna non è stata capace di porre termine, per timore o altro. La conclusione potrebbe essere andata oltre la volontà precisa del T, che inavvertitamente avrebbe fatto partire il colpo mortale.

C'è però un unico punto per me veramente problematico, che però non si è in grado anche qui, di conoscere nella sua precisa e puntuale evenienza.

La testimonianza di Sandro Ciotti, giornalista legato al mondo del pallone ma conosciuto nell'ambiente per essere diplomato in violino e per aver messo mani come autore a diverse canzoni di successo. Ciotti era nella stanza contigua a quella di Tenco e Dalida, mentre Dalla era in quella del lato opposto. 
Ecco cosa dice Ciotti, che è persona dotata di grande sensibilità, memoria e onestà:
... nessuno sentì lo sparo, e quando mi accorsi del trambusto, con Dalida che urlava, uscito nel corridoio, la prima cosa che vidi era Dalida che si disperava, si chinava su Tenco steso a terra di fianco al letto e poi era rialzata da Dossena e l'ex marito, Lucien Morisse (poi morto suicida nel 1971 con colpo di pistola alla tempia come Tenco), da cui era divorziata dalla notte dei tempi, ma di cui era rimasta amica (lei lo aveva sposato anche perché lui era stato il suo pigmalione e inventore artistico della prima vita di Dalida come cantante e personaggio pubblico) continuava a disperarsi, con un foglietto in mano, che poi viene preso da.... e consegnato a Molinari, (foglietto che si vede benissimo dall'analisi possibile da tempo con la scansione elettronica, essere in due fogli e non ripiegati, quindi...).
Dopo un'ora, appena ascoltata frettolosamente dal Molinari, firma un verbale di deposizione e  sempre sotto braccio a Morisse, si allontana dall'albergo, sale sulla sua auto e Morisse quasi la scorta in tutta fretta fuori dal territorio italico, per entrare in Francia, attendere le 8 di mattina in un piccolo aereoporto, salire su un Charter privato e volare verso Parigi per far rientro nella sua casa. Nota bene: Dalida non partecipa manco per la capa ai funerali del suo amato e non rietra in Italia se non per  partecipare quasi due anni dopo alla Rai, che conferma il suo trionfo commerciale e artistico.

Ora, da quanto sapevamo con certezza, Dalida era a cena con i dirigenti della Rca, e altre persone della cerchia dell'industria del disco e del business, oltre a un fotografo del gruppo, mentre Morisse era a cena in un locale non molto distante ma non era con loro (ovviamente, dato che doveva esserci anche Tenco, che invece rientrò in albergo a sbollentire gli spiriti). Certamente, Morisse era a Sanremo più che per motivi di lavoro (era sempre  uno del giro), era presente per Dalida, di cui era sempre stato innamorato, nonostante la separazione dopo pochi mesi di matrimonio e il divorzio dal '64 credo.

Ora, mancano le connessioni certe tra come finisca Morisse nel corridoio con Dalida e Dossena, (oltre a Mario Simone, altro dirigente Rca) appena escono lo stralunato e sconvolto Dalla (che non ricorda nulla dal trauma psicologico che riporta), e Ciotti, oltre a molta altra gente del piano, che riferiscono di aver notato il Morisse. Ciotti è l'unico che lo dichiara non subito, solo dopo molti anni, ma solamente perché nessuno lo aveva interpellato. Diversa è la faccenda per Dossena (amico di Dalida più che di Tenco), che non ha mai accennato direttamente alla presenza di Morisse (però Dossena è uno che si schiera per la tesi dell'omicidio mascherato).
Dossena ad un certo punto prese Dalida per il braccio e la portò nella stanza sua al primo piano, la 104, per sottrarla alla presenza di tutta la gente che accorreva.

Qui, l'intervista di Ciotti nel 1962 a un giovane Tenco, conosciuto per una canzone sdolcinata, alla Umberto Bindi, dolce e sciropposa, con arrangiamento lezioso, non il vero Tenco che sentiremo poco dopo.______________
http://luigi-tenco.tripod.com/interviste.htm

Morisse, si diceva, e anche l'ora dell'esame del corpo da parte del medico, che arrivò attorno alle 2,45, mentre Dalida afferma di essere arrivata tra le 2 e le 2,15.

Morisse, come diavolo finisce in quel corridoio quando Ciotti esce dalla stanza e si affaccia nel corridoio a sua volta? Mancano le conoscenze e le mosse di Morisse, ma sappiamo che nessuno si è mai preoccupato di lui, quindi qualsiasi speculazione sarebbe solo una illazione offensiva verso un uomo poi suicidatosi (e anche qui il suicidio di Morisse non è mai stato indagato dalle autorità francesi, quindi non sappiamo quali circostanze lo abbiano determinato).

Chi l'ha chiamato? Non c'era Orlando, fratello di Dalida, e la cugina a proteggerla? Perché proprio Morisse la fa praticamente espatriare in tutta fretta, con in macchina sempre il solito Dossena?


Perché sempre il Dossena, conferma di nuovo nel 2010 che il biglietto era fasullo (lo aveva detto a lui la notte stessa, Orlando)?

Ma c'è un punto che non si spiega bene: il biglietto. Dalida lo tiene in mano, poi va nella stanza 104 e lo ritroviamo nelle mani di Dalida di nuovo all'arrivo di Molinari, o secondo altri, vicino a Tenco. In ogni caso qualcosa non torna, ma si tratta di sciatterie testimoniali, i soliti risaputi cronici problemi del De Relato, cui siamo ormai abituati e ben esperti.

I movimenti di Morisse non sembrano mai essere stati controllati e verificati in via ufficiale ma sappiamo che verso le 23,30 era in un ristorante a venti minuti circa dall'albergo di Tenco, quindi ha avuto tutto il tempo per raggiungerlo dopo l'una. Poi c'è il fatto che Morisse possedeva una pistola identica a quella di Tenco, pistola con la quale poi alcuni anni dopo si farà saltare le cervella.


Ma di tutta la vicenda, quello che mi spiego meglio è il fatto che Dalida sia stata spinta a filarsela via dal suo clan, compreso Morisse, per ovvi motivi di facciata: infatti il rischio che venisse a galla il legame tra i due era alto e non si voleva compromettere l'immagine da brava ragazza della cantante e attrice (farà un film con Alberto Lupo, una specie di storia del pittore Tancredi Parmeggiani, e della sua tragica vita, terminata inutile dirlo con un suicidio (colpo pistola).


E' difficile credere che la storia tra Dalida e Tenco si stava per avviare ad un matrimonio ufficiale, per quanto tenuto nascosto a tutti, compreso Orlando e Valentino. Dalida si infatuava rapidamente ma poi pur restando in qualche modo attaccata ai suoi ex uomini, finiva per infatuarsi di altri, come già ampiamente accaduto.


L'intervista di Sandro Mayer, allora giovanissimo croniquer di spettacolo, con la madre di Tenco.


Di Sandro Mayer


Recco, marzo 1967

"Mio figlio e Dalida erano buoni amici. Nient'altro. Luigi non si è ucciso per amor suo. E Dalida non voleva morire perché senza di lui non si sentiva più di vivere. Fra loro, creda, non c'erano amori segreti o impossibili. Queste sono tutte storie inventate, ignobili speculazioni che vengono fatte con il nome del mio ragazzo".

Così mi dice la madre di Luigi Tenco, dopo avermi fatto accomodare nel soggiorno della villa di Recco, dove abita. È la prima volta, dopo la tragedia di Sanremo, che accetta di parlare con un giornalista: finora non ha mai voluto vedere nessuno, all'infuori dei familiari e degli amici più cari del figlio. Dalla villa non è più uscita, nemmeno per andare una volta a Ricaldone, dove è sepolto Luigi Tenco: è malata di cuore e i familiari cercano di evitarle ogni ulteriore emozione. Quando le hanno detto che Dalida aveva ingerito una forte dose di barbiturici, è rimasta a letto, sconvolta, per un giorno intero; poi, quando si è ripresa, ha pregato suo figlio Tino di andare a Parigi e di stare vicino ai familiari della cantante.

"Stanno vivendo la nostra stessa tragedia", mi dice la signora Tenco, "e sono sicura che le parole di uno di noi saranno di conforto. È per questo che ho voluto che Tino andasse a Parigi, non perché pensavo che Luigi fosse innamorato di Dalida".

"Signora, mercoledì scorso Dalida è stata al cimitero di Ricaldone e si è fermata a lungo davanti alla tomba di Luigi, poi è venuta a farle visita ed è stata qui un giorno intero. Due giorni dopo ha cantato in una trasmissione televisiva "Ciao amore ciao", indossando lo stesso abito con il quale si era presentato al Festival di Sanremo: appariva emozionata e commossa a tal punto, che molti l'hanno accusata di opportunismo, di volersi fare della pubblicità di pessimo gusto. Due giorni dopo, esattamente a un mese di distanza dalla morte di Luigi, invece si è rinchiusa nella camera di un albergo di Parigi e ha ingerito una forte dose di barbiturici: queste dolorose coincidenze hanno fatto pensare a molti che il gesto di Dalida avesse relazione con il suicidio di suo figlio. Lei ha parlato a lungo con Dalida, signora; forse è l'unica che può spiegare il gesto della cantante. Può dirmi perché Dalida è venuta a farle visita?".

"È venuta qui, come tanti altri, per farmi le condoglianze. Aspettavo la sua visita da un momento all'altro, con ansia. Avevo bisogno di vederla e le avevo scritto che se fosse venuta a trovarmi mi avrebbe fatto un piacere immenso".

"Perché, signora, voleva vedere Dalida?".

"Perché era la persona che a Sanremo era stata più vicina a Luigi: lei lo aveva visto vivo per ultima e lei lo aveva visto morto per prima. Vede, in quei giorni la verità mi fu tenuta nascosta. Mi dissero che Luigi era morto in un incidente d'auto. Venni a sapere, leggendo i giornali, che si era ucciso. Poi Tino mi parlò della fine di Luigi, ma lui non era stato là quella notte. E io avevo bisogno di sentire da Dalida quel che era successo. Appena arrivò, si scusò di non essere venuta da me prima. «Perdoni, ma non mi sentivo», mi disse. «Sono rimasta terrorizzata da quel che è successo e ne ho riportato un terribile shock»".

"Prima di allora, signora, non aveva mai visto Dalida?".

"No, mai. L'avevo vista per televisione, mi è sempre sembrata una donna forte, sicura di sé, una diva. Di persona era diversa: fragile, nervosa, agitata. Mentre mi parlava, le tremavano le mani. Fumava una sigaretta dietro l'altra, camminava avanti e indietro per la stanza. A tavola ha mangiato pochissimo, ha detto che il cibo le faceva nausea e che spesso saltava i pasti. Mi è sembrata una donna distrutta, con il sistema nervoso a pezzi. «Signora, sono stanca, stanca, stanca», mi ha ripetuto continuamente. «Faccio una vita d'inferno e non ce la faccio più ad andare avanti. Non ho orari né per mangiare né per dormire. Passo più tempo negli aerei, nei treni, in automobile che non a casa mia. Sono disperata»".

"Era in questo stato anche prima del Festival di Sanremo? Glielo ha confidato?".

"Da più di due anni era così. Ha parlato del suo matrimonio sbagliato, degli inutili flirt che le hanno dato l'illusione di essere una donna come tante altre. «Li ho ricercati io», mi ha detto, «e mi hanno distrutta. Ora, a più di trent'anni, mi sono accorta di avere dato tutto al mio mestiere e niente a me stessa. Ho il successo, certo, ma fra poco perderò anche quello e allora la mia vita non avrà più alcun senso. Sono un fallimento completo, un automa che vive in un mondo che ha ucciso e che ha logorato me»".

"Dei suoi rapporti con Luigi le ha parlato?".

"Non andavano d'accordo loro due. Lei era una diva, esattamente l'opposto delle ragazze semplici e spontanee che piacevano a mio figlio. Luigi faceva fatica a lavorare insieme a lei. «Le dive come Dalida», mi aveva detto Luigi prima di partire per Sanremo, «non sono delle donne, mamma: non sono naturali, non sono umane. Non immagini che fatica faccio a lavorare con lei». Dalida questo lo sapeva. «Non m'importava», mi ha detto. «Gli volevo bene lo stesso. Gliene volevo molto. E a Sanremo cercavo di stargli vicino; io lo andavo a cercare, volevo parlare con lui: era così buono, onesto, generoso Luigi e mi faceva bene stare in sua compagnia». Non credo fosse innamorata di mio figlio, ma aveva molta simpatia per lui, forse un mezzo sentimento".

"Secondo lei, signora, perché, dopo averle fatto visita, Dalida ha ingerito dei barbiturici?".

"Era a pezzi da parecchio tempo. Dopo la tragedia di Sanremo, era sconvolta, non si era più ripresa dallo shock. E si sentiva colpevole della fine del mio Luigi. «Io potevo salvarlo, ero l'unica che poteva farlo», mi ha detto, «e questo rimorso mi accompagnerà per sempre»".

"Perché? Come poteva prevedere?".

"Vede, fu Dalida a spingere Luigi ad andare a Sanremo. Quando sentì "Ciao amore, ciao", ne rimase entusiasta e disse che avrebbe partecipato al Festival solo se avesse cantato quella canzone. Luigi non si sentiva di andare a Sanremo, diceva che quello non era un ambiente adatto a lui. E allora tutti, pur di accaparrarsi Dalida, incominciarono a dirgli che quella era l'occasione per farsi conoscere dal pubblico. Lo convinsero che avrebbe vinto. «Se non avessi pestato i piedi per avere quel motivo», mi ha detto Dalida, «ora questa tragedia non sarebbe successa. E quella sera avrei dovuto stargli vicino a tutti i costi: io sentivo che si sarebbe ucciso, lui non me lo ha detto, ma io glielo leggevo negli occhi. Era disperato, e l'ho lasciato solo». Chiunque, al suo posto, si sentirebbe in questo stato. Vede, la gente non riesce a capire che i divi hanno sentimenti così umani, così comuni. Li vuole immaginare esseri superiori, diversi dal resto dell'umanità. 
Così, di fronte ad una tragedia come questa, vuole pensare che i suoi idoli hanno vissuto una vicenda straordinaria, la storia di un romanzo d'appendice. Non è così, creda: sono persone come le altre, questi ragazzi, hanno i sentimenti di tutti. Ma la gente li vuole essere superiori e loro sanno che devono apparire tali. Ma non ce la fanno, poveretti. Si logorano i nervi e così diventano vittime del loro mestiere, del loro pubblico. Così è stato per mio figlio, così è stato anche per Dalida. Bisogna fermare questa macchina. Non so come. Ma è necessario".

Il colloquio è finito. La signora Tenco ora vuole che io salga al secondo piano della villa, nella camere di Luigi. Ogni cosa è al posto in cui l'ha lasciata: nell'armadio ci sono tutti i suoi vestiti, su un comò la chitarra, un registratore, un giradischi. Sulla scrivania sono ammucchiate migliaia di lettere arrivate da ogni parte d'Italia. La signora Tenco me ne legge qualcuna. Sono di persone che scrivono "Tenco era un ragazzo intelligente, un vero poeta", esprimono le loro condoglianze. Altre sono dei ragazzi dei paesi: hanno fondato club che portano il nome di Luigi Tenco e chiedono in ricordo un suo indumento, un oggetto.

"Vede, nessuno ha capito il gesto di mio figlio", dice la signora Tenco. "Lui si è ucciso per protestare contro il divismo. E ora il pubblico vuol fare di mio figlio un idolo". 


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Altre incongruenze

Dove è andato a finire il proiettile che non è nella scatola cranica?
Non si sa, ma probabilmente, si tratta solo di una delle tante sciatterie compiute durante le operazioni sulla scena (ripeto che non sono un criminologo ma un neuroscienziato, quindi tenetelo a mente).
Sappiamo che si da per certo che il proiettile è stato non solo ritrovato ma venduto all'asta e acquistato da un collezionista di cimeli di Tenco.

Che ci faceva la sabbia sulle scarpe di Tenco e sul parafango e targa della sua spider? (rilevate dalle foto del settimanale Oggi, ndr).
 Anche qui, non sembrano esserci dubbi: Tenco il giorno prima e forse anche il pomeriggio, aveva fatto una corsa sulla marina, ne siamo certi, dove aveva camminato per un poco, imbrattandosi le scarpe.

Perchè il Molinari sapeva già del suicidio, mentre telefona ad un suo conoscente giornalista? Inoltre perché va in televisione, per dire che c'erano le due camere funebri separate per i suicidi del Casino e per la gente comune? Inoltre, perché conferma che le indagini non gli sono state fatte fare come avrebbe voluto e che a Sanremo c'erano giri di scommesse clandestine da far impallidire, ad oggetto la competizione canora?
Tutti sapevano, e Striscia la notizia, fino a che se ne è interessata, ha dimostrato in modo puntuale, che i nomi dei vincitori sono conosciuti da certe persone, almeno un mese prima? 
Posso aggiungere che a livello personale, conoscendo una decina di musicisti di lungo corso, o uno o l'altro mi hanno sempre detto, fino a qualche anno fa, chi avrebbe vinto il festival, puntualmente poi verificatosi.

Anche questi aspetti, sono riconducibili alla macchina del Festival, che gli organizzatori e garanti cercavano di proteggere, come bene sia nazionale che del territorio. Per questo si voleva far chiudere rapidamente l'inchiesta, in modo da far terminare il Festival.
Molinari inoltre, ha mostrato di essere un personaggio di alto profilo, quindi ben addestrato a coprire certe operazioni per scopo professionale e inoltre ha mostrato, non so quanto reali, aspetti di tipo istrionico, ma mi è difficile dire se frutto di una sua abilissima costruzione personologica o vere tendenze di personalità (ricordo che il fatto di essere della P2 è del tutto normale, dal momento che tutti i vertici delle forze dell'ordine e dell'esercito ne facevano parte).
Quindi, pur notando che durante la sua partecipazione quella domenica alla Rai, ha certamente nascosto alcune parti, direi che nella sostanza, sulla faccenda Tenco non ci sono contraddizioni di rilievo.

Infine, e più importante: se dopo l'autopsia del 2007 non si è trovato quello che era dato per scontato, vale a dire la palllottola dentro al cranio, la mia conclusione è del tutto opposta a quella cui sono pervenuti gli inquirenti. Ovvero, non ho mai pensato a qualcosa di diverso dal suicidio ma dopo l'esito dell'esame della riesumazione, devo dire che un grosso punto interrogativo mi si è acceso davanti agli occhi e mi dice che devo aprire la finestra dell'ipotesi di una morte di Tenco per cause diverse dal suicidio e con la sua pistola che si era portato dietro.



Ultima nota:

1-Nuove analisi di laboratorio hanno rilevato che sulla mano destra e sulla mano sinistra di Luigi Tenco (il cadavere si è conservato in ottimo stato in tutti questi anni / nel 2006 è stato sottoposto ad una autopsia; mai fatta nel 1967) non vi sono quelle sostanze chimiche che si depositano sulla pelle quando vi sono tracce di polvere da sparo

 2- E' stato acquisito il bossolo che si trovava nella stanza 219 dell'Hotel Savoy (la camera d'albergo in cui Tenco morì. Il bossolo espulso dall'arma da fuoco che uccise il cantante): questo bossolo, sottoposto ad esami balistici, ha presentato segni incompatibili con l'estrattore e l'espulsore di una Walther PPK calibro 7,65 (cioè con la pistola che possedeva Luigi Tenco) 

3- I segni rilevati su questo bossolo sono risultati compatibili invece con l'estrattore e l'espulsore di un altro tipo di pistola: una Beretta modello 70 calibro 7,65 (arma che Tenco, invece, non possedeva)


4-Le persone che occupavano le camere d'albergo vicine a quella di Tenco (giornalisti-musicisti-altri cantanti) hanno sempre sostenuto di non aver udito alcun colpo di pistola. Malgrado le pareti erano molto sottili. Ebbene: la Walther PPK calibro 7,65 (la pistola di Tenco) è un'arma che quando spara produce un rumore assordante e per giunta non le si può applicare (per caratteristiche tecniche della pistola) un silenziatore. Invece si può applicare un silenziatore proprio ad una Beretta modello 70 calibro 7,65. Non solo: la Beretta modello 70 calibro 7,65 è una pistola che produce un rumore molto molto basso, quasi impercettibile, quando spara senza silenziatore. Con un silenziatore figurarsi un pò: produce un rumore da sparo che quasi non si sente 

5-La pistola di Luigi Tenco (la Walther PPK calibro 7,65) non c'era all'interno della camera 219. Difatti la mattina dopo fu trovata dagli inquirenti nel porta oggetti dell'auto di Tenco, nel parcheggio dell'albergo. Da lì la pistola di Tenco, infatti, non si è mai mossa 


6-Le nuove analisi di laboratorio condotte sul cadavere hanno rilevato che il colpo d'arma da fuoco che ha attinto Tenco alla tempia risulta prodotto da un'arma molto più potente di una Walther PPK. Non solo: lo sparo ha causato maggiori danni all'interno della scatola cranica perchè la capacità di potenza e l'efficacia del colpo sono stati potenziati dall'impiego di un silenziatore 


8-Perchè Luigi Tenco possedeva un'arma sua? Una pistola sua? A qualcuno disse che lo faceva per difesa personale, dopo aver subìto un paio di rapine in un autogrill ma a qualcun altro disse cose ben più gravi. Disse (anche se affermò di non sapere il perchè) di sentirsi minacciato e in pericolo di vita. Raccontò che recentemente, mentre era alla guida della propria vettura su una strada extraurbana, avevano cercato di ucciderlo mandandolo fuori strada e quindi cercando di simulare un brutto incidente stradale. Da allora: aveva acquistato una pistola che teneva nel porta oggetti della macchina. E' un racconto che può essere preso sul serio perchè si dà il caso che per raggiungere la città dei fiori in occasione del Festival del 1967, Luigi Tenco preferisce fare un lungo viaggio con aereo-corriere-treni pur potendo disporre della macchina. La vettura, infatti, gli arriva in secondo momento (mentre lui è già in albergo) da un suo amico che si è incaricato personalmente di portargliela da Roma (dove Tenco si era trasferito da alcuni anni). 


Quindi, se dovessi di nuovo tirare le somme,  direi che Tenco può essersi suicidato, almeno in base a quello che sono portato a conoscere e a fidarmi,  ma come si vede, ci sono dei punti che purtroppo non tornano. Quindi, occorreva fare quello che si doveva quella notte e allora, forse oggi avremmo saputo chi, come, dove, quando e perché...
Insomma, voglio solo dire che da neuroscienziato direi che la psicopatologia e le sostanze ingerite , nonché lo stato di stress e di tensione, possono convergere verso un suicidio ma ci sono dei dati oggi, si dico dalla riesumazione e dalle analisi sul corpo, che pur non essendo un criminologo, mi impongono dei notevoli dubbi e mi fanno sospendere il giudizio.
Insomma, se i dati sono esatti e puntuali, occorre che qualcuno ci spieghi perché tenco si sia suicidato non con la sua Walther PPK, ancora dentro il cruscotto della sua auto, ma ensì con la Berretta ritrovata tra le sue gambe, e con il caricatore estratto e perfettamente pieno. Insomma: chi e perché ha compiuto quella messa in scena? E si badi bene, sappiamo che i Carabinieri ordinarono di riportare il corpo di Tenco nella stanza del Savoy.

Ma da qui a sistemare le cose in quel modo ce ne corre e non credo che siano stati gli incaricati dei servizi funebri e i carabinieri ha compiere tali manomissioni della stanza e del corpo, nonché la sostituzione della pistola. Sempre che qualcuno magari tra una decina di anni, in punto di morte non ci venga a dire che è stato lui e il motivo e su quale ordine.
Va bene, la finisco qui: un solo altro punto: Morisse, era nei paraggi e probabilmente ha potuto sapere della relazione non relazione di Tenco e Dalida proprio in quei giorni, se è vero come è vero che della relazione non relazione sapevano solo alcuni uomini del clan discografico, della cerchia di Dalida, Arbore, Miranda Martino e il suo compagno. Insomma, qualcuno può aver portato dentro Tenco già sparato, con una Beretta con silenziatore o forse anche senza, ma di certo, se uno prova a sparare con una Walther, specie se è un musicista, è impossibile non sentire il colpo, vi assicuro che è assordante dentro una stanza chiusa e piccola.
Fine....

No, perché la risultanza finale è questa, almeno relativamente al corpo della pallottola mancante:


 E' stato ritrovato il bossolo 7.65 della pistola Walther Ppk con cui il cantante Luigi Tenco si uccise nel 1967 dopo la partecipazione al Festival di Sanremo. La squadra mobile di Sanremo, che ha indagato sul fascicolo dell' inchiesta, da cui era sparito proprio il bossolo, avrebbe infatti ritrovato il reperto in casa di Lino Ligato, l' ex titolare del «Pipistrello», storico locale musicale della città. La notizia, anticipata da alcuni quotidiani, è stata data dal procuratore di Sanremo Mariano Gagliano, che ha annunciato l' invio del bossolo all' Ert della polizia a Roma per la comparazione balistica. 

L' esito arriverà ad aprile. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Ligato nelle scorse settimane aveva dichiarato alla polizia di essersi liberato del bossolo, che aveva ricevuto da una persona che aveva avuto all' asta alcuni reperti dell' indagine degli anni Sessanta. Nei giorni scorsi Ligato ha invece richiamato la polizia e ha detto di avere casualmente ritrovato il reperto. 
Il caso sembra quindi chiudersi anche per quanto riguarda l' unico tassello mancante, 39 anni dopo il suicidio del cantante nella stanza 219 dell' hotel Savoy di Sanremo. L' autopsia eseguita il 15 febbraio scorso ha permesso di chiarire che Tenco, il 27 gennaio 1967, si uccise con un colpo di pistola alla testa. «Un suicidio quasi da manuale», aveva detto dopo l' esame autoptico Vincenza Liviero, medico capo della polizia, membro dello speciale team dell' Ert (esperti ricerca tracce) incaricato delle nuove indagini.


Un pensiero ad entrambi, ricordando questi due grandi artisti. E' tutto o quasi.
alfredo lorenzi

neuroscienze del comportamento
violento e aggressivo. 
Davis -  L.A.   et  Biosincr  - Basel.

http://www.youtube.com/watch?v=dWiq0zIYXuU




Appendice

Ma siete tutti certi di alcuni punti dati per scontato?
Ad esempio, Il corpo di Tenco è stato riportato dai Cc nella stanza?
Dalida scende dalla sua stanza, dopo essere rientrata e si mette ad urlare,
essendo la prima a scoprire Tenco riverso a terra?
E se questi punti non fossero veri? Se Dalida avesse fatto una recita, peraltro abituata a recitare e fingere stati emotivi?
E perché la storiella del cadavere riportato nella stanza? a cosa serviva una tale messinscena (visto che i fotografici e giornalisti non sono mai entrati nella medesima?
Insomma, occorrerebbe qualche dato più certo, anche sapendo quanto dichiarato da Molinari, che sconfessò se stesso ben 40 anni dopo.

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