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Sito dell'Associazione Italiana per lo Studio e Ricerca sui Comportamenti Violenti -CRCV- Italy. ---------- Violent Behavior and Prevention Research Center - VBRC -Au-- Lorenzi Alfredo, Neurobiol, Neurosc.Human Behavior Biosincr - Basil--Davis CA -- Karin Hofmann, Phd Aggressive Behavior--Au

Responsabilità nei casi di crimini violenti.

Relazione Lorenzi. Traduzione Anna Sonnellier.
Siamo questo pomeriggio ad affrontare il tema della tremenda questione della responsabilità per i fatti
e azioni violente dei soggetti.
Prima di tutto, vorrei ricordare, care colleghe e colleghi, che questa mia relazione è improntata dal punto di vista delle neuroscienze di base e dello sviluppo, e secondariamente da quella della psicologia e biologia evoluzionistica, quindi questi due aspetti, rendono la trattazione su un piano strettamente scientifico e ampiamente comparabile nel mondo e società animali del nostro pianeta.
Dico questo perché qui sono presenti medici, psicologi, neurobiologi e anche qualche studioso di scienze sociali e diritto, e spero risulterà chiaro che l'approccio che seguiamo oggi, almeno da trent'anni, è primariamente quello delle neuroscienze, termine trasversale alle discipline biologiche e psicologiche.
Intanto la responsabilità: cosa intendiamo con responsabilità? Prima ancora, sapete che il concetto di volontà è stato durante gli anni sessanta e fino a tutti i novanta ampiamente criticato, come quello generico di istinto, triebe, drive, in quanto a partire da Lorenz, istinto è un termine assai poco pregnante, nel senso che si deve escludere la presenza di qualche forza di tipo immateriale e esoterica all'opera, come il vitalismo, qualche oscura e indefinibile forza di tipo inconscio e altre definizioni e concetti basati su aspetti non operazionabili e non computabili e rilevabili in modo almeno un poco preciso, per quanto spesso comunque difficile da definire.
Allo stesso modo, la volontà, non era nemmeno menzionata dai manuali di psichiatria e psicologia, e solo in questi ultimi quindici anni sta rientrando in modo a volte inconcludente e confondente, nella terminologia d'area, assieme a un certo rientro di materie che si credeva essere state sepolte, come certe concezioni psicodinamiche e certe forme di psicoterapia, che nonostante tutto, studi sempre più affinati ed accaniti, non provano una maggiore efficacia della psicoterapia, quella di terza generazione, nella maggior parte dei disturbi che si osservano più di frequente nella psicopatologia e neurologia dei clienti-pazienti.
Volontà e istinto per la mia esperienza personale e il mio percorso formativo, sono parole e concetti che non posso usare, in quanto comparativamente, è difficile attribuire volontà al comportamento di attacco e fuga di un topo o di un gatto, con cui ci troviamo a confrontarci nei nostri esperimenti e ricerche. Quindi istinto lo operazionalizziamo come una sequenza di azioni e movimenti guidati prevalentemente dai geni e non dall'ambiente, anche se ci sono modifiche sempre ammesse dal programma genetico.
Volontà è totalmente esclusa e non sostituibile da altri termini e concetti: al suo posto facciamo però in laboratorio, uso di concetti come comportamento appetitivo, comportamento motivato, comportamento mediato dall'esperienza. E' infatti certo che per noi, in laboratorio è importante distinguere i comportamenti guidati dai geni da quelli guidati dall'esperienza, cioè in cui i geni ammettono in origine, la possibilità di attivarsi e disattivarsi a seconda delle situazioni e stimoli interni ed esterni.
Guardate che questi concetti sembrano ormai pane quotidiano per tutti i presenti ma spesso ci sono in realtà un bel numero di misundestanding e confusioni in merito, quindi spero di aver speso un poco di tempo dei miei 55 minuti per un ripasso utile (risate).
Ho parlato di stimoli interni ed esterni, e sapete che nella ricerca in neuroscienze noi parliamo di via dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto; bene, queste due modalità operative del nostro funzionamento neurale e psichico, sono sempre sottese in ogni nostro studio ma dobbiamo anche aggiungere che la via dal basso all'alto ci è molto più chiara dell'altra, di cui ad oggi, per quanto si può dire degli studi con la neuroimaging funzionale, continuiamo a sapere quasi nulla, scusate la brutalità ma se sappiamo qualcosa in merito lo vediamo in alcuni sistemi neurali primitivi, ma quando si passa a topi e all'uomo, siamo veramente alla preistoria.
Mi spiego meglio, non sto dicendo che non facciamo acquisizioni sul funzionamento delle varie aree cerebrali durante il funzionamento del cervello, dico che non abbiamo molti progressi sul significato di via dall'alto verso il basso, cioè la via degli stimoli interni, da cui muovono i programmi genetici e le memorie e comportamenti e pensieri.
In altri termini, sapere che quando si pensa a qualcosa, ad es. che implica un ricordo, una rievocazione, si attivano determinate aree, mentre quando pensiamo di fare qualcosa se ne attivano altre, non ci dice nulla sulla qualità di quello che sta accadendo nel cervello, ossia sul significato interno di questi stimoli e attività.
Non so se tutti voi lo condividono ma al momento pensiamo che questa risposta non c'è e non ci sarà probabilmente mai, o almeno per quanto possiamo pensare di poter sapere anche in un futuro un poco lontano. Possiamo sapere se fornendo stimoli specifici (via dal basso) quali aree si attiveranno, e su questo si basano molti studi, e siamo vicini a creare una macchina della verità molto affidabile, basata sul lavoro dei neuroni di certe aree, ma ricordate? sempre partendo da stimoli che forniamo noi.
Altra questione e con ben altri scarsi risultati otteniamo (o meglio, non otteniamo), quando dobbiamo prefigurare il pensiero e il comportamento a partire dalla via dall'alto, cioè vedendo autonomamente accendersi determinate aree, quali pensieri e azioni si attualizzano (procedimento di riverberazione interna). Non ne sappiamo molto, per non dire quasi niente. Lo ripeto, non sappiamo nulla della qualità dell'attività neurale. 
Questo ci rimanda al fatto che in neuroscienze, concepiamo il cervello come una macchina computazionale, in cui accadono sempre i soliti meccanismi, cioè associazione di aree, amplificazione dei segnali, riverberazione e attività in serie e in parallelo, scomposizioni e ricomposizioni di segnali.
Quindi, a livello delle neuroscienze di base, tutto quello che abbiamo nello studio anche di meccanismi di regolazione fine, non è altro che una riduzione ai loro componenti essenziali, ossia i potenziali di neuroni di certe aree e le associazioni con altre aree, che si attivano o disattivano secondo caratteristiche e modalità sempre uguali.
Ebbene si, il nostro cervello è una macchina che risponde alle caratteristiche di un sistema deterministico, nel senso che piaccia o no, infilando uno stimolo o autogenerandolo, per noi siamo solo in presenza di una determinata serie di potenziali neurali e di forme d'onda (ad es. stiamo studiano la P300, come frequenza della menzogna), niente di più e niente di meno.

Quindi, dove si trova la volontà e il determinismo autocentrato, nel nostro cervello? Porre questa domanda al neuroscienziato è senza senso e senza risposta o meglio la risposta è che ci sono geni e neuroni, questi possono apprendere, cioè inglobare, entro certi limiti, delle modifiche genetiche che permettono un funzionamento comunque determinato (se lo stimolo è A la risposta è B, ma si può apprendere anche una C o D) e siamo comunque dentro il concetto di macchina deterministica.
Quello che fanno i neuroni, quindi il nostro cervello, è sempre la stessa roba, associare dei segnali ad altri, ricomporli e scomporli in altre frequenze e potenziali e modularli insomma entro il potenziale e limiti  del sistema dato.

Ci sono milioni di situazioni differenti che  possiamo identificare come fornitori di stimoli, interni ed esterni ma il lavoro del nostro cervello è sempre lo stesso, per quanto avvalendosi di aree specializzate di un tipo o di un altro. E questo discorso non cambia se vogliamo passare dai potenziali e onde alla chimica. Infatti le attività dei neuroni sono mediate da cariche elettriche veicolate da sostanze chimiche, ma allora il problema diventa: ad uno stimolo definito si associa una determinata cascata di mediatori chimici dei neuroni, in aree specifiche. Come vedete, per la neuroscienza siamo sempre nel puro determinismo (altrimenti non si potrebbe nemmeno tentare uno studio sistematico).

Ora vengo rapidamente, in conclusione, al punto della responsabilità dei comportamenti umani.
Intanto, il termine responsabilità, presuppone la volontà e questo abbiamo visto non ha senso per il mondo animale, di cui noi siamo parte. In altre parole, attribuire un significato e un carattere di responsabilità ad un comportamento cioè ad una sequenza di schemi di pensiero e di azione, è per noi chiaro che si tratta di un fatto tipicamente antropologico, insomma si tratta di mettere senso dove in realtà il senso realmente non c'è. Siamo tutti convinti che se qualcuno entra qui dentro e spara delle rivoltellate a noi, sta compiendo un atto deplorevole e violento ma in essenza, questo tipo di valutazione condivisa, è un fatto che solo in parte sta scritto nei nostri geni, o meglio nei nostri geni è scritto che dobbiamo preservare la nostra specie e la nostra vita, il resto è l'educazione e la diffusione di un pensiero da quando siamo piccoli che ci fa introitare questa considerazione condivisa.
Il nostro pensiero e i nostri comportamenti, non sono determinati secondo criteri etici ma in base a determinanti genetiche, che ci dicono di conservare la nostra specie e la nostra vita. Questo ci dice la teoria evoluzionista e la psicologia e biologia evoluzioniste.

Allora, se la responsabilità, la volontarietà dei nostri gesti e azioni, non sono che programmi inseriti socialmente, è chiaro che quando ci troviamo a giudicare qualcuno perché ha compiuto qualche gesto altamente violento, partiamo dalla conoscenza che è la nostra educazione condivisa che ci permette un giudizio parimenti condiviso.

Ma vediamo come possiamo riformulare la questione per le neuroscienze e psicologia evoluzionista.
Un comportamento violento grave, non è differente da un qualsiasi altro comportamento per noi ricercatori, e in poche parole, questo comportamento è il risultato del nostro cervello. Quindi possiamo, per una logica ferrea, asserire che è il nostro cervello, l'organo a cui dobbiamo riferire tali comportamenti.
Ora, capite dove stiamo arrivando: che la responsabilità dei nostri comportamenti, compreso quelli deplorevoli e violenti, sono da attribuire ai nostri cervelli, così come la digestione dei cibi che mangiamo è operata dai nostri fegati. Ne consegue, sempre secondo un sinallagma ferreo, che consideriamo responsabili socialmente quei cervelli maturi, che funzionano normalmente mentre tendiamo ad avere dubbi ed eccezioni quando pensiamo o siamo sicuri che il cervello di chi compie azioni violente non funzioni normalmente, sia in modo temporaneo che continuo nel tempo.
Ecco allora che il quesito della responsabilità sociale dei comportamenti e delle azioni di repressione è da ricondurre all'accertamento di un normale funzionamento del cervello sia in generale che al momento del gesto, ammettendo esimenti e giudizi di non responsabilità quando siamo sicuri che il cervello di chi ha compiuto il gesto, non ha mai funzionato bene oppure, al momento dell'atto,funzionava male.
Ad esempio, un ragazzo assume alcol e sostanze, va fuori di testa, come si dice e compie un incidente stradale, con morti, è responsabile? Se proviamo che il suo cervello al momento della guida e dell'incidente, non funzionava correttamente,  
Per noi, in biologia, non cambia se uno si è ubriacato e quindi se è responsabile di essersi poi messo alla guida, conta se il cervello di questa persona era in grado di funzionare bene o no. Avrete notato che al momento non ho mai parlato di responsabilità legale o giuridica perché noi siamo dei ricercatori e scienziati, mentre la giurisprudenza è una disciplina umanistica, basata sulla logica e su dichiarazioni di principio.
Per noi, insomma, il quesito della responsabilità è il cervello è responsabile, non la persona fisicamente intesa nella sua valenza sociale.
Un esempio: una persona considerata sana, normale, presa da allucinazioni, sferra delle coltellate a un vicino, credendolo una spia dei suoi pensieri. Se siamo in grado di accertare che ad esempio qulla persona, a seguito di una assunzione di farmaci prescritti e alcol, ha subito una bouffé dissociativa, con allucinazioni, che poi è rientrata nel giro di una ventina di ore, sospendendo i farmaci, per noi è chiaro che la responsabilità era minata da tale stato di funzionamento del cervello. Insomma è il suo cervello ad essere malfunzionante e responsabile, non la persona.
E' anche chiaro che se entriamo nelle vicende giudiziarie, è anche chiaro che nessuno di noi potrà presentare dati certi, scientifici, che attestino la responsabilità del cervello della persona, quindi ci saranno consulenti dell'incriminato e quelli della vittima e anche quelli della parte civile e quelli eventualmente nominati dal giudice: il risultato è quello che osserviamo nei casi trasmessi in televisione, dove assistiamo ad una sequela di perizie e consulenze, con risultati quasi sempre opposti e generando l'idea che la scienza non è affidabile.
Ma il punto è che al momento, noi non possiamo dire se una persona è responsabile delle sue azioni sulla base di un qualche esame obiettivo (le lastre) o analisi di liquidi organici, come possiamo fare per altre funzioni dell'organismo, perché i mezzi attuali non ci dicono niente in merito.
Possiamo solo accertare se una persona aveva aree di malfunzionamento cerebrale preesistenti oppure sopravvenute, se erano presenti al momento e se le riteniamo rilevanti, cioè causalmente determinanti e in che misura e si capisce che si tratta solo di valutazioni che non differiscono da quelle che ci troviamo a fare quando diagnostichiamo un disturbo mentale o una condizione neurologica. E sappiamo che spesso, le diagnosi psichiatriche sono caratterizzate (uno studio in particolare lo mostrò in modo clamoroso alcuni decenni fa, oggi meno), da una notevole differenza tra giudici.

Concludo, accennando alla responsabilità nei casi giudiziari per crimini violenti:
sarebbe utile compilare un elenco di tutte quelle malattie, disturbi e condizioni che possono influire sull'attività del cervello in modo grave, tale da poter pensare ad una attenuazione od esenzione della responsabilità. In mancanza, siamo e saremo probabilmente nella condizione cui ci troviamo da almeno un secolo e mezzo, con le battaglie tra perizie psichiatriche e neurologiche, che inevitabilmente, salvo casi ben determinati, finiscono con non soddisfare nessuno di noi. Perché la macchina della verità siamo vicini ad ottenerla ma non quella della responsabilità, che implica sempre una attribuzione sociale almeno finché il giudizio sarà emesso da figure esterne al mondo scientifico.
Il che, poi, aprirebbe la questione della prevenzione e individuazione preventiva con test genetici e cerebrali di coloro che possono con alta probabilità andare incontro a comportamenti violenti.
Tra questi, sappiamo che quelli di tipo esplosivo affettano ad esempio le personalità antisociali, rimando agli studi ormai classici di Reine su 21 soggetti con Disturbo antisociale di personalità, che mostrava che questi soggetti presentavano delle caratteristiche specifiche di funzionamento dell'area del cingolo e riduzione di massa grigia in altre aree prefrontali (orbito front.).
Nel gruppo di ricerca sui topi di cui facevo parte, abbiamo ricercato delle sostanze che variavano in base a parametri di stimoli che fornivamo e abbiamo trovato dati significativi su quasi tutti le molecole dello studio. 
Come si vede, sarà in futuro più facile predire, scientificamente che potrà compiere crimini violenti e le azioni preventive da attuare, con buona pace per i criteri della società aperta di Popper. Grazie.








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